Analisi critica del modello atomico di Bohr sulla base della scoperta della forza rotazionale indotta da parte del Dott. Giuseppe Cotellessa

Analisi critica del modello atomico di Bohr sulla base della scoperta della forza rotazionale indotta da parte del Dott. Giuseppe Cotellessa


Dott. Giuseppe Cotellessa







Il modello atomico proposto da Niels Bohr nel 1913, ampliato da Arnold Sommerfeld nel 1916, è la più famosa applicazione della quantizzazione dell'energia, che, insieme all'equazione di Schrödinger e alle spiegazioni teoriche sulla radiazione di corpo nero, sull'effetto fotoelettrico e sullo scattering Compton sono la base della meccanica quantistica.
Il modello, proposto per l'atomo di idrogeno, ottenne degli eccellenti risultati, coincidenti, entro il margine degli errori, con lo spettro sperimentale.

Cenni storici

All'inizio del XX secolo lo studio dell'atomo aveva raggiunto un buon grado di conoscenza. Erano noti, infatti, moltissimi spettri di emissione di luce proveniente dagli atomi: ovvero delle linee discrete e ben distinte poste a differenti frequenze.
Una delle prime osservazioni interessanti avvenne nel 1884 quando Johann Balmer, insegnante svizzero, osservò che alcune righe dello spettro di emissione dell'idrogeno potevano essere calcolate utilizzando la formula:
Balmer suppose che tale formula fosse, in realtà, un caso particolare di una legge più generale, che venne trovata da Johannes Rydberg e Walther Ritz e nota come legge di Rydberg-Ritz:
con n1n2 numeri interi maggiori di 0 tali che n1 < n2 ed R costante di Rydberg.
Con questa legge fu possibile completare lo spettro osservato da Balmer e si riescono ad ottenere anche le serie di Lyman (n2=1) e Paschen (n2=3).
Furono fatti numerosi tentativi per spiegare teoricamente tali osservazioni sperimentali, ma il meglio che si riuscì a realizzare fu il modello di Thomson, lo scopritore dell'elettrone, che suppose che l'atomo fosse un corpo compatto contenente al suo interno sia la carica positiva, che quella negativa. Tale modello aveva, però, una pecca: poiché si basava solo sulla presenza delle forze elettriche, non era in grado di spiegare come mai il sistema fosse all'equilibrio, né Thomson riuscì mai a determinare una frequenza tra quelle osservate.
Nel 1911 Hans Wilhelm Geiger e Ernest Marsden, sotto la supervisione di Ernest Rutherford, realizzarono un esperimento importantissimo per la comprensione della struttura dell'atomo: bombardando una sottile lamina d'oro con particelle alfa, notarono che, mentre la maggior parte di esse subiva deviazioni minime dalla traiettoria iniziale, altre venivano deviate in misura considerevole, e una minima parte veniva respinta dalla lamina.
Nell'interpretare questo esperimento, Rutherford stabilì che l'atomo fosse composto da un centro massivo (il nucleo) circondato da cariche negative. Il modello di atomo proposto da Rutherford soffriva, però, di una instabilità elettromagnetica e di una instabilità meccanica: poiché l'elettrone, nel suo moto intorno al nucleo positivo, è sottoposto a un'accelerazione, esso irraggia energia elettromagnetica della stessa frequenza del suo moto di rivoluzione, finendo così per perdere energia e quindi cadere sul nucleo con un moto a spirale. Nel caso di atomi più pesanti, attorno ai quali ruotino più elettroni, questi ultimi sarebbero stati soggetti a una repulsione elettrostatica che avrebbe reso inoltre meccanicamente instabili le loro orbite, cosicché, a prescindere dall'irraggiamento, una qualsiasi perturbazione esterna sarebbe stata sufficiente ad alterare pesantemente la distribuzione di elettroni negli atomi. Fu Niels Bohr a risolvere le difficoltà del modello di Rutherford, spiegando anche lo spettro dell'atomo di idrogeno.

I postulati di Bohr

Bohr, che a quel tempo lavorava con Rutherford, propose un modello che, applicando all'atomo di Rutherford la quantizzazione dell'energia introdotta da Planck, riusciva a giustificare lo spettro dell'idrogeno.
La soluzione di Bohr è basata su tre postulati:

Il primo postulato di Bohr

Il valore del modulo del momento angolare dell'elettrone che ruota intorno al nucleo deve essere un multiplo intero della costante di Planck ridotta, e di conseguenza l'energia di un elettrone dipende solo dal valore del numero quantico principale.

Il secondo postulato di Bohr


L'atomo irraggia energia solamente quando, per un qualche motivo, un elettrone effettua una transizione da uno stato stazionario ad un altro. La frequenza v della radiazione è legata all'energia del livello di partenza e di quello di arrivo dalla relazione:
dove h è la costante di Planck, mentre Ei ed Ef sono le energie connesse alle orbite finale ed iniziale (è presente il modulo in quanto la frequenza ha significato fisico se e soltanto se è un numero positivo, invece il ΔE= (Ef - Ei) può essere negativa, e indica se viene emessa una radiazione o viene assorbita energia sotto forma di quanti, con frequenza derivata dalla suddetta formula. Secondo la teoria classica, invece, la frequenza della radiazione emessa avrebbe dovuto essere uguale a quella del moto periodico della particella carica. L'energia che l'atomo scambia con il campo elettromagnetico soddisfa dunque sia il principio della conservazione dell'energia, sia la relazione tra l'energia e la frequenza introdotta da Planck. Notiamo, però, che nel suo lavoro Bohr non chiama in causa i quanti di luce di Einstein, dei quali sarà un deciso oppositore fino al 1924.

Il terzo postulato di Bohr

Nel modello semplice di Bohr, il numero atomico è Z, la carica dell'elettrone è e, l'energia potenziale a distanza r è:
dove k è la costante di Coulomb. L'energia totale di un elettrone nell'ipotesi semplificativa che si muova su un'orbita circolare con velocità v è quindi:
Per ottenere il valore della velocità, e quindi quello dell'energia cinetica, basta eguagliare la relazione F = ma, dove per l'accelerazione si utilizza l'espressione per quella centripeta (a = v2/r), con l'attrazione coulombiana:
1) 
e quindi l'energia cinetica risulta essere pari alla metà del valore assoluto dell'energia potenziale. L'energia totale risulta quindi essere pari a:
Sostituendo questa nella legge matematica del secondo postulato di Bohr, si ottiene un'espressione per le frequenze in funzione delle distanze finale ed iniziale dei livelli interessati dalla transizione:
Questa equazione deve essere consistente con la formula di Rydberg-Ritz, sapendo che ν = c/λ, con c velocità della luce.
I raggi delle orbite stabili, quindi, dovevano essere proporzionali ai quadrati di numeri interi. Una simile legge di proporzionalità poteva essere ottenuta ipotizzando che il momento angolare dell'elettrone in un'orbita stabile fosse pari a:
Questo è il terzo postulato di Bohr, che, in pratica, quantizza il momento della quantità di moto della particella.

Raggio di Bohr ed energia fondamentale


A questo punto è abbastanza semplice determinare il raggio dell'orbita, combinando quest'ultima con la relazione tra energia cinetica e potenziale:
ove
è il raggio di Bohr del livello fondamentale dell'atomo di idrogeno.
Inoltre, Bohr riuscì a calcolare anche il valore della R costante di Rydberg:
che utilizzando i valori allora noti per le costanti, è in accordo con il valore ottenuto dalla spettroscopia.
Infine si possono scrivere tutti i valori possibili dell'energia di un elettrone in un atomo, scritti in funzione dell'energia fondamentale dell'atomo di idrogeno:
con
che risulta di circa 13,6 eV. Questo vuol dire che, per estrarre un elettrone nello stato fondamentale dell'idrogeno, bisogna fornire al sistema un'energia pari a 13,6 eV. Tenendo conto del fatto che la massa del nucleo non è infinita (nel caso dell'idrogeno è circa duemila volte la massa dell'elettrone) e che quindi il nucleo stesso ruota intorno al centro di massa dell'atomo, si introduce una lieve dipendenza della costante di Rydberg dalla massa del nucleo, migliorando così l'accordo con i dati sperimentali.

APPLICAZIONE DELLA FORZA ROTAZIONALE INDOTTA SCOPERTA DAL DOTT. GIUSEPPE COTELLESSA AL MODELLO ATOMICO DI BOHR
Basta sostituire all'espressione fondamentale di Bohr


 la seguente espressione:

=mvω

dove
mvω 
rappresenta l'espressione della forza rotazionale indotta scoperta dal Dott. Giuseppe Cotellessa.

Avvertenze
L'espressione
Kze2/r

viene utilizzata per distanze r macroscopiche.

Quando r tende a zero come nelle dimensioni atomiche l'espressione Kze2/r2  potrebbe tendere all'infinito.

Comunque al crescere dell'espressione Kze2/r2  cresce anche l'espressione mvω

E' noto che il valore della massa m di un corpo è funzione della velocità secondo la nota relazione di Einstein.

Fino ad oggi non risulta, o non ci si è posto il problema, data la forte analogia tra campo gravitazionale rotazionale e campo elettromagnetico, se anche il valore della carica elettrica possa variare al variare della velocità v del corpo.

Quindi risulta lecito porsi il problema della validità dell'estensione di relazioni valide nel mondo macroscopico al mondo microscopico.

Si potrebbe concludere che forse la soluzione ipotizzata da Bohr sia servita solamente a distogliere i fisici dall'approfondimento di problemi non ancora minimamente considerati, ancor prima che risolti.

Da:

https://it.wikipedia.org/wiki/Modello_atomico_di_Bohr#Raggio_di_Bohr_ed_energia_fondamentale

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