Il cervello impara a vedere di nuovo / The brain learns to see again
Il cervello impara a vedere di nuovo / The brain learns to see again
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
Fondo oculare di uno dei soggetti coinvolti nello studio: a sinistra è visibile l'impianto protesico / The eyepiece of one of the subjects involved in the study: the prosthetic implant is visible on the left
Una sperimentazione italiana su soggetti affetti da retinite pigmentosa, seguiti prima e dopo l'impianto di una microprotesi all'interno degli occhi, ha mostrato che il cervello può reimparare a interpretare gli stimoli provenienti dalla retina anche dopo molti anni di cecità.
La cecità è un problema sanitario globale, con 40 milioni di persone colpite in tutto il mondo. Diversi laboratori stanno cercando di realizzare sofisticate protesi in grado di porre rimedio al danneggiamento della retina, la membrana nervosa sensibile alla luce che si trova nel bulbo oculare ed è una componente fondamentale della visione. Buona parte dei casi di cecità è infatti l'esito di una degenerazione retinica che si manifesta in modo lento e progressivo.
Per raggiungere l'obiettivo di una protesi retinica efficace e affidabile occorre però rispondere a una domanda cruciale: in che misura il cervello dei soggetti non vedenti da molto tempo sarebbe ancora in grado di elaborare le informazioni che provengono dalla retina? Elisa Castaldi e Maria Concetta Morrone, due ricercatrici dell'Università di Pisa, hanno affrontato la questione studiando pazienti affetti da retinite pigmentosa, una malattia ereditaria che porta gradualmente alla totale cecità a causa di una degenerazione della retina.
Per raggiungere l'obiettivo di una protesi retinica efficace e affidabile occorre però rispondere a una domanda cruciale: in che misura il cervello dei soggetti non vedenti da molto tempo sarebbe ancora in grado di elaborare le informazioni che provengono dalla retina? Elisa Castaldi e Maria Concetta Morrone, due ricercatrici dell'Università di Pisa, hanno affrontato la questione studiando pazienti affetti da retinite pigmentosa, una malattia ereditaria che porta gradualmente alla totale cecità a causa di una degenerazione della retina.
Secondo quanto riferito in un artoclo pubblicato su " Plos ONE" Castaldi e Morrone hanno impiantato in occhi di volontari un microchip in grado di tradurre gli stimoli visivi in segnali, che poi sono stati trasmessi alle cellule dei gangli della retina, un tipo di neuroni che si trova nello strato più interno di questa membrana, a monte del nervo ottico rispetto al tragitto dei segnali verso il cervello. In seguito le due scienziate hanno verificato l'effetto della stimolazione sia in base a quanto riferito dai soggetti sia in base alle scansioni di risonanza magnetica sul loro cervello.
Il risultato della sperimentazione è stato positivo. I pazienti hanno infatti imparato a riconoscere stimoli visivi inusuali, come i lampi di luce, e questa capacità è
risultata correlata con un incremento dell'attività a livello della corteccia cerebrale e del talamo, una struttura posta alla base del cervello, importante per l'elaborazione delle informazioni sensoriali.
Tuttavia, questa attivazione ha richiesto un lungo periodo di addestramento. Quanto più il soggetto si esercitava tanto più il suo cervello rispondeva agli input e tanto più percepiva gli stimoli visivi generati dall'impianto protesico. In altre parole, si instaurava un meccanismo di rinforzo positivo: più il soggetto percepiva la luce, più imparava a percepire e migliorava questa percezione.
I risultati sono importanti perché mostrano che, dopo l'impianto di un dispositivo protesico, il cervello subisce un rimodellamento plastico che gli permette di "reimparare" a gestire i nuovi segnali visivi. L'esito dello studio appare ancora più rilevante se si considera che c'è una plasticità cerebrale residua anche dopo molti anni di deprivazione sensoriale, di cui si potrà tenere conto anche nella stessa realizzazione degli impianti protesici.
Il risultato della sperimentazione è stato positivo. I pazienti hanno infatti imparato a riconoscere stimoli visivi inusuali, come i lampi di luce, e questa capacità è
Tuttavia, questa attivazione ha richiesto un lungo periodo di addestramento. Quanto più il soggetto si esercitava tanto più il suo cervello rispondeva agli input e tanto più percepiva gli stimoli visivi generati dall'impianto protesico. In altre parole, si instaurava un meccanismo di rinforzo positivo: più il soggetto percepiva la luce, più imparava a percepire e migliorava questa percezione.
I risultati sono importanti perché mostrano che, dopo l'impianto di un dispositivo protesico, il cervello subisce un rimodellamento plastico che gli permette di "reimparare" a gestire i nuovi segnali visivi. L'esito dello studio appare ancora più rilevante se si considera che c'è una plasticità cerebrale residua anche dopo molti anni di deprivazione sensoriale, di cui si potrà tenere conto anche nella stessa realizzazione degli impianti protesici.
ENGLISH
An Italian experimentation on subjects with pigmentous retinitis, followed before and after the implantation of a microprotesis in the eyes, showed that the brain can reappear to interpret stimuli from the retina even after many years of blindness.
Blindness is a global health problem, with 40 million people affected all over the world. Several laboratories are trying to accomplish sophisticated prostheses that can remedy the damage to the retina, the light-sensitive nervous membrane that is in the eyeball and is a key component of vision. Much of the cases of blindness are the result of a retinical degeneration that is manifested in a slow and progressive way.
To achieve the goal of an effective and reliable retinal prosthesis, however, one needs to answer a crucial question: to what extent does the brain of blind persons for a long time still be able to process the information that comes from the retina? Elisa Castaldi and Maria Concetta Morrone, two researchers from the University of Pisa, addressed the issue by studying patients with retinitis pigmentosa, a hereditary disease that gradually leads to total blindness due to a retinal degeneration.
According to a report published in Plos ONE, Castaldi and Morrone have volunteered a microchip to translate visual stimuli into signals that were then transmitted to retinal ganglia cells, a type of neurons that Is located in the innermost layer of this membrane, upstream of the optical nerve with respect to the signal path to the brain. Subsequently, the two scientists tested the effect of stimulation both on the basis of subjects and on the basis of magnetic resonance scans on their brain.
The result of the experiment was positive. Patients have in fact learned to recognize unusual visual stimuli, such as light flashes, and this ability is
Correlated with an increase in cerebral cortex and thalamus activity, a brain-based structure important for sensory information processing.
However, this activation required a long training period. The more the subject exercised, the more his brain responded to inputs and the more perceived visual stimuli generated by the prosthetic implant. In other words, a positive reinforcement mechanism was established: the more the person perceived the light, the more he learned to perceive and improve this perception.
The results are important because they show that after implanting a prosthetic device, the brain undergoes a plastic remodeling that allows it to "re-learn" to handle new visual signals. The outcome of the study is even more relevant if we consider that there is a residual brain plasticity after many years of sensory deprivation, which can also be taken into account in the same realization of prosthetic implants.
Da:
http://www.lescienze.it/news/2016/10/26/news/cervello_cieco_impara_vedere-3285377/
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