Paracetamolo, ibuprofene o novalgina: quali le differenze? / acetaminophen, ibuprofen, metamizole : what are the differences?
Paracetamolo, ibuprofene o novalgina: quali le differenze? / acetaminophen, ibuprofen, metamizole : what are the differences?
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
Struttura paracetamolo (acetaminophen)
Struttura ibuprofene
Struttura novalgina (Metamizolo)
La febbre
- La febbre non è una malattia ma il suo segno indiretto (salvo rarissimi casi). Dimostra che l’organismo umano sta reagendo all’attacco batterico o virale. In sé è quindi un segnale positivo, tant’è vero che le persone anziane e defedate possono avere addirittura delle polmoniti senza un decimo di iperpiressia! Ed è pericoloso in quanto si rischia di non riconoscere una patologia importante che può mettere a rischio la sopravvivenza stessa.
- Un elemento che accompagna spesso la febbre ed allarma molto gli interessati e/o i familiari è la comparsa di brividi, che possono essere così intensi da essere confusi con vere e proprie convulsioni (specialmente nei bambini…). Queste contrazioni di fasci muscolari sono il meccanismo con cui viene prodotto il calore che provoca l’aumento della temperatura interna e sono il sintomo spesso più fastidioso, insieme alla sensazione di freddo, dovuta alla vasocostrizione periferica (che riduce le perdite di calore…).
La prima preoccupazione, quindi, non deve essere quella di abbassare la febbre (all’infuori di alcune patologie croniche, del resto note al paziente, che possono essere riaccese dall’iperpiressia stessa) ma di osservarla per comprendere, anche attraverso l’andamento stesso della febbre, la causa che l’ha provocata. Riferire al medico se la febbre è costante, intermittente, ogni 2 o 3 giorni, con o senza brividi, di grado lieve, medio o elevato… aiuta a porre una diagnosi corretta. Questa osservazione va poi calata nella soggettività del paziente. Ci sono categorie che sopportano bene la febbre, vedi il giovane adulto, altre che la tollerano meno, come i bambini e gli anziani. Ne consegue che non vi è un limite valido per tutti per iniziare il trattamento (così come la definizione della temperatura oltre la quale parliamo di febbre non è uguale per tutti: si va dai 37° ai 37,5°).
Passando al trattamento di questo sintomo, di norma ciascuno di noi dovrebbe aver già selezionato l’antipiretico di riferimento (ed è bene esserne sempre provvisti). I farmaci principalmente usati sono il PARACETAMOLO (vedi la tachipirina), l’IBUPROFENE (vedi il Nurofen e tantissime altri prodotti),l’ACIDOACETILSALICILICO (leggi aspirina….) e la NORAMIDOPIRIDINA (leggi novalgina). Sono tutti efficaci, si differenziano per la potenza dell’azione antipiretica e la sua velocità. Ognuno di questi farmaci ha un suo dosaggio, legato all’età e al peso della persona. Raggiunto il limite massimo non è mai consigliato il suo superamento, ma è meglio procedere con l’aggiunta di un’altra molecola, qualora l’iperpiressia non raggiunga il limite inferiore desiderato. Frequente è l’ associazione tachipirina- aspirina. Il meccanismo d’azione principale attraverso cui la febbre scende è la vasodilatazione periferica, responsabile delle copiose sudorazioni pre-sfebbramento. In questa fase più ci scopriamo e asciughiamo il sudore che ci copre la cute, più veloce è la discesa della febbre
Il dolore
La terapia del dolore si avvale di differenti farmaci che possono essere utilizzati da soli (monoterapia) o in associazione (politerapia o terapia combinata) a seconda dell’intensità e della qualità del dolore. L’associazione di farmaci analgesici appartenenti a gruppi differenti permette di migliorare la qualità dell’analgesia e di ridurre la dose di ciascun farmaco migliorandone la tollerabilità (analgesia multimodale). La terapia del dolore deve prevedere un approccio sequenziale, modulato sul tipo di dolore provato dal paziente; deve essere adeguata alle necessità del singolo paziente (terapia individualizzata); deve favorire l’aderenza alla cura (compliance del paziente).
L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o secondo l’acronimo inglese WHO, World Health Organisation) ha stabilito un approccio graduale al trattamento del dolore, individuando tre gradini: dolore lieve (scala analogica visiva VAS 1-4), dolore moderato (scala analogica visiva VAS 5-6), dolore grave (scala analogica visiva VAS 7-10) (WHO, 1986). Nei pazienti con dolore lieve i farmaci di scelta sono rappresentati dal paracetamolo oppure dai FANS, eventualmente in associazione a farmaci adiuvanti. Nei pazienti con dolore moderato i farmaci raccomandati sono rappresentati dagli oppioidi minori, eventualmente associati a paracetamolo o FANS e/o farmaci adiuvanti. Nel dolore forte i farmaci di scelta sono gli oppioidi forti eventualmente in associazione a paracetamolo o FANS e/o farmaci adiuvanti.
A seconda del farmaco e del quadro clinico del paziente, i farmaci analgesici possono essere somministrati per via topica, per via orale, per via rettale, per via endovenosa, per via intramuscolare e per via transdermica. In alcuni casi possono essere utilizzate anche la via endotracheale, intranasale e sublinguale.
I farmaci analgesici, in grado cioè di indurre analgesia (assenza di dolore in presenza di uno stimolo doloroso), comprendono:
• farmaci analgesici non oppioidi, a loro volta distinguibili in analgesici puri e analgesici/antinfiammatori (FANS e inibitori della COX-2)
• farmaci analgesici oppioidi
• farmaci adiuvanti
Farmaci analgesici non oppioidi
I farmaci analgesici non oppioidi comprendono il paracetamolo, i FANS tradizionali e gli inibitori della COX-2.
Il paracetamolo possiede un marcato effetto analgesico e antipiretico e un profilo sicurezza/tollerabilità ottimale (è l’analgesico più utilizzato in ambito pediatrico). Agisce sul sistema nervoso periferico e centrale. Il meccanismo d’azione del paracetamolo prevede: 1) l’inibizione dell’enzima cicloossigenasi nelle terminazioni nervose periferiche che impedisce il rilascio di sostanze ad azione iperalgesica (prostaglandine, prostacicline), in grado cioè di abbassare la soglia di eccitazione del recettore nocicettivo; 2) il blocco della trasmissione dello stimolo nocicettivo a livello spinale; 3) l’attivazione centrale di neuroni serotoninergici che esplicano un effetto di modulazione sulle vie nocicettive afferenti primarie (fibre nervose che trasmettono il segnale dalla periferia al midollo spinale).
Il paracetamolo è un analgesico efficace nelle forme di dolore in cui la componente infiammatoria non è prevalente (es. cefalea, l’emicrania, la dismenorrea) e nel dolore post-operatorio; è il farmaco di scelta nel trattamento del dolore lieve-moderato. Può essere somministrato per via orale o rettale. La dose antalgica ottimale orale è pari, nell’adulto, a 2-3 g/die e nel bambino a 10-15 mg/kg/dose ogni 6 ore. La dose raccomandata non deve essere superata in quanto il farmaco è epatotossico (dose massima orale nell’adulto: 4 g/die; dose massima orale nel bambino fino a 2 anni: 75 mg/kg/die; dose massima orale nel bambino fra 2 e 12 anni: 90-100 mg/kg/die.). Gli effetti collaterali più frequenti del paracetamolo comprendono rash cutanei, eritemi, orticaria, prurito. Il paracetamolo è disponibile anche in associazione ad alcuni farmaci oppioidi quali codeina, tramadolo e ossicodone.
I FANS o farmaci antinfiammatori non steroidei sono un gruppo eterogeneo di molecole con attività antipiretica, analgesica, antinfiammatoria e antiaggregante piastrinica. Agiscono bloccando l’enzima cicloossigenasi e inibendo la formazione di prostaglandine, prostacicline e trombossani. La cicloossigenasi è presente in due forme, una costitutiva (cicloossigenasi-1 o COX-1) e una indotta (ciclossigenasi-2 o COX-2). I FANS tradizionali inibiscono entrambe le isoforme della cicloossigenasi, mentre gli inibitori della COX-2 mostrano un’azione di inibizione selettiva sulla forma indotta dell’enzima. I FANS e gli inibitori della COX-2 possiedono un’azione analgesica evidente nelle forme di dolore associate ad infiammazione, ma possiedono numerosi effetti collaterali che ne limitano l’uso. Tali effetti si manifestano soprattutto a livello ematico, gastrico e renale. I FANS e gli inibitori della COX-2, sebbene con alcune differenze, possono provocare tossicità gastrica fino a formazione di ulcere e sanguinamento; insufficienza renale per inibizione delle prostaglandine ad azione vasodilatante (le prostaglandine sostengono la perfusione renale), broncospasmo, edema, ipertensione, eventi trombotici e insufficienza cardiaca congestizia. Inoltre i FANS presentano numerose interazioni farmacologiche (es. anticoagulanti, antipertensivi, diuretici, ipoglicemizzanti, sulfamidici) e possono inibire le contrazioni uterine durante il travaglio.
I FANS somministrati per via sistemica evidenziano un effetto “tetto“ nel trattamento del dolore, simile a quello riscontrato con gli oppioidi deboli: superato un certo dosaggio, specifico per ogni farmaco, l’effetto analgesico rimane costante, mentre aumentano, all’aumentare della dose, solo gli effetti collaterali. Nella terapia del dolore i FANS possono essere associati al paracetamolo o agli oppioidi, mentre non devono essere associati fra di loro.
I FANS rappresentano i farmaci più utilizzati nel trattamento del dolore cronico. In un’indagine di ampie dimensioni che ha valutato prevalenza, gravità, trattamento e impatto sociale del dolore cronico in 16 paesi (15 paesi europei più Israele), circa la metà dei pazienti usava FANS sotto forma di farmaco da banco (55% dei pazienti) o come farmaco di prescrizione (44%) (Breivik et al., 2006). Il dato è stato confermato da uno studio di popolazione di minori dimensioni (1230 pazienti) in cui i FANS sono risultati gli analgesici più usati (44% dei pazienti), seguiti dal paracetamolo (22% dei pazienti) (Bentivegna et al., 2014).
Farmaci analgesici oppioidi
I farmaci oppioidi sono sostanze con effetti simili alla morfina, uno dei principali alcaloidi estratti dall’oppio (gli altri alcaloidi sono la codeina, la tebaina e la papaverina). Gli analgesici oppioidi, di cui la morfina è il capostipite e il farmaco più utilizzato, agiscono sulla nocicezione attraverso l’interazione con recettori specifici (μ, κ, δ, σ) localizzati in diverse aree del sistema nervoso centrale (ogni tipo recettoriale presenta diverse sottoclassi).
I recettori μ sono responsabili dell’analgesia sottospinale e sono coinvolti in alcuni effetti collaterali degli oppioidi quali depressione del respiro, ritenzione urinaria, costipazione, ipotensione ortostatica, nausea e vomito, miosi, inibizione secrezione vasopressina, dipendenza fisica.
I recettori κ sono responsabili dell’analgesia spinale e della sedazione.
I recettori δ sono responsabili dell’analgesia sovraspinale e sono coinvolti nell’induzione della nausea e del vomito e della miosi.
I recettori σ sono coinvolti nell’attivazione vasomotoria e respiratoria propria degli oppioidi e negli effetti collaterali di natura disforica e allucinatoria.
Solo morfina e codeina sono oppioidi naturali, gli altri sono derivati semisintetici (destrometorfano e tramadolo derivano dalla codeina; buprenorfina e ossicodone derivano dalla tebaina) oppure sintetici, con una strutturale molecolare differente dalla morfina (es. petidina/meperidina, fentanil, sufentanil, metadone, destropropossifene, pentazocina).
A seconda del tipo di interazione recettoriale i farmaci oppioidi sono classificati in agonisti puri, agonisti parziali, agonisti-antagonisti e antagonisti. Gli agonisti puri sono i farmaci oppioidi che inducono effetti simili a quelli della morfina (es. morfina, codeina, ossicodone, fentanil, tramadolo). Gli agonisti parziali sono farmaci che evidenziano un’attività intrinseca sul recettore μ minore di quella della morfina (es. buprenorfina). Gli agonisti/antagonisti sono i farmaci oppioidi che esplicano un’azione agonista sul recettore κ e un’azione antagonista sul recettore μ (es. pentazocina). Gli antagonisti sono i farmaci che bloccano i recettori degli oppioidi (es. naloxone, naltrexone) (Novelli et al., 1999; Miller, 2006).
I farmaci oppioidi agonisti sono suddivisi ulteriormente in “forti“ e “deboli“ a seconda della potenza analgesica e del grado di assuefazione (sindrome di dipendenza). Al primo gruppo appartengono morfina, idromorfone, fentanil, metadone, ossicodone, buprenorfina, petidina (meperidina), tapentadolo; al secondo gruppo appartengono codeina, destropropossifene e tramadolo (codeina e tramadolo sono quelli più impiegati in clinica). Gli agonisti oppioidi deboli presentano l’effetto “tetto“: oltre un certo dosaggio, l’effetto analgesico rimane costante mentre aumentano gli effetti collaterali. Gli oppiodi agonisti forti non possiedono l’effetto “tetto“, ma inducono forte dipendenza. La buprenorfina condivide con i farmaci agonisti forti la potenza analgesica e con gli agonisti deboli l’effetto “tetto“.
La morfina è il farmaco oppioide di riferimento, rispetto alla quale viene definita la potenza analgesica degli altri oppioidi. La morfina è utilizzata per endovena o per via intramuscolare del trattamento del dolore acuto; i sali più utilizzati sono la morfina cloridrato e la morfina solfato. La morfina è utilizzata per via orale nel trattamento del dolore cronico, in particolare nel dolore cronico oncologico. In forma orale è disponibile come morfina a rilascio immediato e a rilascio prolungato. La morfina a rilascio immediato è indicata nella individualizzazione del dosaggio (titolazione) e nel trattamento del dolore acuto come dose di soccorso. La morfina a rilascio prolungato è utilizzata come terapia di mantenimento. Nel trattamento del dolore oncologico moderato-grave, circa il 65% dei pazienti ottiene un effetto analgesico soddisfacente (controllo del dolore) con dosi orali di morfina fino a 200 mg/die. La morfina può essere somministrata anche per via epidurale o intratecale, con effetti analgesici prolungati (fino a 24 ore). I principali effetti collaterali della morfina sono, in linea generale, rappresentativi degli effetti collaterali dei farmaci oppioidi: stipsi, sedazione, nausea e depressione respiratoria.
L’idromorfone è un oppioide analogo della morfina, a breve emivita, impiegato per via orale o parenterale. Risulta 5-7 volte più potente della morfina. Sulla base dei fattori di conversione equianalgesica, la dose di morfina orale deve essere divisa per 5 oppure per 150 oppure per 1500 per ottenere rispettivamente la dose equivalente di idromorfone orale, peridurale e subaracnoideo (Linee Guida per il corretto uso degli analgesici nella terapia del dolore, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
L’ossicodone è un oppioide semisintetico impiegato per via orale per la sua migliore biodisponibilità (60%). Possiede una potenza analgesica di circa un terzo superiore a quella della morfina. Per ottenere la dose equianalgesica dell’ossicodone orale è sufficiente dimezzare la dose orale della morfina (Linee Guida per il corretto uso degli analgesici nella terapia del dolore, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Il metadone possiede elevata biodisponibilità orale (80%) e pertanto è somministrato sia per bocca che per via parenterale. E’ caratterizzato da lunga emivita con conseguente rischio di possibili fenomeni di accumulo in seguito a dosi ripetute. Il passaggio dalla morfina al metadone richiede cautela e una dose iniziale di metadone decisamente inferiore rispetto a quella della morfina, da incrementare poi successivamente a seconda della risposta del paziente.
Il fentanil è somministrato per via transdermica tramite l’applicazione di cerotti che rilasciano progressivamente il farmaco. Il cerotto deve essere sostituito ogni 3 giorni; alcuni pazienti necessitano di sostituzioni più frequenti, ogni 2-2,5 giorni. Il dispositivo transdermico rilascia il fentanil nello strato sottocutaneo dove si forma una sorta di deposito del farmaco, da qui lentamente il fentanil passa in circolo.
La buprenorfina è somministrata come il fentanil per via transdermica oppure per via sublinguale o parenterale (l’assorbimento gastrointestinale è limitato). Ha una potenza rispetto alla morfina orale di circa 1:70. Per ottenere la dose equianalgesica di buprenorfina sublinguale, sottocutanea o intramuscolare, la dose di morfina orale deve essere divisa per 75; per ottenere la dose di buprenorfina endovena è necessario dividere la dose di morfina orale per 100. Una dose di 35 mcg/h di buprenorfina corrisponde, in termini di equianalgesia, ad una dose di fentanil di 25 mcg/h (Linee Guida per il corretto uso degli analgesici nella terapia del dolore, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Il tapentadolo è un farmaco analgesico con duplice meccanismo: oppioide, agonista sui recettori ?, e inibitore della ricaptazione della noradrenalina. Indicato per il trattamento del dolore cronico severo, rappresenta un’alternativa terapeutica all’oxicodone in caso di dolore non oncologico.
La codeina è un oppioide debole; esplica azione analgesica probabilmente per conversione metabolica a morfina (10% della dose). E’ utilizzata per via orale spesso in associazione al paracetamolo nel trattamento del dolore di moderata intensità (secondo gradino della scala analgesica proposta dalla WHO). Per ottenere la dose orale equianalgesica di codeina è necessario dividere per 0,1 la dose orale di morfina (Linee Guida per il corretto uso degli analgesici nella terapia del dolore, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Il tramadolo, come la codeina, è un oppioide debole, indicato nel trattamento del dolore acuto da lieve a moderato, disponibile anche in associazione a paracetamolo. Il tramadolo agisce sia con meccanismo oppioide (agonista sui recettori ?) sia per inibizione della ricaptazione di serotonina e noradrenalina, la prima coinvolta nelle vie discendenti del dolore che originano dal mesencefalo, la seconda nelle vie discendenti che partono dalla zona pontina (Raffia et al., 1992). Il rapporto fra tramadolo e morfina (dose orale), in termini di equianalgesia, è di 5:1 per la somministrazione orale di tramadolo (30 mg di morfina orale corrispondono a 150 mg di tramadolo orale) e di 10:1 per la somministrazione parenterale di tramadolo (30 mg di morfina orale corrispondono a 300 mg di tramadolo parenterale) (Linee Guida per il corretto uso degli analgesici nella terapia del dolore, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Il destropropossifene appartiene al gruppo degli oppioidi deboli. Possiede una potenza analgesica sovrapponibile a quella della codeina e una durata d’azione simile a quella del metadone. Il destropropossifene è spesso associato ai FANS.
La dose di un farmaco oppioide deve essere calibrata sulle necessità del singolo paziente per ottenere un effetto analgesico soddisfacente e limitati effetti collaterali (titolazione della dose). In genere prima di passare da un oppioide più debole ad uno più forte, si aumenta la dose del primo fino a quando il paziente ne tollera gli effetti avversi. I pazienti anziani presentano una maggiore sensibilità ai farmaci oppioidi, pertanto la dose iniziale deve essere più bassa rispetto a quella somministrata ai giovani adulti e gli incrementi successivi più contenuti. Per ottenere concentrazioni plasmatiche stabili deve trascorrere un tempo corrispondente a circa 4-5 emivite del farmaco analgesico; gli oppioidi con lunga emivita possono indurre tossicità ritardata dopo incrementi successivi del dosaggio. Il trattamento con gli oppioidi dovrebbe prevedere degli orari fissi a cui somministrare il farmaco, senza attendere l’acuirsi del dolore. Se compare dolore nell’intervallo fra due somministrazioni successive, prevedere la possibilità di somministrare una dose ulteriore di oppioide (“rescue dose“), che in genere è pari al 30% della dose di farmaco giornaliera. L’associazione di farmaci oppioidi a paracetamolo o FANS permette di ottenere un effetto antalgico migliore e di ridurre la dose di oppioide favorendone la tollerabilità (analgesia multimodale). Associando ad esempio il paracetamolo alla morfina, è possibile ridurre la dose di quest’ultima del 20%, mentre combinando morfina e FANS, è possibile diminuire la dose di morfina del 30-50% (“Opioid sparing effect“, letteralmente effetto di risparmio dell’oppioide) (Wickerts et al., 2011; Gatti et al., 2010; Remy et al., 2005).
La tolleranza agli effetti analgesici degli oppioidi (necessità di aumentare la dose di farmaco per mantenere stabili gli effetti farmacologici) non costituisce una delle cause principali che portano ad aumentare nel tempo la dose dell’oppioide in caso di cure prolungate. L’incremento della dose di oppioide è determinato, nella maggior parte dei pazienti, dal peggioramento della malattia di base.
Sussistono controindicazioni all’uso dei farmaci oppioidi che comprendono: insufficienza renale, malattie polmonari ostruttive, malattie del fegato, encefalopatie e demenze.
L’uso dei farmaci oppioidi nella terapia del dolore richiede di conoscere i relativi rapporti di equivalenza fra le dosi per poter passare da un farmaco all’altro e/o modificare lo schema di somministrazione. La rotazione degli oppioidi è indicata in caso di analgesia non ottimale e/o scarsa tolleranza agli effetti collaterali dei farmaci. Poichè la tolleranza fra i vari farmaci non è totale, nel passaggio dall’uno all’altro la dose del secondo deve essere ridotta (riduzione del 25-50%). Fanno eccezione il fentanil transdermico e il metadone: nel primo caso infatti non si deve ridurre la dose del fentanil, mentre nel caso del metadone la dose deve essere ridotta del 75-90%.
Farmaci adiuvanti
I farmaci “adiuvanti“ sono farmaci che non possiedono necessariamente un effetto analgesico, ma che in determinate condizione possono favorire l’azione farmacologica dei farmaci analgesici (azione sinergica) oppure contrastarne gli effetti collaterali (ad esempio i lassativi in caso di terapia oppioide) (De Robertis Lombarti, 2004).
I principali farmaci adiuvanti comprendono: antidepressivi, anticonvulsivanti, corticosteroidi, bifosfonati, psicotropi e miorilassanti muscolari.
Gli antidepressivi triciclici sono in genere utilizzati nel dolore cronico associato a tumore in presenza di depressione e/o insonnia e nel dolore neuropatico di origine oncologica. L’azione analgesica è ottenuta attraverso la modulazione della trasmissione del dolore lungo le vie discendenti (inibizione della ricaptazione dei neurotrasmettitori serotonina e noradrenalina) ed è raggiunta con dosaggi (fino al 50%) e tempi (4-7 giorni) inferiori a quelli necessari per indurre l’azione antidepressiva (azione analgesica intrinseca degli antidepressivi).
Gli antidepressivi utilizzati nella terapia del dolore sono: (farmaci di prima linea) amitriptilina, clomipramina, imipramina; (farmaci di seconda linea) desipramina, nortriptilina; (farmaci di terza linea) maprotilina, trazodone (De Robertis Lombarti, 2004).
Gli anticonvulsivanti sono impiegati nel trattamento del dolore neuropatico. Per alcuni questa indicazione rientra fra quelle autorizzate (carbamazepina, fenitoina, gabapentin, pregabalin), per altri si tratta di un uso off label (acido valproico, clonazepam, lamotrigina). Gli anticonvulsivanti agiscono come stabilizzatori di membrana attraverso l’inibizione dei canali del sodio. L’analgesia è raggiunta con dosaggi sovrapponibili a quelli impiegati nella terapia anticonvulsivante.
I corticosteroidi sono farmaci antinfiammatori immunomodulanti; sono utilizzati in caso di dolore da metastasi ossee, dolore neuropatico da infiltrazione o compressione nervosa, cefalea da ipertensione endocranica, compressione acuta del midollo spinale, sindrome della vena cava superiore, linfedema sintomatico e distensione della capsula epatica, infiltrazioni di tessuti molli (tumori della testa e del collo, tumori addominali e pelvici). I principali farmaci corticosteroidi utilizzati sono desametasone, metilprednisone e prednisone.
I bifosfonati sono utilizzati in caso di metastasi ossee e ipercalcemia tumorale. Agiscono per inibizione dell’attività degli osteoclasti, cellule deputate al riassorbimento del tessuto osseo. I principali bifosfonati utilizzati sono il clodronato, il pamidronato e lo zoledronato.
I farmaci psicotropi comprendono le benzodiazepine (farmaci ansiolitici, miorilassanti) e i neurolettici (farmaci ansiolitici e sedativi). Le benzodiazepine permettono di interrompere il circolo vizioso in base al quale il dolore crea ansia che a sua volta abbassa la soglia del dolore e ne favorisce la manifestazione. Nella terapia del dolore la scelta della benzodiazepina è basata sul quadro clinico globale del paziente; in genere sono preferite le benzodiazepine con media-lunga durata d’azione (Novelli et al., 1999). I neurolettici possono trovare impiego nella terapia del dolore perchè intervengono nella trasmissione del dolore a livello delle aree di integrazione del sistema nervoso centrale quali la sostanza reticolare e il sistema limbico. Sono utilizzati per gli effetti antipsicotici e antiemetici.
I farmaci miorilassanti muscolari sono un gruppo di sostanza eterogenee con meccanismi d’azione differenti, utilizzati per il controllo degli spasmi muscolari. Possono avere azione centrale (baclofene, tizanidina) o periferica (tiocolchicoside, pridinolo).
Nel trattamento del dolore, come farmaci adiuvanti, sono stati utilizzati anche l’idrossizina (Atarax), farmaco antistaminico che agisce per inibizione dei recettori H1 dell’istamina, per i suoi effetti sedativi, anticolinergici e antiemetici; i farmaci antiadrenergici per gli effetti di inibizione sulle strutture periferiche del sistema nervoso simpatico e sui mediatori spinali; la clonidina per gli effetti sedativi e di potenziamento dell’azione analgesica degli oppioidi; la capsaicina nel dolore miofasciale; la somatostatina, per l’analgesia spinale (Novelli et al., 1999).
Nel trattamento del dolore neuropatico refrattario è stata utilizzata la mexiletina, un anestetico locale somministrato per bocca (dose iniziale: 150 mg/die; dose massima: 750 mg/die) (De Robertis Lombarti, 2004).
Il ricorso ai farmaci adiuvanti nella terapia del dolore può in alcuni casi presentare dei problemi prescrittivi perchè potrebbe configurarsi la condizione di uso off label del farmaco, al di fuori cioè delle indicazioni approvate dal Ministero della Sanità.
Il paracetamolo e l'ibuprofene sono i principi attivi più usati dalle mamme e prescritti dai pediatri per trattare febbre ed influenza nei bambini. Ma quando è meglio usare uno piuttosto che l'altro e qual è la differenza tra paracetamolo ed ibuprofene?
• farmaci analgesici non oppioidi, a loro volta distinguibili in analgesici puri e analgesici/antinfiammatori (FANS e inibitori della COX-2)
• farmaci analgesici oppioidi
• farmaci adiuvanti
I farmaci analgesici non oppioidi comprendono il paracetamolo, i FANS tradizionali e gli inibitori della COX-2.
I farmaci oppioidi sono sostanze con effetti simili alla morfina, uno dei principali alcaloidi estratti dall’oppio (gli altri alcaloidi sono la codeina, la tebaina e la papaverina). Gli analgesici oppioidi, di cui la morfina è il capostipite e il farmaco più utilizzato, agiscono sulla nocicezione attraverso l’interazione con recettori specifici (μ, κ, δ, σ) localizzati in diverse aree del sistema nervoso centrale (ogni tipo recettoriale presenta diverse sottoclassi).
I recettori μ sono responsabili dell’analgesia sottospinale e sono coinvolti in alcuni effetti collaterali degli oppioidi quali depressione del respiro, ritenzione urinaria, costipazione, ipotensione ortostatica, nausea e vomito, miosi, inibizione secrezione vasopressina, dipendenza fisica.
I recettori κ sono responsabili dell’analgesia spinale e della sedazione.
I recettori δ sono responsabili dell’analgesia sovraspinale e sono coinvolti nell’induzione della nausea e del vomito e della miosi.
I recettori σ sono coinvolti nell’attivazione vasomotoria e respiratoria propria degli oppioidi e negli effetti collaterali di natura disforica e allucinatoria.
I farmaci “adiuvanti“ sono farmaci che non possiedono necessariamente un effetto analgesico, ma che in determinate condizione possono favorire l’azione farmacologica dei farmaci analgesici (azione sinergica) oppure contrastarne gli effetti collaterali (ad esempio i lassativi in caso di terapia oppioide) (De Robertis Lombarti, 2004).
Paracetamolo
Il paracetamolo è il farmaco più usato sui bambini. E’ efficace per il trattamento della febbre e del dolore in età pediatrica e resta l’unico farmaco consigliato durante la gravidanza e nella prima infanzia. Negli ultimi anni, in alcuni casi, l’ibuprofene viene utilizzato al posto del paracetamolo. In realtà si tratta di due farmaci completamente diversi e pertanto è bene conoscerli per poterli usare nel modo più appropriato.
Ibuprofene
L’ibuprofene è un farmaco antinfiammatorio non steroideo(FANS), cioè agisce contro il dolore e la febbre inibendo le ciclossigenasi (COX-1 e COX-2) nei tessuti periferici e nel Sistema Nervoso Centrale (SNC). Quindi l’azione di questo farmaco è antinfiammatoria e antipiastrinica.
Il paracetamolo invece inibisce le ciclossigenasi solo a livello del SNC e ha un effetto esclusivamente antidolorifico ed antipiretico e non è quindi un FANS non avendo attività antinfiammatoria.
L’unico vero problema del paracetamolo è che in dosi superiori a quelle consigliate (4-6 grammi al giorno), può creare danni anche gravi al fegato. Questo perchè una sostanza che da esso deriva (N-acetil-p-benzochinone imina) ha la capacità di consumare il glutatione delle cellule epatiche. Dal momento che il glutatione funziona da scudo contro i radicali, una dose troppo alta di paracetamolo può lasciare il fegato senza difese contro i radicali e portarlo all’insufficienza.
Il problema è che il paracetamolo è un potente farmaco ossidante e consuma le scorte del nostro più importante antiossidante: IL GLUTATIONE! E per di più, quando il glutatione scarseggia, il paracetamolo svolge la sua potente azione epatossica.
Nella realtà, però, è difficile vedere casi di persone che si sono avvelenate senza rendersene conto, dato che bisogna arrivare a prendere oltre sei grammi di paracetamolo al giorno per 2 giorni consecutivi e questo è difficile. Inoltre, all’insorgenza dei primi sintomi, si somministra un ottimo antidoto: l’acetilcisteina. Si tratta di una molecola sicura ed inoltre si hanno oltre 24 ore di tempo per somministrarla. Per questo è quasi impossibile morire per epatite da paracetamolo (mortalità dello 0,4% secondo diverse casistiche).
Il paracetamolo viene consigliato anche ai bambini piccoli e ai neonati, pur sapendo che i bambini (e i neonati in particolare) sono poveri di sostanze antiossidanti (come il glutatione).
E’ la dose che fa il veleno. E’ comprensibile che per il mondo dell’omeopatia sia difficile accettare il concetto secondo cui “la dose fa il veleno” ma purtroppo la farmacologia ha dimostrato che è così. Esistono precisi schemi di somministrazione del paracetamolo nei bambini (ed anche nei soggetti con alterata funzionalità epatica).
Il problema vero di cui si è discusso negli anni recenti è diverso: si è era ipotizzato che il paracetamolo in gravidanza possa causare l’autismo nei neonati. Tuttavia due lavori molto più recenti hanno fatto chiarezza, dimostrando come la sua assunzione in gravidanza non aumenti la probabilità di avere un figlio autistico, ma correli con una maggiore incidenza di disturbi dello spettro autistico nei bimbi che soffrono di iperattività. Questo non significa necessariamente che sia il paracetamolo la causa del disturbo, dato che una correlazione non implica necessariamente causalità. Ma in attesa di capire meglio la questione, i ginecologi preferiscono evitarne la somministrazione nelle donne in attesa, ricorrendo a farmaci con effetto analogo.
La sua azione sull’inibizione dei processi infiammatori è molto blanda, ma anche se fosse più importante, non sarebbe una cosa negativa. Limitare l’infiammazione non vuol dire gettare nel baratro l’intera risposta immunitaria. E’ vero che si tratta un processo fisiologico è volto ad eradicare i patogeni, ma molto spesso finisce essa per creare danni anche ai tessuti sani. Per questo la si riduce utilizzando farmaci antinfiammatori come il cortisone o l’aspirina e i suoi simili (i cosiddetti farmaci antinfiammatori non steroidei, famiglia di cui anche il paracetamolo fa parte, da cui la sua lieve azione sull’infiammazione). Per queste ragioni è sbagliato dire che il paracetamolo causi l’immunosoppressione con tutte le sue conseguenze.
Strettamente legato al discorso sulla limitazione del sistema immunitario è quello sulla febbre. Il paracetamolo è infatti un ottimo antipiretico e far scendere la febbre è un obiettivo importante in molte terapie,
Ora, è vero che la febbre è una reazione fisiologica e che è migliorare la difesa contro alcuni patogeni, ma non scioglie alcuna tossina e non depura nulla. L’incremento di temperatura rende difficile la replicazione dei batteri e favorisce alcune reazioni del sistema immunitario (ma dire “lo potenzia di 1000 volte” significa avere del sistema immunitario un’idea molto cartoonesca). La febbre, specie se di origine virale è autolimitante e non occorre trattarla. Tuttavia oltre i 38°C conviene abbassarla dato che può portare più danni che benefici (specie se coesistono altre condizioni patologiche).
Insieme alla vitamina D. si consiglia di sostituire il paracetamolo col metimazolo (novalgina), dal momento che le due molecole agiscono in modo simile. L’unica differenza è che il metimazolo non fa male al fegato.
Insieme alla vitamina D. si consiglia di sostituire il paracetamolo col metimazolo (novalgina), dal momento che le due molecole agiscono in modo simile. L’unica differenza è che il metimazolo non fa male al fegato.
Gli antibiotici non agiscono sul sistema immunitario. Agiscono direttamente sul patogeno, bloccando i sistemi che esso utilizza per sopravvivere.
Tuttavia bisogna dire che questi farmaci vanno davvero usati con parsimonia, solo quando si è certi della natura batterica dell’infezione, ed inoltre vanno presi per un periodo abbastanza lungo, altrimenti si finisce col creare ceppi resistenti e si hanno recidive nel giro di poco tempo. La multi-resistenza che i batteri stanno acquisendo è una delle più grandi paure della medicina moderna.
Novalgina
Meccanismo d'azione
Il metamizolo esercita la sua azione analgesica e antipiretica inibendo la ciclossigenasi (o COX).
La ciclossigenasi è un enzima di cui si conoscono tre diverse isoforme: COX-1, COX-2 e COX-3.
Il compito di questi enzimi è quello di convertire l'acido arachidonico presente nel nostro organismo in prostaglandine, prostacicline e trombossani.
Le prostaglandine - e in particolar modo le prostaglandine G2 e H2 (rispettivamente, PGG2 e PGH2) - sono coinvolte nei processi infiammatori e mediano le risposte dolorose. Mentre le prostaglandine di tipo E (PGE) inducono l'aumento della temperatura corporea.
La ciclossigenasi è un enzima di cui si conoscono tre diverse isoforme: COX-1, COX-2 e COX-3.
Il compito di questi enzimi è quello di convertire l'acido arachidonico presente nel nostro organismo in prostaglandine, prostacicline e trombossani.
Le prostaglandine - e in particolar modo le prostaglandine G2 e H2 (rispettivamente, PGG2 e PGH2) - sono coinvolte nei processi infiammatori e mediano le risposte dolorose. Mentre le prostaglandine di tipo E (PGE) inducono l'aumento della temperatura corporea.
Studi clinici hanno dimostrato che l'attività antipiretica del dipirone è nettamente superiore al paracetamolo nonché all'ibuprofene. Il farmaco riesce anche a mantenere la temperatura corporea bassa più a lungo rispetto all'ibuprofene e al paracetamolo. Sembra che il meccanismo principale non sia tuttavia l'inibizione della cicloossigenasi II, ma dell'isoforma III recentemente scoperta a livello cerebrale, che medierebbe l'analgesia e la piressia di origine centrale. Tuttavia la sua assunzione comporta certi rischi; nello specifico l'assunzione di metamizolo sodico comporta un aumento del rischio di sviluppare agranulocitosi.
Il metamizolo può provocare anche ipotensione. Questo effetto collaterale è stato spiegato con la scoperta che questo farmaco apre i canali del potassio ATP-dipendenti, che aperti inducono il deflusso di potassio e vengono chiusi dal legame con l'ATP. Questi canali sono tipici del pancreas in cui regolano, tramite il contenuto energetico della cellula rappresentato dall'alto contenuto di glucosio e quindi dell'ATP, la depolarizzazione della membrana cellulare l'apertura dei canali del calcio con conseguente fuoriuscita di insulina immobilizzata da granuli intracellulari. Tuttavia i canali del potassio ATP-dipendenti si trovano anche a livello della muscolatura liscia dei vasi: il Metamizolo forza la loro apertura e questo genera una ripolarizzazione della cellula, quindi i canali voltaggio dipendenti del calcio (VOCC) non possono aprirsi ed il basso contenuto di calcio non riesce ad indurre una contrazione fra actina e miosina. Il risultato sarà una più pronunciata vasodilatazione con conseguente ipotensione. Con questo stesso meccanismo si spiega anche la sua capacità di rilasciare la muscolatura bronchiale.
La novalgina è un farmaco che viene fornito al paziente dietro prescrizione medica, ma spesso viene distribuito come farmaco da banco.
La novalgina è un farmaco non oppiaceo con proprietà analgesiche: è un prodotto in gocce o compresse della Sanofi-Aventis. Il principio attivo è metamizolo sodico, o dipirone monoidrato.
La novalgina ha effetti di antipiretico e di antidolorifico contro cefalea, dolori ai denti, dolori mestruali.
Tra i rischi dell'assunzione della Novalgina, c'è quello di poter contrarre l'agranulocitosi, una grave malattia del sangue che abbassa le difese immunitarie e predispone il fisico umano a patologie mortali. Per il legame tra la Novalgina e rischio di agranulocitosi (0,5 % dei casi per milione di persone), la novalgina è stata vietata negli Stati Uniti e non risulta neanche registrata in Gran Bretagna.
La novalgina ha effetti di antipiretico e di antidolorifico contro cefalea, dolori ai denti, dolori mestruali.
Tra i rischi dell'assunzione della Novalgina, c'è quello di poter contrarre l'agranulocitosi, una grave malattia del sangue che abbassa le difese immunitarie e predispone il fisico umano a patologie mortali. Per il legame tra la Novalgina e rischio di agranulocitosi (0,5 % dei casi per milione di persone), la novalgina è stata vietata negli Stati Uniti e non risulta neanche registrata in Gran Bretagna.
Novalgina posologia: la Novalgina dev'essere usata per il trattamento di breve durata (20-40 gocce al giorno) di stati dolorifici o come antipiretico, e per molti è considerato un farmaco sicuro, dato che non comporta disturbi gastrici tra gli effetti collaterali. Non dev'essere somministrata in soggetti allergici e nelle donne in gravidanza va preso solo in stato di reale necessità.
ENGLISH
The fever
Fever is not a disease but its indirect sign (except very rare cases). Demonstrate that the human organism is reacting to a bacterial or viral attack. In itself, it is a positive sign, so it is true that older and defamed people may even have pneumonia without a tenth of hypersensitivity! And it is dangerous as it risks not recognizing an important pathology that can endanger the survival itself.
An element that often accompanies fever and alarms the affected and/or family members is the appearance of chills, which can be so intense that they are confused with real convulsions (especially in children ...). These muscle wrap contractions are the mechanism by which heat is produced that causes increased internal temperature and are often the most annoying symptom along with the cold feeling due to peripheral vasoconstriction (which reduces heat loss ...).
The first concern, then, should not be to lower the fever (apart from some chronic pathologies, which are known to the patient, which may be reversed by hyperpyrexia itself) but to observe it understands, even through the same pattern of the fever, the cause that caused it. Tell the doctor if the fever is constant, intermittent, every 2 to 3 days, with or without chills, of mild, medium or high degree ... helps to make a correct diagnosis. This observation then falls into the subjectivity of the patient. There are categories that endure the fever well, see the young adult, others who tolerate it less, such as children and the elderly. Consequently, there is no limit for everyone to start treatment (as well as the definition of temperature beyond which we talk about fever is not the same for everyone: ranges from 37 ° to 37.5 °).
By treating this symptom, normally each of us should have already selected the reference antipyretic (and it is good to always be provided). The most commonly used drugs are PARACETAMOL (see tachipirin), IBUPROFENE (see Nurofen and many other products), ACIDOACETILSALICILIC (aspirin ...) and NORAMIDOPIRIDINE (read novel). They are all effective, they differ in the power of antipyretic action and its speed. Each of these drugs has its own dosage, tied to the age and weight of the person. Once the maximum limit is reached, it is never advised to exceed it, but it is best to proceed with the addition of another molecule if the hyperpiride does not reach the desired lower limit. Frequent is the tachypyrine-aspirin association. The main action mechanism through which fever drops is peripheral vasodilation, responsible for copious sweating sweats. At this stage we discover and dry the sweat that covers the skin, the faster the fall of the fever
Pain
Pain therapy utilizes different drugs that can be used alone (monotherapy) or in combination (polytherapy or combined therapy) depending on the intensity and quality of the pain. The combination of analgesic drugs belonging to different groups can improve the quality of analgesia and reduce the dose of each drug by improving its tolerability (multimodal analgesia). Pain therapy should provide a sequential approach, modulated to the type of pain experienced by the patient; Must be tailored to the needs of the individual patient (individualized therapy); It must promote patient compliance (patient compliance).
The World Health Organization (WHO) or WHO (World Health Organization) established a gradual approach to treating pain, identifying three steps: mild pain (VAS 1-4 visual scale), moderate pain (scale Visual analogue VAS 5-6), severe pain (visual analogue scale VAS 7-10) (WHO, 1986). In patients with mild pain, the drugs of choice are paracetamol or NSAIDs, possibly in combination with adjuvant drugs. In patients with moderate pain, the recommended drugs are minor opioids, possibly associated with paracetamol or NSAIDs and/or adjuvant drugs. In the strong pain the drugs of choice are strong opioids possibly in combination with paracetamol or NSAIDs and / or adjuvant drugs.
Depending on the drug and patient's clinical picture, analgesic drugs can be administered topically, orally, rectally, intravenously, intramuscularly and transdermally. In some cases, the endotracheal, intranasal and sublingual routes may also be used.
Analgesic drugs, capable of inducing analgesia (absence of pain in the presence of a painful stimulus), include:
• non-opioid analgesic drugs, in turn, distinguishable in pure analgesics and analgesics / anti-inflammatory drugs (FANS and COX-2 inhibitors)
• opioid analgesic drugs
• adjuvant drugs
Non-opioid analgesic drugs
Non-opioid analgesic drugs include paracetamol, traditional FANS and COX-2 inhibitors.
Paracetamol has a marked analgesic and antipyretic effect and an safety/tolerance profile (the most widely used PAINKILLER). It acts on the peripheral and central nervous system. The mechanism of action of paracetamol provides: 1) inhibition of the cyclooxygenase enzyme in peripheral nerve endings that prevents the release of hyperalgesic agents (prostaglandins, prostacyclin), ie lowering the excitatory threshold of the nociceptive receptor; 2) the blocking of the transmission of spinal stimulation at the spinal level; 3) the central activation of serotoninergic neurons that exert a modulation effect on the primary afferent nociceptive pathways (nerve fibers that transmit the signal from the periphery to the spinal cord).
Paracetamol is an effective analgesic in pain forms in which the inflammatory component is not prevalent (eg a headache, migraine, dysmenorrhoea) and post-operative pain; Is the drug of choice in treating mild to moderate pain. It can be administered orally or rectally. The optimal oral analgesic dose is equivalent in the adult to 2-3 g / day and in the baby at 10-15 mg / kg / dose every 6 hours. The recommended dose should not be exceeded because the drug is hepatotoxic (maximum oral dose in adults: 4 g / day; maximum oral dose in infants up to 2 years: 75 mg / kg / day; maximum oral dose in infants between 2 And 12 years: 90-100 mg / kg / day.). The most common side effects of paracetamol include skin rash, erythema, urticaria, itching. Paracetamol is also available in combination with some opioid drugs such as codeine, tramadol and oxycodone.
NSAIDs or non-steroidal anti-inflammatory drugs are a heterogeneous group of molecules with antipyretic, analgesic, anti-inflammatory and anti-inflammatory platelet activity. They act by blocking the enzyme cyclooxygenase and inhibiting the formation of prostaglandins, prostacyclins and thromboxanes. Cyclooxygenase is present in two forms, a constituent (cyclooxygenase-1 or COX-1) and an induced (cyclooxygenase-2 or COX-2). Traditional NSAIDs inhibit both cyclooxygenase isoforms, while COX-2 inhibitors exhibit selective inhibition action on the enzyme-induced form. NSAIDs and COX-2 inhibitors have an obvious analgesic effect in pain associated with inflammation but have many side effects that limit their use. These effects mainly occur at the blood, gastric and kidney levels. NSAIDs and COX-2 inhibitors, although with some differences, may cause gastric toxicity until ulcers and bleeding; Kidney failure for inhibition of vasodilating prostaglandins (prostaglandins support kidney perfusion), bronchospasm, edema, hypertension, thrombotic events and congestive heart failure. In addition, NSAIDs have numerous pharmacological interactions (eg anticoagulants, antihypertensives, diuretics, hypoglycemic agents, sulphonates) and can inhibit uterine contractions during labor.
Systemic SIDE NON-BREAKING HYPHEN (8209) administration shows a "roof" effect in the treatment of pain, similar to that found with weak opioids: after a certain dose, specific to each drug, the analgesic effect remains constant, while increasing, as the Dose, only side effects. In pain therapy, NSAIDs may be associated with paracetamol or opioids, while not being associated with one another.
Fans are the most commonly used medication for treating chronic pain. In a large-scale survey evaluating the prevalence, severity, treatment and social impact of chronic pain in 16 countries (15 European countries plus Israel), about half of patients used NSAIDs in the form of tablet medication (55% of patients ) Or as a prescription drug (44%) (Breivik et al., 2006). The data were confirmed by a smaller population study (1230 patients) where NSAIDs were the most commonly used analgesics (44% of patients) followed by paracetamol (22% of patients) (Bentivegna et al., 2014 ).
Opioid analgesic drugs
Opioid drugs are substances with morphine-like effects, one of the main alkaloids extracted from opium (other alkaloids are codeine, tebain and papaverine). Opioid analgesics, of which morphine is the parent and the most commonly used drug, act on nociception through interaction with specific receptors (μ, κ, δ, σ) located in different areas of the central nervous system (each receptor type presents different subclasses).
Μ receptors are responsible for sub-spinal analgesia and are implicated in some side effects of opioids such as breathing depression, urinary retention, constipation, orthostatic hypotension, nausea and vomiting, myosis, vasopressin secretion inhibition, physical dependence.
Κ receptors are responsible for spinal analogy and sedation.
Δ receptors are responsible for supra-spinal analgesia and are involved in inducing nausea and vomiting and myosis.
Σ receptors are involved in the vasomotor and respiratory activation of opioids and the disruptive and hallucinatory side effects.
Only morphine and codeine are natural opioids, others are semisynthetic derivatives (destromethorphan and tramadol derive from codeine, buprenorphine and oxycodone derive from tebain) or synthetics, with a molecular structure different from morphine (eg, petyidine / meperidine, fentanyl, sufentanil, methadone , Dextropropoxyphene, pentazocine).
Depending on the type of receptor interaction, opioid drugs are classified into pure agonists, partial agonists, agonist-antagonists and antagonists. Pure agonists are opioid drugs that induce morphine-like effects (eg morphine, codeine, oxycodone, fentanyl, tramadol). Partial agonists are drugs that exhibit intrinsic activity on the μ lower than that of morphine (eg buprenorphine). Agonists / antagonists are opioid drugs that exert an agonist action on the κ receptor and antagonist action on the μ receptor (eg pentazocine). Antagonists are drugs that block opioid receptors (eg naloxone, naltrexone) (Novelli et al., 1999; Miller, 2006).
Agonist opioid drugs are further subdivided into "strong" and "weak" depending on the analgesic power and the degree of addiction (addiction syndrome). The first group is morphine, hydromorphone, fentanyl, methadone, oxycodone, buprenorphine, petidine (meperidine), tapentadol; In the second group belong codeine, destropropossiphene and tramadol (codeine and tramadol are the ones most used in the clinic). Poor opioid agonists have the "roof" effect: over a certain dosage, the analgesic effect remains constant as side effects increase. Strong agonists do not have the "roof" effect, but they cause strong dependence. Buprenorphine shares with agonist drugs strong analgesic power and with agonists weaken the "roof" effect.
Morphine is the reference opioid drug, with respect to which the analgesic power of other opioids is defined. Morphine is used for intravenous or intramuscular treatment of acute pain; The most used salts are morphine hydrochloride and morphine sulphate. Morphine is used orally in the treatment of chronic pain, particularly in chronic oncological pain. Orally, it is available as immediate release and prolonged release morphine. Immediate release morphine is indicated in the individualization of the assay (titration) and in the treatment of acute pain as a dose of rescue. Prolonged release morphine is used as maintenance therapy. In the treatment of moderate to severe oncology, approximately 65% of patients get a satisfactory analgesic effect (pain control) with oral morphine doses up to 200 mg / day. Morphine can also be administered epidural or intrathecal, with prolonged analgesic effects (up to 24 hours). The main side effects of morphine are, in general, representative of the side effects of opioid drugs: constipation, sedation, nausea and respiratory depression.
Idromorphone is an analog opioid of morphine, short-lived, administered orally or parenterally. It is 5-7 times more potent than morphine. Based on equianalgesic conversion factors, the oral dose of morphine should be divided by 5 or 150 or 1500 for the equivalent oral, peridural and subarachnoid oral hydromorphone dose respectively (Guidelines for the correct use of analgesics in pain therapy , Company ULSS 12 Veneziana, 2012).
Oxycodone is an oral semisynthetic opioid for its best bioavailability (60%). It has an analgesic power of about one third higher than that of morphine. To obtain the equianalgesic dose of oral oxycodone it is sufficient to halve the oral dose of morphine (Guidelines for the correct use of analgesics in pain therapy, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Methadone has high oral bioavailability (80%) and is therefore administered either by mouth or by parenteral administration. It is characterized by long half life, with the consequent risk of accumulation phenomena due to repeated doses. The transition from morphine to methadone requires caution and an initial dose of methadone significantly lower than that of morphine, to be increased subsequently depending on the patient's response.
Fentanyl is administered transdermally by the application of patches that release the drug progressively. The patch should be replaced every 3 days; Some patients need more frequent replacements every 2 to 2.5 days. The transdermal device releases fentanyl in the subcutaneous layer where a drug store is formed, from which the fentanyl slowly circulates.
Buprenorphine is administered as fentanyl by transdermal or sublingual or parenteral (gastrointestinal absorption is limited). It has a power versus oral morphine of about 1:70. To obtain the equianalgesic dose of sublingual, subcutaneous or intramuscular buprenorphine, the oral dose of morphine should be divided by 75; To obtain the dose of endovene buprenorphine, it is necessary to divide the oral morphine dose by 100. A dose of 35 mcg / h buprenorphine corresponds, in terms of equianalgesia, to a dose of fentanyl of 25 mcg / h (Guidelines for Correct Use of analgesics in pain therapy, ULSS 12 Venetian Company, 2012).
Tapentadol is an analgesic drug with two mechanisms: opioid, receptor agonist, and inhibitor of the reuptake of noradrenaline. Suitable for the treatment of severe chronic pain, it is a therapeutic alternative to oxycodone in the event of non-oncological pain.
Codeine is a weak opioid; It is an analgesic action probably for morphine metabolic conversion (10% of the dose). It is often used in combination with paracetamol in the treatment of pain of moderate intensity (second step of the analgesic scale proposed by the WHO). To obtain the equianalgesic oral codeine dose, it is necessary to divide by 0.1 the oral dose of morphine (Guidelines for the Proper Use of Analgesics in Pain Therapy, Company ULSS 12 Veneziana, 2012).
Tramadol, such as codeine, is a weak opioid, indicated in the treatment of mild to moderate acute pain, also available in combination with paracetamol. Tramadol acts both with opioid mechanism (agonist on receptors?) And inhibition of serotonin and noradrenaline reuptake, the first involved in the descending pathways of pain originating from the mesencephalus, the second in the descending paths that start from the pontin area (Raffia et al ., 1992). The ratio between tramadol and morphine (oral dose) in terms of equianalgesia is 5: 1 for oral tramadol (30 mg oral morphine corresponds to 150 mg of oral tramadol) and 10: 1 for parenteral administration Of tramadol (30 mg of oral morphine correspond to 300 mg of parenteral tramadol) (Guidelines for the correct use of analgesics in pain therapy, Azienda ULSS 12 Veneziana, 2012).
Destropropossiphene belongs to the group of weak opioids. It has an analgesic power that is consistent with that of codeine and a methadone-like action duration. Destropropossiphene is often associated with NSAIDs.
The dose of an opioid drug should be calibrated on the individual patient's need to obtain a satisfactory analgesic effect and limited side effects (titration of the dose). Generally, before moving from a weaker opioid to stronger one, the first dose increases until the patient tolerates the adverse effects. Older patients exhibit greater sensitivity to opioid drugs, therefore the initial dose should be lower than that given to young adults and the subsequent incremental increases. To obtain stable plasma concentrations, a time corresponding to approximately 4-5 half-lives of the analgesic drug should be spent; Long-lived opioids may induce delayed toxicity after subsequent dosing increments. Treatment with opioids should include fixed schedules to administer the drug, without waiting for the acuity of the pain. If pain occurs in the interval between two subsequent doses, provide for the possibility of administering a further rescue dose (usually 30% of the daily dose). The combination of opioid drugs with paracetamol or NSAIDs results in better anorectic effect and reduced opioid dose by favoring tolerability (multimodal analgesia). By associating paracetamol with morphine, for example, it is possible to reduce the latter's dose by 20%, while combining morphine and NSAIDs, the morphine dose may be reduced by 30-50% ("Opioid sparing effect", literally saving effect (Wickerts et al., 2011; Gatti et al., 2010; Remy et al., 2005).
Tolerance to opioid analgesic effects (need to increase drug dose to maintain stable pharmacological effects) is not one of the major causes leading to prolonged opioid dose prolongation. The increase in opioid dose is determined, in most patients, by the worsening of the underlying disease.
There are contraindications to the use of opioid drugs that include: kidney failure, obstructive pulmonary disease, liver disease, encephalopathy and dementia.
The use of opioid drugs in pain therapy requires that you know about the equivalence ratios between doses in order to switch from one drug to another and / or modify the administration scheme. Rotation of opioids is indicated in the case of non-optimal analgesia and / or poor tolerance to drug side effects. As the tolerance between the various drugs is not total, in the passage from one to the other the dose of the second should be reduced (reduction of 25-50%). Transdermal fentanyl and methadone are exceptions: in the first case the dose of fentanyl should not be reduced, while in the case of methadone the dose should be reduced by 75-90%.
Adjuvant drugs
Adjuvant drugs are drugs that do not necessarily have an analgesic effect but which in certain conditions may favor the drug action of analgesic drugs (synergistic action) or counteract the side effects (eg laxatives in opioid therapy) ( Robertis Lombarti, 2004).
The main adjuvant drugs include: antidepressants, anticonvulsants, corticosteroids, bisphosphonates, psychotrops and muscle relaxants.
Tricyclic antidepressants are generally used in chronic pain associated with cancer in the presence of depression and/or insomnia and in neuropathic pain of oncological origin. Analgesic action is obtained by modulating the transmission of pain along the descending pathways (inhibition of the reception of serotonin and noradrenaline neurotransmitters) and is achieved with doses (up to 50%) and times (4-7 days) lower than required To induce antidepressant action (intrinsic analgesic action of antidepressants).
Antidepressants used in pain therapy are: (first-line drugs) amitriptyline, clomipramine, imipramine; (Second line drugs) desipramine, nortriptyline; (Third line drugs) maprotiline, trazodone (De Robertis Lombarti, 2004).
Anti-convulsants are used in the treatment of neuropathic pain. For some, this indication is among the authorized ones (carbamazepine, phenytoin, gabapentin, pregabalin), for others it is an off label (valproic acid, clonazepam, lamotrigine). Anti-convulsants act as membrane stabilizers through the inhibition of sodium channels. Analgesia is achieved with doses overlapping with those used in anticonvulsant therapy.
Corticosteroids are immunomodulatory anti-inflammatory drugs; Are used in the case of pain from bone metastases, neuropathic pain from infiltration or nervous compression, endocrine hypertension headache, acute spinal cord compression, upper vein syndrome syndrome, symptomatic lymphedema and hepatic capsule relaxation, soft tissue infiltration (cancer of the Head and neck, abdominal and pelvic tumors). The main corticosteroid drugs used are dexamethasone, methylprednisone and prednisone.
Biphosphates are used in the case of bone metastases and cancer hypercalcemia. They act to inhibit the activity of osteoclasts, cells responsible for bone resorption. The main bisphosphonates used are clodronate, pamidronate and zoledronic acid.
Psychotropic drugs include benzodiazepines (anxiolytic drugs, muscle relaxants) and neuroleptics (anxiolytic and sedative drugs). Benzodiazepines allow interrupting the vicious circle under which pain creates anxiety that in turn lowers the threshold of pain and promotes the manifestation. In the treatment of pain, the choice of benzodiazepine is based on the overall clinical picture of the patient; Generally preferred long-acting benzodiazepines (Novelli et al., 1999). Neuroleptics can be used in pain therapy because they are involved in the transmission of pain at the level of central nervous system integration areas such as the reticular substance and the limbic system. They are used for antipsychotic and anti-emetic effects.
Muscle relaxants are a group of heterogeneous substances with different action mechanisms used to control muscle spasms. They may have central action (baclofen, tizanidine) or peripheral (thiocolchicoside, pridinol).
In the treatment of pain, as adjuvant drugs, hydroxysin (Atarax), an antihistamine drug that inhibits H1 Histamine receptors for its sedative, anticholinergic and anti-emetic effects has also been used; Anti-adrenergic drugs for inhibition effects on peripheral structures of the sympathetic nervous system and spinal mediators; Clonidine for sedative effects and potentiation of opioid analgesic action; Capsaicin in myopathic pain; Somatostatin, for spinal analgesia (Novelli et al., 1999).
In the treatment of refractory neuropathic pain, mexiletin, a local anesthetic given by mouth (initial dose: 150 mg / day; maximum dose: 750 mg / day) was used (De Robertis Lombarti, 2004).
The use of adjuvant drugs in pain therapy may in some cases present prescriptive problems because the condition of the drug's off-label use may be the out-of-box indication of the guidelines approved by the Ministry of Health.
Paracetamol and ibuprofen are the most active ingredients used by mothers and prescribed by pediatricians to treat fever and affect children. But when is it better to use one rather than the other and what is the difference between paracetamol and ibuprofen?
Paracetamol
Paracetamol is the most commonly used drug on children. It is effective for the treatment of fever and pain in pediatric age and remains the only recommended drug during pregnancy and early infancy. In recent years, in some cases, ibuprofen is used in place of paracetamol. In fact, these are two completely different medicines, so it's good to know them to be able to use them in the most appropriate way.
Ibuprofen
Ibuprofen is a non-steroidal anti-inflammatory drug (NSAID), ie it acts against pain and fever by inhibiting cyclooxygenase (COX-1 and COX-2) in peripheral tissues and in the Central Nervous System (SNC). Therefore the action of this drug is anti-inflammatory and antipyretic.
Paracetamol instead inhibits cyclooxygenase only at the SNC level and has only an anti-pain and antipyretic effect and is therefore not a NSAID without anti-inflammatory activity.
The only real problem with paracetamol is that in doses higher than recommended (4-6 grams per day), it can also cause serious damage to the liver. This is because a substance derived from it (N-acetyl-p-benzoquinone imine) has the ability to consume glutathione of liver cells. Since glutathione acts as a shield against radicals, a too high dose of paracetamol can leave the liver unprotected against the radicals and lead to inadequacy.
The problem is that paracetamol is a powerful oxidizing drug and consumes the stocks of our most important antioxidant: the GLUTATHIONE! And moreover, when glutathione is scarce, paracetamol performs its powerful hepatotoxic action.
In reality, however, it is difficult to see cases of poisoned people without realizing it, since it is necessary to get over six grams of paracetamol per day for 2 consecutive days and this is difficult. Additionally, with the onset of the first symptoms, an excellent antidote is given: acetylcysteine. This is a safe molecule and you also have over 24 hours to administer it. This is why it is almost impossible to die for paracetamol hepatitis (0.4% mortality according to different cases).
Paracetamol is also recommended for young children and infants, although they know that children (and infants in particular) are poor in antioxidant substances (such as glutathione).
It's the dose that makes the poison. It is understandable that in the world of homeopathy it is difficult to accept the concept that "dose does poison" but unfortunately pharmacology has shown that this is so. There are precise patterns of paracetamol administration in children (and also in subjects with impaired liver function).
The real problem that has been discussed in recent years is different: it has been hypothesized that paracetamol in pregnancy can cause autism in infants. However, much more recent work has made it clear, showing how pregnancy intake does not increase the likelihood of having an autistic child but correlates with increased incidence of autistic spectrum disorders in children suffering from hyperactivity. This does not necessarily mean that paracetamol is the cause of the disorder since a correlation does not necessarily imply causality. But waiting to better understand the issue, gynecologists prefer to avoid administering it to women waiting, using medications with similar effect.
His action on the inflammation of inflammatory processes is very low, but even if it is more important, it would not be a bad thing. Limiting inflammation does not mean throwing up the whole immune response. It is true that this is a physiological process is aimed at eradicating pathogens, but it often ends up also to create harm to healthy tissues. Therefore, it is reduced by using anti-inflammatory drugs such as cortisone or aspirin and its like (so-called non-steroidal anti-inflammatory drugs, a family of which paracetamol is also part, from which its mild action on inflammation). For these reasons it is wrong to say that paracetamol causes immunosuppression with all its consequences.
Closely linked to the talk about immune system restriction is that of fever. Paracetamol is an excellent antipyretic and fever drop is an important goal in many therapies,
Now, it is true that fever is a physiological reaction and that it is improving the defense against some pathogens, but it does not dissolve any toxins and does not deplete anything. The increase in temperature makes it difficult to replicate bacteria and favors some immune system reactions (but say "boost it 1000 times" means having a very cartoonist immune system). Fever, especially if viral, is self-limiting and does not need to be treated. However, over 38 ° C it is advisable to lower it as it can cause more harm than good (especially if other pathological conditions coexist).
Along with Vitamin D. it is advisable to replace paracetamol with metimazole (novalgina), as the two molecules act similarly. The only difference is that metimazole does not hurt the liver.
Antibiotics do not act on the immune system. They act directly on the pathogen, blocking the systems it uses to survive.
However, you should say that these medicines are really used sparingly, only when you are certain of the bacterial nature of the infection, and should also be taken for a long period of time, otherwise you will end up creating resistant strains and have recurrences within a short time . The multi-resistance bacteria are acquiring is one of the greatest fears of modern medicine.
painkillers
Mechanism of action
Metamizole exerts its analgesic and antipyretic action by inhibiting cyclooxygenase (or COX).
Cyclooxygenase is an enzyme known to three different isoforms: COX-1, COX-2 and COX-3.
The task of these enzymes is to convert the arachidonic acid present in our organism into prostaglandins, prostaciclins and thromboxanes.
Prostaglandins - and particularly prostaglandins G2 and H2 (respectively, PGG2 and PGH2) - are involved in inflammatory processes and mediate painful responses. While type E (PGE) prostaglandins induce increased body temperature.
Clinical studies have shown that the antipyretic activity of dipyrone is significantly higher than paracetamol and bisoprofen. The drug also manages to maintain lower body temperature for longer than buproprofen and paracetamol. However, the main mechanism seems to be not the inhibition of cyclooxygenase II, but of newly discovered brainstem III, which would mediate central analgesia and pyrexia. However, his recruitment involves certain risks; Specifically, the use of sodium metamizole increases the risk of developing agranulocytosis.
Metamizole can also cause hypotension. This side effect was explained with the discovery that this drug opens ATP-dependent potassium channels, which open induce potassium outflow and are closed by binding to ATP. These channels are typical of the pancreas in which they regulate, by means of the energy content of the cell represented by the high glucose content and therefore of the ATP, the depolarization of the cell membrane opening of the calcium channels resulting in the release of insulin immobilized by intracellular granules . However, ATP-dependent potassium channels are also found at the smooth muscle level of the vessels: Metamizole forces their opening and this generates a cell repolarization, so the calcium dependent (VOCC) canals can not open and the low content Of calcium can not induce a contraction between actin and myosin. The result will be a more pronounced vasodilatation resulting in hypotension. This mechanism also explains its ability to release bronchial musculature.
Novalgin is a medication that is supplied to the patient under medical prescription but is often distributed as a counter drug.
Novalgine is a non-opiate drug with analgesic properties: it is a drop in product or tablet of Sanofi-Aventis. The active principle is sodium metamizole or dipyrone monohydrate.
Novaline has antipyretic and anti-pain medications against a headache, tooth pain, menstrual pain.
Among the risks of Novalgina's intake, it is to be able to contract agranulocytosis, a serious blood disease that lowers immune defenses and predisposes the human physicist to fatal pathologies. For Novalgina's linkage to the risk of agranulocytosis (0.5% of cases per million people), novel viruses have been banned in the United States and are not even registered in Britain.
Novalgina Dosage: Novalgina should be used for short-term treatment (20-40 drops a day) of painful or antipyretic states, and for many people it is considered a safe drug, as it does not involve gastric disorders among side effects. It should not be given in allergenic subjects and in pregnant women should be taken only in a state of real necessity.
Da:
https://www.paginemamma.it/paracetamolo-e-ibuprofene-quali-le-differenze
https://www.debunking.it/2016/06/disinformazione-non-usare-il-paracetamolo-tachipirina-ecco-quali-sono-i-danni-e-come-sostituirlo/
http://www.medicina-benessere.com/Farmaci/La_novalgina.html
http://www.pharmamedix.com/patologiavoce.php?pat=Dolore&vo=Farmaci+e+terapie
https://it.wikipedia.org/wiki/Metamizolo
Essendo paraplegia conosco bene tutti i farmaci da lei descritti
RispondiEliminaIo uso ma di rado in nurofen
Altrimenti la mia dose giornaliera di farmaci è un la seguente
Paracetamolo+codeina(oppiaceo)
Lirica
Rivotril
Ma la unica cosa che mi allevia i dolore è la cannabis,di questa sostanza legale ovunque tranne che nel nostro stato se ne parla pochissimo.
Io non parlo di quella medica dato che l ho provata e non mi fa nulla .... parlo di quella vera con alto THC.
MI HANNO DETTO SEI UNA DROGATA.
Io ho risposto chi non lo è.
Le persone sono molto ignoranti sull argomento Marijuana.
Fumare per alleviare dolori forti e non per sballarsi ,non viene nei pensieri di nessuno .
Fumo.
Alcol (liquori birra vino).
Cibo.
Integratori per chi fa palestra o altro.
Viagra non adatto per i deboli di cuore.
Droghe varie e molte.
Non sto a elencare tutto,credo siano droghe più potenti di un semplice spinello contro i forti dolori neurologici .
Tutte le persone che conosco,fumano erba ma io sono la drogata perché lo dico.
Sono uno spirito libero da pregiudizi di stolti e ignoranti.
Un saluto e grazie mille per avermi fatto scrivere un mio pensiero 🙏
Grazie.....Monia Muratori
Fortunatamente dal mio punto di vista personale ho molto sperimentato sugli effetti dell'alimentazione nella prevenzione della salute. Mi sono costruito un tesoretto di conoscenze personali che forse mi aiuteranno a vivere a lungo e bene. Adesso devo aspettare il trascorrere del tempo per la verifica obiettiva. A questo livello è difficile comunicare con il prossimo. Forse si accorgeranno di me se riuscirò nell'impresa impossibile di battere il primato di longevità umana.
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