Le radici evolutive della predisposizione umana all'infarto / The evolutionary roots of human predisposition to heart attack

Le radici evolutive della predisposizione umana all'infarto The evolutionary roots of human predisposition to heart attack


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa



Illustrazione di placche aterosclerotiche in un'arteria / Illustration of atherosclerotic plaques in an artery (Science Photo Library RF / AGF) 

Alcuni milioni di anni fa, i nostri antichi antenati persero il gene che codifica per l'acido sialico Neu5Gc, predisponendo la nostra specie all'accumulo di placche aterosclerotiche nelle arterie.

Se gli esseri umani sono più esposti all'infarto degli altri primati lo si deve in parte alla perdita di un gene, scomparso dal DNA dei nostri antichi antenati circa tre milioni di anni fa. Lo afferma un nuovo studio pubblicato sulla rivista "Proceedings of the National Academy of Sciences” da Nissi Varki e colleghi dell'Università della California a San Diego.

Varki studia da tempo il problema dell'aterosclerosi, l'indurimento progressivo delle arterie e in particolare delle coronarie, accompagnato dalla formazione di placche lipidiche. Una decina di anni fa, osservò che gli attacchi di cuore dovuti a questo disturbo praticamente non si verificano negli altri mammiferi e neppure negli scimpanzé, i primati più prossimi a noi dal punto di vista evolutivo. E neppure quando condividono con noi gli stessi fattori di rischio di malattie cardiovascolari, come l'elevato livello di colesterolo nel sangue, l'inattività fisica o l'ipertensione. Ciò è coerente col fatto che, negli esseri umani, il 15 per cento circa degli eventi cardiovascolari non si può ricondurre a fattori di rischio riconosciuti, come l'età, l'obesità e il fumo di sigaretta, oltre a quelli già elencati.
In un altro studio, il ricercatore aveva poi scoperto che gli esseri umani sono gli unici animali a cui manca un certo acido sialico, chiamato acido N-glicolil neuraminico (Neu5Gc), che svolge diverse funzioni sulla superficie delle cellule., osservando inoltre che il gene corrispondente si è perso nel corso dell'evoluzione per lasciare il posto a un acido sialico differente.

L’evento si verificò alcuni milioni di anni fa, probabilmente per effetto di una selezione sui nostri antichi antenati prodotta dalla malaria. Approfondendo la questione, i ricercatori hanno anche scoperto che il sistema immunitario umano reagisce contro la presenza di Neu5Gc, determinando uno stato infiammatorio che potrebbe avere un ruolo nell’insorgenza di diverse malattie, tra cui l'aterosclerosi. Varki e colleghi hanno ora verificato questa ipotesi, producendo topi di laboratorio geneticamente modificati in modo che non avessero Neu5Gc. Questi topi hanno mostrato un accumulo di placche aterosclerotiche decisamente superiore rispetto ai topi normali.

L’idea dei ricercatori è che la perdita del gene che codifica per il Neu5Gc nel corso dell’evoluzione abbia determinato una predisposizione alla formazione di placche aterosclerotiche, che può essere indotta sia da fattori dietetici – in primo luogo dal consumo di carne rossa, ricca di Neu5Gc – sia da fattori non dietetici.

"Nei topi modificati, l'aumento del rischio sembra determinato da molteplici fattori, tra cui la presenza di globuli bianchi iperattivi e una tendenza al diabete", ha detto Ajit Varki. "Questo può aiutare a spiegare perché anche soggetti vegetariani senza altri evidenti fattori di rischio cardiovascolare sono ancora molto esposti a infarti e ictus, mentre altri primati non lo sono". 

ENGLISH

A few million years ago, our ancient ancestors lost the gene that codes for sialic acid Neu5Gc, predisposing our species to the accumulation of atherosclerotic plaques in the arteries.

If humans are more exposed to the infarction of other primates it is partly due to the loss of a gene, which disappeared from the DNA of our ancient ancestors about three million years ago. This was stated by a new study published in the "Proceedings of the National Academy of Sciences" by Nissi Varki and colleagues from the University of California at San Diego.

Varki has been studying the problem of atherosclerosis, the progressive hardening of the arteries and in particular of the coronary arteries, accompanied by the formation of lipid plaques. A decade ago, he observed that heart attacks due to this disorder practically do not occur in other mammals and even in chimpanzees, the evolutionary primates closest to us. And not even when they share with us the same risk factors for cardiovascular diseases, such as high cholesterol levels in the blood, physical inactivity or hypertension. This is consistent with the fact that, in humans, about 15 percent of cardiovascular events cannot be traced to recognized risk factors, such as age, obesity and cigarette smoking, in addition to those already listed.

In another study, the researcher then discovered that humans are the only animals that lack a certain sialic acid, called N-glycolyl neuraminic acid (Neu5Gc), which performs different functions on the cell surface, also observing that the corresponding gene was lost in the course of evolution to make way for a different sialic acid.

The event occurred a few million years ago, probably due to a selection of malaria from our ancient ancestors. Deepening the question, the researchers also found that the human immune system reacts against the presence of Neu5Gc, resulting in an inflammatory state that could play a role in the onset of various diseases, including atherosclerosis. Varki and colleagues have now verified this hypothesis, producing genetically modified laboratory mice so that they do not have Neu5Gc. These mice showed a much higher accumulation of atherosclerotic plaques than normal mice.

The idea of ​​the researchers is that the loss of the gene that codes for Neu5Gc in the course of evolution has led to a predisposition to the formation of atherosclerotic plaques, which can be induced either by dietary factors - first of all by the consumption of rich, red meat of Neu5Gc - both from non-dietary factors.

"In modified mice, the increased risk appears to be driven by multiple factors, including the presence of hyperactive white blood cells and a tendency to diabetes," said Ajit Varki. "This can help explain why even vegetarian subjects without other obvious cardiovascular risk factors are still very exposed to heart attacks and strokes, while other primates are not."

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