Abbassa il sale, alza le difese contro le malattie autoimmuni / Lower the salt, raise the defenses against autoimmune diseases.
Abbassa il sale, alza le difese contro le malattie autoimmuni / Lower the salt, raise the defenses against autoimmune diseases.
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
Secondo uno studio della Sapienza di Roma diete povere di sodio possono ridurre i linfociti proinfiammatori coinvolti in lupus e artrite reumatoide. Ottenendo risultati simili a quelli delle attuali terapie.
NELLA PASTA, in insalate, salumi, pane, formaggio, ma anche nei prodotti in scatola, e persino in quelli dolci come i biscotti. Il sale - più o meno nascosto - è onnipresente, ma per la salute sarebbe meglio tenerlo a bada, ripetono da anni i medici. E non sforare la soglia dei 5 grammi al dì, come stabilito dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), per ridurre il rischio di pressione alta, malattie cardiovascolari e ictus. Ma ridurre il sale potrebbe aiutare a tenere a bada anche il sistema immunitario e a spegnere l'infiammazione tipica di malattie autoimmuni come lupus e artrite. A suggerirlo è uno studio pubblicato oggi su Plos One, secondo cui la riduzione del sale potrebbe avere benefici addirittura paragonabili a quelli delle attuali terapie.
L'ipotesi. Il sospetto che il sale possa complicare l'andamento delle malattie autoimmuni esiste da tempo. Alcuni studi condotti su modelli animali predisposti allo sviluppo di artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, per esempio, suggerivano che una dieta ricca di sodio accelerasse la comparsa delle malattie, che si presentavano anche in modo più grave. “Sia il lupus che l'artrite reumatoide sono malattie relativamente frequenti, con impatti devastanti sulla vita delle persone, poiché ci si sottopone a terapie pesanti a base di antiinfiammatori e immunosoppressori - racconta Guido Valesini, professore di Reumatologia della Sapienza di Roma - per questo ci siamo chiesti se un meccanismo analogo potesse essere presente anche nell'uomo: capire se un fattore modificabile come la dieta possa avere effetti su queste malattie è importante, perché permetterebbe di avere a disposizione un'arma in più contro patologie autoimmuni, sia a livello terapico che di prevenzione nei soggetti a rischio per famigliarità”.
Lo studio. Per capire se e come il sale contenuto nella dieta potesse avere effetti sulle malattie autoimmuni, i ricercatori hanno osservato cosa succedeva ad alcune cellule del sistema immunitario nei pazienti con artrite e lupus sottoposti a regime iposodico per tre settimane, e quindi normosodico per due settimane (attenendosi alle linee guida dell'Oms). “In particolare abbiamo monitorato due popolazioni linfocitarie, i linfociti T helper 17 e i linfociti T regolatori, i primi dotati di attività infiammatoria, i secondi con attività antiinfiammatoria”, racconta Valesini. Dei pazienti reclutati solo 14 con artrite reumatoide e 15 con lupus eritematoso sistemico avevano aderito pienamente alla dieta, come mostrato dalla misurazione dell’escrezione di sodio nelle urine raccolte nell’arco delle 24 ore: “Avevamo reclutato circa il 30% in più dei pazienti, ma le misurazioni nelle urine dimostrano quello che già sapevamo: aderire a una dieta iposodica non è semplice”, ricorda il medico.
Il risultato. Analizzando le popolazioni linfocitarie dei pazienti che avevano seguito le diete prescritte, i ricercatori hanno osservato che regimi iposodici facevamo aumentare le popolazioni di linfociti T regolatori – con azione antiinfiammatoria - mentre diminuivano i T helper 17 – con azione proinfiammatoria. Il contrario avveniva invece dopo le due settimane trascorse in regime normosodico. “Quanto osservato rispecchia quello che sapevamo dalla letteratura: sulla superficie dei linfociti esiste un recettore che se mutato, in seguito all'interazione con il sale, induce uno squilibrio nelle popolazioni linfocitarie, predisponendo a patologie autoimmunitarie”, va avanti Valesini.
I prossimi passi. Cinque settimane però sono poche: “Si tratta di un tempo sufficiente per capire come rispondono biomarcatori come le cellule, ma per capire se i regimi dietetici possono influenzare gli aspetti clinici della malattia abbiamo bisogno di qualche mese”, spiega Valesini. Il prossimo passo quindi sarà quello di capire se gli indici di attività della malattia, elaborati a partire dagli esami sulle articolazioni, registrando per esempio il numero di articolazioni dolenti, tumefatte e compromesse a livello ecografico, possono essere modificate da interventi dietetici come la riduzione del sale.
Il futuro. Capirlo potrebbe rivoluzionare il trattamento di queste patologie. "Oggi le terapie più innovative a disposizione agiscono sui protagonisti della risposta immunitaria come quelli presi in esame nello studio – spiega Valesini – poter intervenire attraverso la dieta potrebbe avere un impatto importante”. Non solo a livello terapeutico: le patologie come l'artrite si sviluppano come risultato di una combinazione di
fattori genetici e ambientali, quali il fumo: “Chi ha predisposizione genetica non necessariamente si ammala, è necessario che intervengano anche alcuni fattori ambientali: scegliere una dieta povera di sodio potrebbe funzionare come un intervento preventivo”, conclude Valesini.
L'ipotesi. Il sospetto che il sale possa complicare l'andamento delle malattie autoimmuni esiste da tempo. Alcuni studi condotti su modelli animali predisposti allo sviluppo di artrite reumatoide e lupus eritematoso sistemico, per esempio, suggerivano che una dieta ricca di sodio accelerasse la comparsa delle malattie, che si presentavano anche in modo più grave. “Sia il lupus che l'artrite reumatoide sono malattie relativamente frequenti, con impatti devastanti sulla vita delle persone, poiché ci si sottopone a terapie pesanti a base di antiinfiammatori e immunosoppressori - racconta Guido Valesini, professore di Reumatologia della Sapienza di Roma - per questo ci siamo chiesti se un meccanismo analogo potesse essere presente anche nell'uomo: capire se un fattore modificabile come la dieta possa avere effetti su queste malattie è importante, perché permetterebbe di avere a disposizione un'arma in più contro patologie autoimmuni, sia a livello terapico che di prevenzione nei soggetti a rischio per famigliarità”.
Lo studio. Per capire se e come il sale contenuto nella dieta potesse avere effetti sulle malattie autoimmuni, i ricercatori hanno osservato cosa succedeva ad alcune cellule del sistema immunitario nei pazienti con artrite e lupus sottoposti a regime iposodico per tre settimane, e quindi normosodico per due settimane (attenendosi alle linee guida dell'Oms). “In particolare abbiamo monitorato due popolazioni linfocitarie, i linfociti T helper 17 e i linfociti T regolatori, i primi dotati di attività infiammatoria, i secondi con attività antiinfiammatoria”, racconta Valesini. Dei pazienti reclutati solo 14 con artrite reumatoide e 15 con lupus eritematoso sistemico avevano aderito pienamente alla dieta, come mostrato dalla misurazione dell’escrezione di sodio nelle urine raccolte nell’arco delle 24 ore: “Avevamo reclutato circa il 30% in più dei pazienti, ma le misurazioni nelle urine dimostrano quello che già sapevamo: aderire a una dieta iposodica non è semplice”, ricorda il medico.
Il risultato. Analizzando le popolazioni linfocitarie dei pazienti che avevano seguito le diete prescritte, i ricercatori hanno osservato che regimi iposodici facevamo aumentare le popolazioni di linfociti T regolatori – con azione antiinfiammatoria - mentre diminuivano i T helper 17 – con azione proinfiammatoria. Il contrario avveniva invece dopo le due settimane trascorse in regime normosodico. “Quanto osservato rispecchia quello che sapevamo dalla letteratura: sulla superficie dei linfociti esiste un recettore che se mutato, in seguito all'interazione con il sale, induce uno squilibrio nelle popolazioni linfocitarie, predisponendo a patologie autoimmunitarie”, va avanti Valesini.
I prossimi passi. Cinque settimane però sono poche: “Si tratta di un tempo sufficiente per capire come rispondono biomarcatori come le cellule, ma per capire se i regimi dietetici possono influenzare gli aspetti clinici della malattia abbiamo bisogno di qualche mese”, spiega Valesini. Il prossimo passo quindi sarà quello di capire se gli indici di attività della malattia, elaborati a partire dagli esami sulle articolazioni, registrando per esempio il numero di articolazioni dolenti, tumefatte e compromesse a livello ecografico, possono essere modificate da interventi dietetici come la riduzione del sale.
Il futuro. Capirlo potrebbe rivoluzionare il trattamento di queste patologie. "Oggi le terapie più innovative a disposizione agiscono sui protagonisti della risposta immunitaria come quelli presi in esame nello studio – spiega Valesini – poter intervenire attraverso la dieta potrebbe avere un impatto importante”. Non solo a livello terapeutico: le patologie come l'artrite si sviluppano come risultato di una combinazione di
ENGLISH
According to a study of the Wisdom of Rome diets low in sodium can reduce pro-inflammatory lymphocytes involved in lupus and rheumatoid arthritis. Obtaining results similar to those of current therapies.
In pasta, in salads, salami, bread, cheese, but also in canned products, and even in sweet ones like biscuits. The salt - more or less hidden - is ubiquitous, but for health, it would be better to keep it at bay, doctors have repeated for years. And do not strike the 5 grams per day, as established by the World Health Organization (OMS), to reduce the risk of high blood pressure, cardiovascular disease and stroke. But reducing salt may help keep the immune system in check and turn off the inflammation typical of autoimmune diseases such as lupus and arthritis. To suggest this is a study published today in Plos One, which suggests that salt reduction could have benefits even comparable to those of current therapies.
The hypothesis. The suspicion that salt may complicate the progression of autoimmune diseases has long existed. Some studies on animal models for the development of rheumatoid arthritis and systemic lupus erythematosus, for example, suggested that a sodium-rich diet accelerated the onset of diseases, which also occurred more seriously. "Both lupus and rheumatoid arthritis are relatively frequent diseases, with devastating impacts on people's lives, as they undergo heavy therapies based on anti-inflammatory and immunosuppressants," says Guido Valesini, Professor of Rheumatology of Rome's Wisdom. we wondered if a similar mechanism could be present in humans: to understand whether an editable factor such as the diet may have effects on these diseases is important because it would have the ability to have an additional weapon available against autoimmune pathologies, both at the level therapeutic and preventive treatment in subjects at risk for family. "
The study. To find out if and how salt in the diet could have an effect on autoimmune diseases, the researchers observed what happened to some immune system cells in patients with arthritis and lupus who were subjected to hypotension for three weeks and then normalized for two weeks ( in compliance with the guidelines of the OMS). "In particular we have monitored two lymphocytic populations, T helper 17 lymphocytes and T regulator lymphocytes, the first having inflammatory activity, the second with anti-inflammatory activity," Valesini says. Of the patients recruited only 14 with rheumatoid arthritis and 15 with systemic lupus erythematosus had fully adhered to the diet, as shown by the measurement of urine excretion in urine collected over 24 hours: "We had recruited about 30% more patients, but urine measurements show what we already knew: Adhering to a hyposodic diet is not easy, "recalls the doctor.
The result. Analyzing the lymphocyte populations of patients who had followed the prescribed diets, the researchers observed that hyposodic regimens were increasing the population of T-lymphocytes - with anti-inflammatory activity - while decreasing T-helper 17 - with proinflammatory action. The opposite happened instead after the two weeks spent in the normosodic regime. "As we observed it reflects what we knew in the literature, there is a receptor on the surface of the lymphocytes that, if mutated, as a result of interaction with salt causes an imbalance in lymphocytic populations, predisposing to autoimmune pathologies," goes Valesini.
The next steps. Five weeks, however, are few: "This is a time enough to understand how biomarkers respond to cells, but to understand if dietary regimens can affect the clinical aspects of the disease we need a few months," Valesini explains. The next step will be to figure out whether disease indexes, drawn from joint examinations, for example, the number of painful, tumefaction and compromises at the ultrasound level, can be modified by dietary interventions such as reducing the salt.
The future. Understanding it could revolutionize the treatment of these pathologies. "Today's most innovative therapies act on the protagonists of the immune response as those under consideration in the study - Valesini explains - being able to intervene through the diet could have an important impact." Not only at the therapeutic level: pathologies like arthritis develop as a result of a combination of
Genetic and environmental factors such as smoking: "Those who have genetic predisposition do not necessarily get ill, some environmental factors must also be involved: choosing a poor sodium diet could work as a preventative intervention, concludes Valesini.
Da:
http://www.repubblica.it/salute/medicina/2017/09/05/news/sale_malattie_autoimmuni-174691498/
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