Colangite biliare primitiva: un modello per la terapia più efficace / Primary biliary cholangitis: a model for the most effective therapy

Colangite biliare primitiva: un modello per la terapia più efficacePrimary biliary cholangitis: a model for the most effective therapy


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa



A metterlo a punto i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca, del Centro per le malattie autoimmuni del fegato del San Gerardo di Monza e della University of Cambridge.

 L'età del paziente. Il livello di alcuni parametri del sangue. L'intervallo di tempo tra la diagnosi e l’inizio del trattamento. Sono alcuni degli indicatori in grado di indirizzare i soggetti colpiti da colangite biliare primitiva (CBP) verso la terapia più efficace.
A rivelarlo è uno studio clinico multicentrico, internazionale dal titolo “Pretreatment prediction of response to ursodeoxycholic acid in primary biliary cholangitis: development and validation of the UDCA Response Score.” (DOI: 10.1016/S2468-1253(18)30163-8) promosso da ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e del Centro per le malattie autoimmuni del fegato dell’Ospedale San Gerardo di Monza, in collaborazione con laUniversity of Cambridge, appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Lancet Gastroenterology & Hepatology. Nello studio sono stati coinvolti più di 3mila pazienti di centinaia di ospedali italiani e britannici affetti dalla CBP.

La CBP è una malattia autoimmune del fegato conosciuta fino a pochi anni fa come cirrosi biliare primitiva. In Italia colpisce circa 6mila persone, soprattutto donne over 40, ed è caratterizzata da aggressione delle vie biliari, infiammazione cronica e ristagno della bile nel fegato, con lo sviluppo nel 30-40 per cento dei casi di cirrosi e nei casi più gravi di insufficienza epatica che rende necessario il trapianto dell’organo.
Il modello messo a punto dai ricercatori di Milano-Bicocca e Cambridge permette di prevedere, prima della somministrazione, la risposta del paziente alla terapia cardine di questa malattia, l’acido ursodesossicolico (UDCA), una terapia alla quale però non tutti i pazienti rispondono. Secondo i parametri individuati dall’equipe di ricercatori, un'età più giovane (30-40 anni) rispetto alla media dei pazienti (50-70), la maggiore attività
della malattia – rivelata dall'alto livello di fosfatasi alcalina, transaminasi e bilirubina negli esami ematici – e un tempo di attesa più lungo, superiore all’anno, tra il momento della diagnosi e la somministrazione di UDCA, indicherebbero nei pazienti con CBP una minore probabilità di successo dopo trattamento con UDCA.

«La risposta all’UDCA rappresenta un target di trattamento critico nei pazienti con CBP in quanto predittore di sopravvivenza a lungo termine», ribadisce Marco Carbone, ricercatore dell'Università di Milano-Bicocca, dirigente medico di Gastroenterologia dell’Ospedale San Gerardo di Monza e primo autore e responsabile del lavoro.

Da questo studio emerge la rilevanza delle terapie di seconda linea, come l‘acido obeticolico (OCA), nel trattamento della colangite biliare primitiva. «Le indicazioni emerse nel nostro studio – spiega Pietro Invernizzi, direttore dell’unità complessa di Gastroenterologia e del Centro per le malattie autoimmuni del fegato dell’ospedale San Gerardo di Monza e docente di Gastroenterologia dell’Università di Milano Bicocca – potrebbero essere di aiuto nell’indirizzare le decisione terapeutiche relative all'utilizzo di farmaci di seconda linea precocemente nel corso della malattia in pazienti che hanno poche possibilità di rispondere all’UDCA e in questo modo migliorare la sopravvivenza di quelli ad alto rischio». Grazie a un trattamento che combini terapia di prima e seconda linea fin dai primi tempi successivi alla diagnosi.

«Questo studio apre la strada ad una migliore gestione terapeutica per i pazienti affetti da CBP – commenta Davide Salvioni, Presidente di Amaf, l’associazione italiana dei pazienti affetti da malattie autoimmuni del fegato – e siamo ancora una volta orgogliosi come italiani del fatto che questo risultato sia stato raggiunto grazie al contributo dalla comunità epatologica italiana».

ENGLISH

The researchers of the University of Milano-Bicocca, of the Center for autoimmune diseases of the liver of San Gerardo di Monza and of the University of Cambridge have set it up.

 The age of the patient. The level of some blood parameters. The time interval between diagnosis and the start of treatment. These are some of the indicators able to target subjects affected by primary biliary cholangitis (CBP) towards the most effective therapy.
This is a multicenter, international clinical study entitled "Pretreatment prediction of response to ursodeoxycholic acid in primary biliary cholangitis: development and validation of the UDCA Response Score" (DOI: 10.1016 / S2468-1253 (18) 30163-8) by researchers at the University of Milan-Bicocca and the Center for autoimmune diseases of the liver of the San Gerardo Hospital of Monza, in collaboration with the University of Cambridge, just published in the prestigious journal Lancet Gastroenterology & Hepatology. More than 3,000 patients from hundreds of Italian and British hospitals suffering from CBP were involved in the study.

CBP is an autoimmune liver disease known up to a few years ago as primary biliary cirrhosis. In Italy it affects about 6 thousand people, especially women over 40, and is characterized by biliary tract aggression, chronic inflammation and stagnation of bile in the liver, with the development in 30-40 percent of cirrhosis cases and in severe cases of insufficiency liver that requires organ transplantation.
The model developed by the researchers of Milano-Bicocca and Cambridge allows to predict, before administration, the patient's response to the cardinal therapy of this disease, ursodeoxycholic acid (UDCA), a therapy to which, however, not all patients respond . According to the parameters identified by the team of researchers, a younger age (30-40 years) than the average patient (50-70), the increased activity of the disease - revealed by the high level of alkaline phosphatase, transaminase and bilirubin in the blood tests - and a longer waiting time, longer than a year, between the time of diagnosis and the administration of UDCA, would indicate a lower likelihood of success in patients with CBP after treatment with UDCA.

«The response to the UDCA represents a critical treatment target in patients with CBP as a predictor of long-term survival», says Marco Carbone, researcher at the University of Milano-Bicocca, medical director of Gastroenterology at the San Gerardo Hospital of Monza and first author and manager of the work.

This study highlights the relevance of second-line therapies, such as obeticolic acid (OCA), in the treatment of primary biliary cholangitis. «The indications emerged in our study - explains Pietro Invernizzi, director of the complex unit of Gastroenterology and of the Center for the autoimmune diseases of the liver of the San Gerardo hospital in Monza and professor of Gastroenterology of the University of Milano Bicocca - could help in addressing the treatment decisions related to the use of second-line drugs early in the course of the disease in patients who have little chance of responding to the UDCA and in this way improve the survival of those at high risk ". Thanks to a treatment that combines first and second line therapy from the earliest times following the diagnosis.

«This study paves the way for better therapeutic management for patients with CBP - comments Davide Salvioni, President of Amaf, the Italian association of patients with autoimmune liver diseases - and we are once again proud as Italians of the fact that this result has been achieved thanks to the contribution of the Italian hepatological community ".

Da:

http://www.lescienze.it/lanci/2018/08/07/news/universita_milano_bicocca_colangite_biliare_primitiva_un_modello_per_la_terapia_piu_efficace-4071602/?ref=nl-Le-Scienze_10-08-2018

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