GUIDA AL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO / GUIDE TO THE BONE MARROW TRANSPLANT

GUIDA AL TRAPIANTO DI MIDOLLO

 osseo / GUIDE TO THE BONE MARROW 

TRANSPLANT


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa



INTRODUZIONE
Negli ultimi venti anni il trapianto di midollo è passato dall’essere un ultimo disperato esperimento a una terapia ben consolidata per trattare e guarire numerose malattie.
Nel 1977 erano 169 i pazienti trapiantati in tutto il mondo; nel 1993 erano 10.000 i pazienti che si erano sottoposti al trapianto in più di 250 centri in 40 nazioni.
Attualmente pazienti affetti da leucemia, linfoma, tumori solidi in stato avanzato, gravi forme di anemia aplastica, alcune forme di immunodeficienza e anomalie genetiche dispongono di un’altra possibile cura che offre innumerevoli possibilità di guarigione. Questo opuscolo curato dalla nostra associazione vuole, per quanto possibile, spiegare le più importanti problematiche e offrire risposte alle domande più frequenti riguardo il trapianto di midollo osseo. 

INTRODUZIONE
Negli ultimi venti anni il trapianto di midollo è passato dall’essere un ultimo disperato esperimento a una terapia ben consolidata per trattare e guarire numerose malattie.
Nel 1977 erano 169 i pazienti trapiantati in tutto il mondo; nel 1993 erano 10.000 i pazienti che si erano sottoposti al trapianto in più di 250 centri in 40 nazioni.
Attualmente pazienti affetti da leucemia, linfoma, tumori solidi in stato avanzato, gravi forme di anemia aplastica, alcune forme di immunodeficienza e anomalie genetiche dispongono di un’altra possibile cura che offre innumerevoli possibilità di guarigione. Questo opuscolo curato dalla nostra associazione vuole, per quanto possibile, spiegare le più importanti problematiche e offrire risposte alle domande più frequenti riguardo il trapianto di midollo osseo.
Cos’è il trapianto di midollo osseo?
Un trapianto di midollo osseo (TMO) si può considerare non come un operazione chirurgica ma come una trasfusione di midollo, non sangue, da un individuo ad un altro, o nello stesso individuo. Il midollo osseo è un tessuto spugnoso che si trova all’interno delle ossa, il cui ruolo è quello di generare i vari componenti del sangue e del sistema immunitario: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Ognuna di queste cellule, ha una propria funzione vitale, che serve a mantenere il corpo sano e a scongiurare malattie. Purtroppo ognuna di queste componenti, nel corso della vita, può andare incontro ad una trasformazione maligna, in senso tumorale. Nel caso della leucemia questa trasformazione si verifica a carico dei globuli bianchi, i quali perdono ogni sistema di controllo ed iniziano a riprodursi in maniera abnorme. Una tale iperproduzione rende anormale il processo di sviluppo e di maturazione delle cellule del sangue nel midollo.
Per tale ragione si verificano i seguenti eventi:
1) riduzione della produzione dei globuli rossi, che porta ad una condizione di anemia
2) riduzione della produzione delle piastrine, che può portare ad emorragie sia interne che esterne (più frequentemente sotto pelle, come ematomi o piccole macchioline denominate petecchie)
3) riduzione della produzione e maturazione dei globuli bianchi sani, con formazione (e talora iperproduzione) di globuli bianchi immaturi (denominati “blasti”), non funzionanti: ciò comporta un elevato rischio di contrarre infezioni di vario tipo. Ovviamente, se non trattata, la leucemia porta progressivamente ad un peggioramento della salute, fino alla morte.
Gli agenti chemioterapici (farmaci antitumorali tradizionali ed altre sostanze che agiscono come modificatori della risposta biologica) possono distruggere queste cellule maligne, ma spesso sono dannosi anche per le cellule normali dell’organismo, in particolare per quelle del midollo osseo. Per questo motivo nei trattamenti antitumorali standard la dose dei farmaci viene mantenuta entro certi limiti, affinché il beneficio apportato dal trattamento stesso non venga reso vano dai danni arrecati alle cellule sane. Dosaggi troppo elevati di farmaci chemioterapici rischiano di “bruciare” totalmente il midollo osseo sano, non permettendogli più di riprendersi e conducendo perciò inesorabilmente alla morte. D’altra parte in malattie come leucemie e linfomi dosaggi molto elevati di farmaci chemioterapici aumentano considerevolmente le probabilità di guarigione definitiva, poiché, riducendo al minimo il numero delle cellule maligne eventualmente sopravvissute al trattamento, diminuiscono le probabilità di ricaduta di queste stesse malattie.
In pratica ci si trova di fronte ad una malattia potenzialmente mortale e ad una possibile terapia in grado di sconfiggere la suddetta malattia che però può, a sua volta, condurre a morte. Il trapianto di midollo osseo offre l’opportunità di superare questo paradosso, poiché permette all’organismo di tollerare la somministrazione di dosi cosiddette sovramassimali dei farmaci chemioterapici. In senso sequenziale la terapia delle leucemie, dei linfomi, ma anche di alcune neoplasie solide come il cancro della mammella, qualora sia possibile attuare un trapianto di midollo osseo, avviene nel seguente modo:
– attraverso la somministrazione di farmaci chemioterapici ed eventualmente di radiazioni ionizzanti si cerca di eliminare le cellule malate dall’organismo; tale trattamento richiede alcuni giorni (solitamente 6-8 giorni), e prende il nome di “condizionamento”. Infatti, oltre ad ottenere l’eradicazione delle cellule malate, questo trattamento serve anche a “condizionare” il tessuto del ricevente affinché quest’ultimo si prepari a ricevere e far maturare in sé le cellule del trapianto; senza questo trattamento, che comporta una temporanea soppressione del sistema immunitario del ricevente, le cellule del trapianto verrebbero rapidamente eliminate dall’organismo, e non avrebbero perciò la possibilità di ripopolare il midollo osseo, permettendo la sopravvivenza dell’organismo ricevente stesso.
– al termine di questo trattamento si procede al trapianto, ossia all’infusione in vena (esattamente come fosse una trasfusione di sangue) di cellule midollari che non sono venute a contatto con i farmaci chemioterapici o con le radiazioni di cui sopra; infatti queste cellule sono prelevate da un donatore sano (trapianto allogenico), o, nel caso dell’autotrapianto (chiamato anche trapianto autologo), vengono prelevate dal paziente in una fase precedente all’inizio del trattamento di condizionamento e congelate in azoto liquido; in tale sostanza, ad una temperatura di – 178°C, le cellule midollari vengono conservate per tutto il tempo necessario (volendo anche molti anni) e scongelate solo al momento del trapianto. Dopo l’infusione le cellule di midollo trapiantate viaggiano nel torrente sanguigno ed in breve tempo raggiungono gli spazi normalmente destinati alla loro maturazione (le cosiddette lacune ossee); qui iniziano il processo di ripopolazione, finché, piano, nel ricevente il midollo osseo torna ad occupare la sua normale estensione e riprende a funzionare normalmente, producendo in maniera equilibrata le cellule del sangue necessarie alla vita. Quando il “nuovo” midollo è accettato con successo e le cellule maligne non ritornano, il paziente ha la possibilità di una lunga sopravvivenza libera da malattia e, dopo un certo numero di anni, di considerarsi guarito. In conclusione possiamo affermare che la chemioterapia convenzionale distrugge le cellule tumorali maligne, ma al tempo stesso, data la tossicità sulle cellule sane del midollo osseo, raramente permette il raggiungimento della guarigione, poiché pone un limite al dosaggio dei farmaci antitumorali. Con il trapianto di midollo, invece, tali limiti possono venire ampiamente superati e si possono così ottenere molte guarigioni definitive. Va inoltre ricordato che nel trapianto allogenico, all’effetto benefico dei farmaci si somma un effetto antitumorale espletato dalle cellule del donatore; tale azione, denominata dagli anglosassoni Graft Versus Leukemia o GVL (ossia effetto Trapianto Verso Leucemia), contribuisce a mantenere lontano possibili recidive di malattia, non permettendo ad eventuali cellule maligne residue (sopravvissute al trattamento di condizionamento) di riprodursi e ricontaminare l’organismo del paziente.

Quando un trapianto di midollo è indicato come trattamento?
Il trapianto di midollo è un trattamento attualmente indicato per molte patologie ematologiche, oncologiche, ereditarie ed immunologiche. Esso trova sicura indicazione e viene considerato il trattamento di scelta nell’anemia aplastica severa (SAA), in alcune sindromi di immunodeficienza congenita (SCID), nella leucemia mieloide cronica (CML) ed in un sottogruppo di pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (AML) o linfoblastica acuta (ALL) i quali abbiano specifici cromosomi (come ad esempio il cromosoma Philadelphia) o altri fattori (come ad esempio l’elevata massa tumorale alla diagnosi) noti per essere fattori prognostici negativi, ossia fattori che, quando presenti, sono spesso indice di malattia a prognosi peggiore (o perché più facilmente recidivabile o perché meno facilmente trattabile). Il trapianto di midollo è altresì sicuramente indicato in quei pazienti in cui il trattamento convenzionale di chemioterapia o radioterapia non abbia dato i risultati attesi: sono qui compresi i pazienti con leucemie acute (sia mieloidi che linfoblastiche) in cui, pur non essendo inizialmente presenti i suddetti fattori prognostici negativi, si siano verificate una o più recidive di malattia (e siano pertanto non più in prima, bensì in seconda o successiva remissione), ed i pazienti con linfomi (o altri tumori solidi) in stadio avanzato o che si siano dimostrati resistenti alle terapie convenzionali sopracitate.
Poiché il trapianto di midollo è una terapia molto potente ed intensa, che espone ad elevati rischi, non tutti i pazienti possono esservi sottoposti; tra le cose che vengono di volta in volta valutate vi sono l’età del paziente (con l’età aumentano anche i rischi, pertanto, generalmente, si cerca di non superare i 35 anni), lo stato generale di salute (in particolare la condizione di determinati organi vitali come cuore, polmoni, fegato e reni) ed i precedenti trattamenti terapeutici ricevuti. Subito dopo la diagnosi il paziente dovrebbe quindi informarsi circa le possibilità di sottoporsi ad un trapianto di midollo osseo. Ovviamente al fine di determinare la possibilità di un TMO molto importante risulta la collaborazione tra il centro ospedaliero specializzato nei trapianti ed i medici di fiducia del paziente, cioè coloro che al paziente stesso hanno posto la diagnosi o che l’hanno avuto in cura fino a quel momento; in genere costoro sono infatti i più informati sullo stato di salute fisica e psicologica del paziente.

Chi può essere donatore di midollo osseo?
ll donatore ideale è un membro compatibile della famiglia del paziente, abitualmente un fratello. Nella leucemia i gemelli omozigoti di solito non sono donatori ideali, poiché la completa identità delle caratteristiche antigieniche tissutali rende più probabile le recidive di malattia dopo il trapianto: come già anticipato in una precedente risposta, infatti, dopo il trapianto allogenico si assiste ad una certa azione del midollo trapiantato verso eventuali cellule leucemiche residue; questa azione viene però espletata proprio in quanto esistono piccole differenze antigieniche fra donatore e ricevente; viene invece totalmente a mancare laddove queste differenze non esistono, come nel caso dei gemelli omozigoti. Sfortunatamente non tutti i pazienti che necessitano di trapianto trovano un donatore in famiglia: o la mancanza di fratelli, o la non compatibilità degli eventuali fratelli esistenti (per ogni fratello vi è una probabilità di compatibilità del 25%) rendono impossibile l’effettuazione di un trapianto allogenico da donatore familiare. Per chi non dispone di un donatore compatibile familiare può essere avviata la ricerca di un donatore compatibile non familiare, oppure, in molti casi, può essere considerata l’eventualità di un autotrapianto di midollo (trapianto autologo). Nel primo caso si parla di trapianto da donatore compatibile non familiare (o, più brevemente, trapianto MUD – acronimo di “Matched Unrelated D’onor”).
Il donatore, quindi, viene ricercato all’interno di appositi registri (o banche dati) delle associazioni di donatori: attualmente la probabilità di trovare in questi registri un donatore compatibile va dal 10 % al 15 %. Nel caso del trapianto autologo, invece, il paziente agisce come donatore per se stesso: al momento del trapianto egli riceve il proprio midollo osseo che, in una fase precedente, viene prelevato, eventualmente trattato, congelato, ed infine conservato in azoto liquido (ad una temperatura di -196°C) fino al momento del suo utilizzo. Anche il sangue periferico contiene cellule staminali di tipo midollare. Queste cellule aumentano considerevolmente di numero nelle fasi di recupero post chemioterapia, ossia quando i globuli bianchi, dopo essere diminuiti come effetto della chemioterapia stessa, ritornano ai valori normali; se poi questa ripresa della produzione midollare viene stimolata attraverso la somministrazione di particolari sostanze (chiamate fattori di crescita) il numero delle cellule staminali che dal midollo osseo passa nella corrente sanguigna diviene tale da permetterne la raccolta con l’ausilio di una procedura molto semplice, chiamata leucoaferesi. Il processo attraverso il quale si stimola il midollo a liberare in periferia le cellule staminali va sotto il nome di mobilizzazione.
La procedura di leucoaferesi si avvale di un’apposita macchina che in due o tre sedute di poche ore ciascuna raccoglie dal sangue periferico cellule staminali sufficienti per l’attuazione di un trapianto di midollo; la macchina in questione si chiama separatore cellulare; essa agisce prelevando il sangue da una vena periferica e reimmettendolo in un’altra vena, solitamente a livello delle braccia.

Come viene trattato il midollo osseo per eliminare le cellule tumorali?
Una volta prelevate, le cellule del midollo osseo possono essere sottoposte, in laboratorio, ad un trattamento con degli agenti specifici. In particolare nelle seguenti situazioni: 1 – Nel caso dell’autotrapianto, qualora la malattia abbia interessato anche il midollo del paziente (come ad esempio in alcuni linfomi, in stadio avanzato) o quando la malattia interessa primitivamente il midollo e la chemioterapia di induzione non sia riuscita ad eradicarla completamente (come in alcune leucemie), le cellule maligne contaminanti possono essere rimosse attraverso tecniche molto avanzate. Queste possono prevedere sia l’utilizzo di chemioterapia in laboratorio (mafosfamide, vincristina, desametasone) sia l’utilizzo di microsfere cui vengono coniugati particolari anticorpi, detti monoclonali, specificamente diretti contro le cellule tumorali. Le microsfere, adese alle cellule tumorali, vengono poi eliminate usando dei campi magnetici, eliminando in questo modo dal midollo le cellule tumorali stesse. Queste tecniche vengono denominate procedure di “purging”, ossia di purgazione delle cellule maligne.
2 – Nel caso del trapianto allogenico, qualora sussista un rischio elevato di sviluppare la malattia del trapianto verso l’ospite (graft versus host disease); è il caso, per esempio, del trapianto aploidentico, condizione in cui il donatore non è completamente compatibile (HLA identico al ricevente). Per diminuirne l’incidenza e la gravità di tale complicanza le cellule del midollo del donatore possono venire depletate di una particolare popolazione di linfociti (i linfociti T), ritenuti i maggiori responsabili della malattia del trapianto verso l’ospite. E’ giusto però ricordare che tale procedura, sottraendo cellule che, fra l’altro, sono dotate di effetto antileucemico, eleva in maniera considerevole la possibilità che dopo il trapianto si verifichi una recidiva di malattia.

Cosa determina se l’accoppiamento donatore/ricevente avrà successo?
Il nostro sistema immunitario è costituito dalle varie classi di globuli bianchi che, circolando continuamente per tutto il corpo, lo sorvegliano e lo difendono da agenti estranei. Essi distruggono tutto quello che percepiscono come “non proprio”, ossia non appartenente al proprio organismo. E’ questa la ragione fondamentale per cui, quando il midollo osseo di un donatore viene trapiantato in un nuovo ospite, in quest’ultimo può verificarsi uno spettro di interazioni diverse. Da un lato il sistema immunitario del ricevente può rigettare le cellule del donatore, nel qual caso si parla di rigetto o insuccesso del trapianto (graft failure); d’altro lato, viceversa, le cellule del donatore possono attaccare i tessuti del ricevente, realizzando in questo modo la cosiddetta malattia del trapianto verso l’ospite (graft versus host disease o GVHD). Ovviamente fra questi due estremi dello spettro vi sono tutte le possibili situazioni intermedie, in cui l’interazione fra il “vecchio” sistema immunitario appartenente al ricevente ed il “nuovo” sistema immunitario proveniente dal donatore realizzano una convivenza dinamica, che spesso richiede molto tempo prima di stabilizzarsi in una condizione di equilibrio. In generale più è vicina la compatibilità tra il ricevente e il donatore più basso è il rischio che si verifichino le complicazioni sopracitate, riguardo alle quali vanno comunque fatte le seguenti considerazioni:
– Poiché i trattamenti chemio-radioterapici di condizionamento sopprimono il sistema immunitario del ricevente, il rigetto del trapianto (graft failure) è un evento molto raro.
– La tecnologia moderna è in grado di rimuovere o sopprimere le cellule T, maggiori responsabili della malattia del trapianto verso l’ospite (GVHD), rendendo perciò possibile, in certi casi, la realizzazione di un trapianto fra individui geneticamente non totalmente compatibili. In ogni caso, il trapianto fra individui geneticamente totalmente compatibili (HLA identici), dove attuabile, rimane il trapianto di scelta poiché comporta maggiori probabilità di riuscita.

Come viene accertata la compatibilità di un donatore?
Le cellule del midollo osseo possiedono, a livello della loro superficie, delle particolari strutture che possono riconoscere e rigettare i tessuti estranei. Queste strutture vengono chiamate antigeni leucocitari umani o, più brevemente, HLA (Human Leukocyte Antigens). A tutt’oggi sono stati identificate quattro classi di antigeni HLA: A,B,C,D. Per assicurare la miglior accettazione possibile del midollo del donatore da parte del ricevente, è condizione ideale che tutti e quattro i siti antigenici siano uguali; in particolare l’antigene di classe D viene analizzato in maniera più approfondita, poiché determina il livello di risposta immunitaria e di rigetto nei confronti dei tessuti estranei.
Per determinare la compatibilità tra donatore e ricevente è sufficiente una piccola quantità di sangue periferico di entrambi gli individui: dopo un semplice prelievo vengono eseguiti due test. Essi sono la tipizzazione HLA, ossia la determinazione molecolare degli antigeni leucocitari sopracitati, e l’esecuzione delle colture miste linfocitarie (Mixed Limphocyte Coltures o MLC), mediante le quali i linfociti del donatore e del ricevente vengono messi a contatto in vitro; dopo alcuni giorni ne viene studiata la reciproca tolleranza e reattività.
Entrambi questi test vengono dunque eseguiti in laboratorio.

Come avviene la donazione di midollo osseo.
Il midollo osseo viene prelevato mediante aspirazione dalle ossa del bacino del donatore, a livello delle creste iliache, utilizzando appositi aghi cui vengono connesse delle siringhe. Di norma questo intervento viene eseguito sotto anestesia totale, in camera operatoria, ed ha una durata di circa un’ora. Sul midollo così ottenuto viene eseguito un conteggio delle cellule nucleate, per determinarne la quantità ed assicurarsi che sia stata raggiunta la quota raccomandata per l’esecuzione del trapianto; tale quota deve essere di 2-6 x 108 cellule (200-600 milioni cellule) per kg. di peso del ricevente. La zona ove è stato prelevato il midollo potrà essere leggermente dolorante per qualche giorno e non lascia alcuna cicatrice; l’eventuale lieve fastidio potrà essere alleviato utilizzando farmaci antidolorifici, a basso dosaggio. Abitualmente i donatori vengono dimessi dall’ospedale il giorno successivo all’intervento.
La quantità di midollo prelevata, relativamente contenuta, non provoca alcun effetto negativo al donatore, che la ricostituisce nell’arco di due o tre settimane. Poichè insieme alle cellule midollari viene prelevata anche una certa quantità di sangue, spesso il donatore viene sottoposto ad uno o due salassi nelle settimane precedenti alla donazione di midollo. Il sangue così raccolto (circa 400 ml per salasso) viene conservato in appositi frigoriferi e reinfuso al donatore stesso subito dopo il prelievo di midollo (autotrasfusione); in questo modo il volume ematico del donatore viene prontamente ristabilito senza ricorrere a trasfusioni esterne, riducendo al minimo gli effetti della rapida anemizzazione dovuta all’aspirazione di midollo ed annullando completamente qualsiasi rischio infettivo ed immunologico legato a trasfusioni di sangue allogenico (cioè proveniente da donatori di sangue estranei).
Le procedure utilizzate nella donazione di sangue e di midollo sono estremamente semplici ma ovviamente rappresentano, per chi è chiamato a tali atti, un’esperienza del tutto nuova, che talora può essere fonte di paure e turbamenti. I centri specializzati nel trapianto di midollo osseo cercano di offrire tutto il supporto necessario al superamento di tali paure, nella consapevolezza che il donatore di midollo in quanto tale deve essere considerato una persona speciale.

Come avviene il trapianto?
Una volta prelevato dal donatore (o dallo stesso paziente), il midollo viene trattato attraverso dei particolari filtri per rimuovere le cellule adipose, frammenti di ossa ed altre particelle impure, e per separare le cellule che talora formano grossi aggregati. In certi casi il midollo viene ulteriormente trattato per rimuovere le cellule che possono provocare disturbi di carattere immunitario (i linfociti T).
Nel caso dell’autotrapianto il midollo viene congelato e conservato fino al momento in cui si rende necessario. Per preservare l’integrità delle cellule sottoposte a congelamento il midollo viene addizionato di una sostanza chiamata dimetilsulfossido (DMSO). Questa sostanza ha un forte odore di aglio che può essere avvertito nell’alito del paziente per uno o due giorni dopo il trapianto, poiché viene eliminata attraverso la respirazione. Invece, nel caso dell’allotrapianto il midollo, che non deve essere congelato, viene posto in apposite sacche di plastica e rapidamente portato al ricevente; a questo punto, esattamente come una semplice trasfusione di sangue, il midollo viene lentamente infuso al paziente per via endovenosa. Tale infusione richiede circa una o due ore e, generalmente, non comporta nessun particolare disturbo per il ricevente ad eccezione di una possibile lieve reazione di tipo allergico.
Qualora ciò accada il paziente può avvertire brividi, cardiopalmo e tachicardia, e può sviluppare una reazione orticarioide. Per prevenire e controllare questa possibile evenienza vengono solitamente somministrati degli anti-istaminici ed altri farmaci antiallergici. Una volta completata l’infusione, attraverso la corrente circolatoria le cellule staminali midollari trovano la propria strada all’interno delle ossa del corpo ove, giorno dopo giorno cominciano a ripopolare il midollo del paziente ed a produrre nuove cellule sane del sangue. Questo processo è chiamato attecchimento e dura dalle due alle tre settimane.

Quanto tempo passa dall’ingresso in ospedale al momento del trapianto?
Il tempo indicativo dall’ingresso in ospedale al trapianto è di circa due settimane. Idealmente, perché il trapianto possa essere considerato come una terapia appropriata, il paziente dovrebbe essere in remissione della propria malattia, anche se a tale regola possono esservi alcune eccezioni. Prima dell’ ingresso in ospedale il paziente viene sottoposto ad accertamenti volti a determinarne la condizione fisica generale e lo stato psichico, per stabilire così se esistono i presupposti necessari a permettere l’esecuzione del trapianto e le terapie correlate. In particolare il paziente viene sottoposto ad aspirazione e biopsia del midollo, esami radiologici (radiografia del torace ed eventuali indagini TAC) , esami del sangue, prove di funzionalità respiratoria, elettrocardiogramma ed angioscintigrafia miocardica (MUGA). Al fine di ridurre al massimo il rischio di sviluppare infezioni nel decorso post-trapianto, viene inoltre eseguita un’accurata indagine odontostomatologica con le terapie del caso (pulizia dei denti, cura delle carie ed eventuale avulsione dentaria); eventuali ascessi o granulomi dentari, infatti, rappresentano sempre una sicura sede di germi di vario tipo. Prima dell’ingresso, o più spesso il giorno di ingresso in ospedale, al paziente viene inserito un catetere venoso centrale, solitamente nella vena succlavia. Tale catetere, che è come un piccolo tubicino in plastica morbida e flessibile, viene posto in anestesia locale, subito sotto la clavicola, da personale specializzato. Attraverso questo catetere saranno somministrati tutti i medicamenti, compreso i chemioterapici, e saranno giornalmente eseguiti i prelievi ematici necessari, senza dover ricorrere, di volta in volta, a fastidiose e ripetute venopunture delle braccia. Dopo l’ingresso in ospedale, nei primi giorni di ricovero, il paziente viene sottoposto al trattamento chemioradioterapico di condizionamento (vedi pag.1, risposta a “che cos’è il trapianto di midollo osseo?”).
Questo trattamento ha tre scopi fondamentali e complementari:
1) eliminare le cellule cancerogene.
2) creare spazio nel midollo osseo per consentire l’espansione delle nuove cellule midollari.
3) creare le condizioni di immunosoppressione atte a prevenire il rigetto del trapianto (graft-failure). La trasfusione del nuovo midollo servirà al paziente a ripristinare la perdita di cellule dovuta alla chemioterapia ed alle radiazioni permettendone così un completo recupero della funzione emopoietica. Come tutte le chemioterapie, anche il regime di condizionamento può indurre uno stato di nausea ed eventualmente scatenare episodi di vomito. Generalmente però, questo effetto collaterale ha una durata limitata ai giorni del condizionamento stesso e viene controllato dalla somministrazione di farmaci antiemetici.
Sporadici episodi di vomito nei giorni successivi, quando presenti, sono invece da imputare alla mucosite, che, interessando l’apparato gastroenterico in toto, può realizzare uno stato infiammatorio della mucosa gastrica. Un altro effetto potenzialmente pericoloso del regime chemio-radioterapico di condizionamento è la possibilità di indurre crisi epilettiche; tale rischio è molto limitato e riguarda solo soggetti eventualmente predisposti, ma al fine di impedire che esso possa realizzarsi viene preventivamente attuata una apposita profilassi farmacologica; quest’ultima, fondata sulla somministrazione di benzodiazepine, può indurre uno stato di sonnolenza e di torpore della durata di poche ore.

Cosa accade dopo il trapianto?
Entro circa due settimane le cellule midollari trapiantate iniziano ad attecchire e a ripopolare l’organismo del paziente con cellule sane. Comunque, affinché il nuovo midollo del paziente sia sviluppato a tal punto da produrre un numero sufficiente di cellule mature, sono necessarie non meno di tre o quattro settimane.
Nelle prime due tre settimane dopo il trapianto, nell’attesa che si compia l’attecchimento e la maturazione delle nuove cellule midollari, il paziente va incontro ad uno stato di aplasia, ossia non produce cellule mature; come conseguenza della morte naturale delle cellule già presenti, si verifica una progressiva diminuzione delle cellule del sangue circolanti, che si traduce in una discesa dei valori emocromocitometrici: i globuli bianchi scendono rapidamente a zero mentre, di pari passo, le piastrine e i globuli rossi calano velocemente di numero. Per sopperire alla mancata produzione cellulare ed evitare le pericolose conseguenze che ne deriverebbero il paziente viene periodicamente trasfuso con concentrati piastrinici ed unità di globuli rossi di donatori volontari, accuratamente selezionati.
Queste cellule, che sono sottoposte a rigidissimi controlli, hanno la funzione di sostituire temporaneamente le cellule del paziente, che sono in via di maturazione. Nonostante queste trasfusioni, però, le prime due settimane dopo il trapianto sono le più difficili per il paziente, il quale, comunque, non avendo globuli bianchi, deve superare un periodo di profonda immunosoppressione (a differenza dei globuli rossi e delle piastrine, i globuli bianchi non possono essere trasfusi). Tale periodo è perciò molto delicato, soprattutto per quanto riguarda la possibilità di contrarre vari tipi di infezione, batteriche e fungine. Questo pericolo sussiste anche in regime di sterilità, in parte perché, nonostante la stessa camera sterile, risulta impossibile impedire che il paziente venga in contatto con qualche microrganismo, in parte perché molti germi sono ospiti naturali dell’organismo ed in esso sono presenti già prima che il paziente vada incontro all’immunosoppressione farmacologica.
E’ bene infatti ricordare che, se la grande maggioranza dei germi non è in grado di sviluppare infezioni in un soggetto immunocompetente (dotato cioè di un normale sistema immunitario), senza la continua sorveglianza esercitata dai globuli bianchi, maturi e funzionanti, qualunque microrganismo può moltiplicarsi rapidamente e produrre uno stato di infezione, virtualmente a carico di qualsiasi organo del corpo. Di fatto il sistema respiratorio, proprio perché, attraverso l’aria respirata, risulta in continuo contatto con l’ambiente esterno, rappresenta l’apparato a maggior rischio di sviluppare infezioni. Al fine di prevenire le infezioni, oltre al ricovero in camera sterile (ove l’aria viene continuamente fatta ricircolare in appositi filtri a flusso controllato), rigorosamente singola e con propri servizi igienici, vengono messi in atto tutti i possibili presidi di controllo ambientale e periodicamente vengono eseguiti dei tamponi di controllo a livello di varie parti della superficie corporea del paziente; Inoltre, viene somministrata una terapia antibiotica di profilassi contro i più comuni germi normalmente presenti nel corpo, soprattutto a livello gastroenterico. I pazienti sono mantenuti in isolamento e, sia il personale medico che quello infermieristico, quando entra nella stanza indossa sempre un camice sterile, una cuffia sterile, dei guanti sterili ed una mascherina protettiva. Nel caso in cui, nonostante tutto ciò, il paziente vada incontro ad un episodio infettivo (cui consegue quasi sempre la comparsa di febbre), viene subito iniziata una antibioticoterapia ad ampio spettro, composta di due o tre diversi antibiotici antibatterici somministrati endovena; in concomitanza con la risalita della febbre vengono eseguiti dei prelievi di sangue (emocolture) su cui, in laboratorio, viene ricercato il microrganismo responsabile dell’infezione; possono inoltre venire eseguite indagini supplementari, come esami colturali sulle urine o sull’espettorato, o su altri liquidi biologici, ed infine possono essere effettuate ulteriori indagini di tipo radiologico od ecografico. Talora può essere necessario ricorrere ad una terapia antifungina, utilizzando un antibiotico specifico verso questo tipo di infezioni. Una conseguenza molto frequente della chemioterapia ad alte dosi e della radioterapia di condizionamento è la mucosite, ossia l’infiammazione delle mucose dell’apparato orale e gastroenterico. Essa è dovuta alla morte delle cellule superficiali delle mucose, le cosiddette cellule epiteliali (si parla infatti di disepitelizzazione), cui segue una fase di rigenerazione e ricostituzione delle mucose stesse. La mucosite compare in genere nei giorni subito successivi al trapianto e si protrae per un periodo molto variabile; talora si manifesta in maniera molto lieve o addirittura quasi indolente, talora invece si presenta in maniera più seria e progredisce fino ad impedire anche l’alimentazione, nel qual caso il paziente viene adeguatamente nutrito e supportato per via parenterale (ossia direttamente in vena, attraverso il catetere venoso centrale).
Il più delle volte i pazienti con la mucosite inizialmente avvertono un fastidio alla bocca ed alla gola, che poi esita nella formazione di piccole lesioni ulcerative a livello della mucosa orale, della lingua, delle gengive. In rari casi queste lesioni possono divenire anche molto estese e provocare perciò uno stato soggettivamente molto invalidante, che impedisce la deglutizione.
Tutto ciò, inoltre, viene ulteriormente complicato da un altro aspetto della mucosite, la cosiddetta scialorrea: con questo termine si intende l’aumentata produzione di saliva, che si presenta più densa del normale e può essere tanto abbondante da obbligare il paziente ad espellerla all’esterno ripetutamente. La scialorrea è conseguenza di uno stato infiammatorio che, insieme alle mucose, colpisce anche le ghiandole salivari. In ogni caso la mucosite e la scialorrea sono disturbi transitori, che nel volgere di alcuni giorni (generalmente sette – dieci giorni) rapidamente migliorano e si risolvono in maniera definitiva. Un altro effetto secondario al regime di condizionamento (chemioterapia e radioterapia) è l’alopecia, ossia la perdita dei capelli.
Essa si verifica inesorabilmente tra la quinta e la decima giornata dopo il trapianto, tanto che, normalmente, al primo accenno di perdita di capelli il paziente viene sottoposto a rasatura completa della testa; ciò anche per motivi igienici e di sterilità, oltre che per motivi estetici. L’alopecia è una conseguenza sempre transitoria, legata ad un danno dei bulbi capilliferi; nell’arco di tre mesi dal trapianto infatti, generalmente tutti i pazienti tornano in possesso della propria capigliatura. Dopo circa quattro – sei settimane dal trapianto, se non sono intervenuti problemi particolari e non si è sviluppata una reazione acuta del trapianto verso l’ospite di grado avanzato, generalmente il paziente può essere dimesso e tornare a casa.
Ovviamente il momento della dimissione è molto variabile; di norma gli allotrapianti richiedono un’ospedalizzazione più prolungata degli autotrapianti, sia perché l’attecchimento di un midollo non appartenente all’organismo del paziente richiede in genere più giorni dell’attecchimento di un midollo autologo, sia per il rischio di sviluppare una reazione del trapianto verso l’ospite, che richiede un’adeguata terapia. Purtroppo talora può accadere che un paziente debba rimanere in ospedale più a lungo, per essere sottoposto ad ulteriori terapie di eventuali complicanze o perché semplicemente abbia bisogno di un tempo maggiore per raggiungere valori emocromocitometrici (in particolare il valore delle piastrine) sufficienti a garantirne la sicurezza a casa.

Cosa si intende per effetto antileucemico del trapianto (Graft Versus Leukemia o GVL)?
Come già anticipato, il midollo osseo del donatore contiene alcune cellule mature (linfociti T) che sono responsabili di una complicazione nota come malattia del trapianto verso l’ospite (GVHD); un sottogruppo di questo tipo di cellule, d’altra parte, possiede un’attività antileucemica, e perciò contribuisce a combattere le cellule cancerose. Tale effetto benefico si aggiunge a quello principalmente svolto dalla chemio-radioterapia ed è conosciuto con il nome di “Graft Versus Leukemia” (GVL), ossia “effetto antileucemico del trapianto”.
Attualmente uno dei principali obiettivi della ricerca è quello di riuscire ad individuare questo sottogruppo di linfociti e separarlo dal resto delle cellule T; in un futuro non troppo lontano ciò permetterà di trattare il midollo del donatore in laboratorio in modo da eliminare le cellule che causano la malattia del trapianto verso l’ospite conservando però le cellule che possiedono un importante effetto antileucemico.
In altre parole sarà possibile separare la GVL dalla GVHD, conservando gli effetti positivi legati alla prima ed eliminando le spiacevoli conseguenze della seconda.

Cosa sono i fattori di crescita e a cosa servono?
I fattori di crescita sono sostanze la cui principale funzione è quella di stimolare il midollo osseo a produrre più cellule.
Essi vengono prodotti dal nostro organismo per regolare la funzione emopoietica del midollo. Grazie alla ricerca oggi i fattori di crescita riescono ad essere sintetizzati in laboratorio e fanno parte dei prodotti farmaceutici di normale utilizzo clinico; somministrati a pazienti che, a causa della chemioterapia, vanno incontro ad una diminuzione temporanea dei globuli bianchi, essi abbreviano in maniera significativa il tempo necessario alla ripresa della funzione midollare e perciò alla risalita dei globuli bianchi stessi. Come diretta conseguenza, i fattori di crescita diminuiscono i giorni in cui più alto è il rischio di contrarre infezioni.
Somministrati nei giorni successivi al trapianto, essi abbreviano i giorni di aplasia riducendo perciò i giorni di ricovero ed accelerando la dimissione dall’ospedale. I principali fattori di crescita sono il G-CSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor – Fattore stimolante le colonie di granulociti) ed il GM-CSF (Granulocyte / Macrophage Colony Stimulating Factor – Fattore stimolante le colonie di granulociti e macrofagi).
Una seconda funzione molto importante dei fattori di crescita, come già anticipato, è quella di mobilizzare le cellule staminali midollari, ossia di far aumentare nel circolo periferico queste cellule progenitrici di tutti i globuli bianchi, in modo da permetterne la raccolta con le procedure di leucoaferesi precedentemente spiegate.

Vi sono effetti secondari legati al trapianto? Quali?
Un importante effetto secondario del trapianto di midollo osseo è la sterilità, ossia l’impossibilità di generare prole.
E’ questa una conseguenza legata ancora una volta alla chemioterapia ed alla radioterapia che precedono il trapianto. Il regime di condizionamento, infatti, danneggia in modo purtroppo quasi sempre irreversibile le cellule ovariche e testicolari deputate alla produzione delle cellule germinali, cioè le cellule uovo nella donna e gli spermatozoi nell’uomo. E’ molto importante però sottolineare il fatto che le funzioni sessuali non vengono assolutamente alterate. Sterilità non significa né impotenza né frigidità!
I farmaci antitumorali e le radiazioni somministrate durante il regime di condizionamento sono molto potenti e in una certa misura possono arrecare danni anche ad altri organi; generalmente questi ultimi sono danni reversibili, ma talora, a distanza di tempo, possono condurre ad un indebolimento funzionale degli organi interessati; ciò vale soprattutto per il cuore, i polmoni ed il fegato; la maggior parte delle volte, però, eventuali esiti a distanza di tempo interessano organi già in precedenza indeboliti e perciò più soggetti a subire danni di una certa importanza, mentre di norma è proprio con il passare del tempo che pian piano l’organismo riacquista il suo assetto originale e ritrova il suo miglior equilibrio.

Come ci si può iscrivere alla banca dati dei donatori di midollo osseo?
Tra le migliaia di persone che possono beneficiare di un trapianto di midollo circa il 70% non ha un donatore compatibile fra i propri familiari. Questi pazienti hanno bisogno di trovare un donatore non familiare attraverso le banche dati.
I requisiti per essere un donatore di midollo osseo sono pochi: avere un’età compresa tra i 18 anni e 55 e godere di buona salute generale.
Per iscriversi alla banca dati, e cioè al Registro Italiano Donatori di Midollo Osseo è sufficiente recarsi al centro trasfusionale ospedaliero più vicino e sottoporsi ad un piccolo prelievo di sangue (qualsiasi informazione a questo riguardo può essere ottenuta telefonando all’Associazione Donatori Midollo Osseo – ADMO – Via Aldini 72, Milano. Tel. 02/39000855).
Su questo sangue (pochi millilitri) vengono determinate le caratteristiche di gruppo e viene tipizzato l’HLA: i risultati confluiscono in un computer facente capo al Registro sopraddetto e possono in questo modo essere a disposizione di tutti i pazienti che sono alla ricerca di un donatore. Naturalmente la possibilità di essere prima o poi chiamati alla vera e propria donazione di midollo è molto piccola, ma, qualora ciò avvenga, ferma restando la libertà individuale di ritirare il proprio consenso, rappresenta un’esperienza ed un’occasione unica, che vale comunque la pena di vivere.

Quali sono i progressi che si sono verificati negli ultimi anni nel campo dei trapianti di midollo?
Negli anni più’ recenti, e soprattutto nell’ultima decade, si sono registrati enormi progressi sia nello sviluppo di nuove terapie di condizionamento al trapianto, sia nelle terapie cosiddette di supporto, sia nel riconoscimento degli effetti tardivi post-trapianto. Tutto questo ha permesso un netto incremento di sopravvivenza ma anche della qualità della vita del paziente trapiantato.
Lo studio della compatibilità HLA è stato completamente rivoluzionato dall’applicazione di tecniche molecolari; per tale ragione l’identità donatore- ricevente è adesso molto più accurata rispetto a quanto avveniva anche soltanto 5 anni fa; ciò consente di escludere errori nella determinazione degli alleli HLA più importanti, sia nel caso di donatori famigliari sia soprattutto nel caso di donatori da registro, permettendo così la selezione di donatori che abbiano tutti i requisiti attualmente ritenuti fondamentali per una buona riuscita del trapianto. Tra i progressi degli ultimi anni vanno inoltre annoverati lo sviluppo di nuovi antibiotici antibatterici ed antivirali e di nuovi farmaci anti-rigetto, molti dei quali sono già disponibili in commercio ed in corso di valutazione per la terapia e la profilassi della malattia trapianto verso ospite.
La scoperta forse più rivoluzionaria di questi anni è comunque quella dei cosiddetti “linfociti del donatore”: si è visto infatti che pazienti sottoposti a trapianto di midollo ed in iniziale recidiva, possono essere trattati con l’infusione di linfociti prelevati dal donatore i quali, in una certa percentuale dei casi, inducono una rapida e durevole scomparsa della malattia. La trasfusione di “linfociti del donatore”, sebbene comporti qualche rischio (soprattutto legato alla possibile comparsa della GVHD), ha ulteriormente aumentato le possibilità di guarigione, soprattutto in alcune patologie come la leucemia mieloide cronica, dove l’effetto anti-leucemico dei linfociti é maggiore.

Per il trapianto è possibile utilizzare anche il sangue placentare?
All’inizio degli anni ’90 si è scoperto che nella placenta di neonati a termine è contenuto un certo numero di cellule staminali emopoietiche. Attraverso metodiche molto semplici è possibile, subito dopo il parto, prelevare dalla placenta un certo quantitativo di sangue (generalmente 80-120 ml) contenente cellule staminali emopoietiche da utilizzare come fonte di donazione per trapianto di midollo osseo, senza che ciò comporti alcun rischio né per il neonato né per la madre.
In pratica, subito dopo il parto viene inserito un ago all’interno del cordone ombelicale, che nel frattempo è già stato chiuso (ma non ancora tagliato), e attraverso di esso viene aspirato il sangue residuo placentare. Questo sangue viene accuratamente esaminato, viene esclusa la contaminazione batterica o virale, e le cellule staminali in esso contenute vengono contate e tipizzate per quanto riguarda l’HLA. Espletate queste operazioni esso viene posto in appositi contenitori e congelato in azoto liquido, dove rimane a disposizione per gli anni a venire, costituendo in tal modo una fonte alternativa di cellule utilizzabili per trapianto di midollo osseo.
La tipizzazione HLA delle cellule staminali in esso contenute viene inserita in un apposito registro, consultabile dai Centri accreditati di tutto il mondo.
Il numero delle cellule staminali contenute nel sangue placentare è tuttavia limitato e non consente un facile attecchimento in pazienti adulti; pertanto attualmente il sangue placentare costituisce una sorgente di cellule utilizzabili a fini trapiantologici preferenzialmente (ma non esclusivamente) per soggetti in età pediatrica. L’enorme vantaggio fornito da questa metodica è soprattutto legato al fatto che vengono utilizzate cellule che altrimenti verrebbero eliminate come materiale di scarto (insieme alla placenta), consentendo pertanto la costituzione di apposite banche in cui il numero delle unità a disposizione cresce in maniera continua, aumentando così la possibilità per i pazienti di trovare una fonte di cellule staminali ad essi totalmente compatibile, spesso in tempi brevissimi.

Visti i recenti progressi, è possibile utilizzare per il trapianto anche donatori non HLA-identici?
Tra i grandi progressi degli ultimi anni sono da annoverare quelli compiuti nei cosiddetti trapianti “mis-matched” o “aploidentici”; si tratta di trapianti che possono essere eseguiti da donatori HLA non identici al paziente, più frequentemente famigliari parzialmente identici. A tal fine vengono utilizzate le cellule staminali del sangue periferico, da cui vengono completamente rimossi i linfociti, che sarebbero altrimenti responsabili di una GVHD molto severa.
Questi tipi di trapianto trovano indicazione in soggetti che non abbiano un famigliare HLA identico, in cui la ricerca di un donatore da registro sembri difficoltosa o quando siano in uno stato di malattia ad alto rischio di ricaduta precoce. Nonostante si tratti di procedure terapeutiche particolarmente complesse ed ancora problematiche per l’incidenza elevata di complicanze infettive, si stanno avendo risultati sempre più incoraggianti, soprattutto nelle leucemie mieloidi.

Che cos’é il “mini-trapianto”?
Per “mini-trapianto” o trapianto “lite” s’intende un trapianto di midollo o di cellule staminali in cui viene utilizzata una terapia di condizionamento non mieloablativa, ossia a dosi minori rispetto al condizionamento classico, tali da non eliminare in maniera completa il midollo osseo del paziente. Questo tipo di trattamento, la cui tossicità è evidentemente limitata, in presenza di farmaci anti rigetto consente un rapido attecchimento delle cellule staminali del donatore. In pratica nel paziente si crea una situazione definita come “chimerismo misto”, ossia la convivenza di cellule emopoietiche del donatore con cellule emopoietiche del paziente stesso, sopravvissute alla chemioterapia di condizionamento.
Il minitrapianto sembra particolarmente indicato in soggetti di età superiore ai 60 anni o particolarmente debilitati, che non potrebbero sopportare la tossicità di una classica terapia di condizionamento; grazie ad esso è oggi realisticamente possibile considerare l’opzione trapiantologica anche in soggetti per i quali fino a cinque anni fa tale approccio terapeutico non sarebbe stato neanche proponibile. Tuttavia anche questo trattamento non è esente da rischi, in particolare legati alla possibile insorgenza della malattia trapianto verso ospite e alla transitorietà dell’attecchimento delle cellule trapiantate.
Esso infatti viene generalmente perso nel giro di qualche mese, a meno che, ad intervalli regolari, non si proceda all’infusione di linfociti del donatore; questi ultimi riconoscono le cellule del midollo appartenenti al ricevente come cellule estranee, e possono contribuire alla loro graduale e completa eliminazione.
In tal modo le infusioni di linfociti del donatore effettuate nelle fasi successive al “mini-trapianto” permettono di consolidare l’attecchiamento delle cellule emopoietiche del donatore e di allontanare il rischio di una recidiva. Questo approccio trapiantologico è ancora molto sperimentale ma ha permesso di ridurre notevolmente l’incidenza e la gravità dei maggiori effetti collaterali legati al trapianto di midollo osseo, soprattutto di tipo infettivo e di tipo tossico.. Utilizzando nuovi farmaci anti rigetto o diverse combinazioni chemioterapiche, si inizia oggi ad intravedere un’indicazione al minitrapianto in ogni fascia d’età ed in tutte le patologie. 

ENGLISH

INTRODUCTION
In the last twenty years marrow transplantation has gone from being a last desperate experiment to a well-established therapy to treat and cure many diseases.
In 1977, 169 patients were transplanted all over the world; in 1993, 10,000 patients had transplanted in more than 250 centers in 40 countries.
Currently patients with leukemia, lymphoma, advanced solid tumors, severe forms of aplastic anemia, some forms of immunodeficiency and genetic abnormalities have another possible cure that offers countless possibilities for healing. This brochure edited by our association wants, as far as possible, to explain the most important problems and to offer answers to the most frequently asked questions about bone marrow transplantation.

INTRODUCTION
In the last twenty years marrow transplantation has gone from being a last desperate experiment to a well-established therapy to treat and cure many diseases.
In 1977, 169 patients were transplanted all over the world; in 1993, 10,000 patients had transplanted in more than 250 centers in 40 countries.
Currently patients with leukemia, lymphoma, advanced solid tumors, severe forms of aplastic anemia, some forms of immunodeficiency and genetic abnormalities have another possible cure that offers countless possibilities for healing. This brochure edited by our association wants, as far as possible, to explain the most important problems and to offer answers to the most frequently asked questions about bone marrow transplantation.

What is bone marrow transplantation?
A bone marrow transplant (TMO) can be considered not as a surgical operation but as a transfusion of marrow, not blood, from one individual to another, or in the same individual. Bone marrow is a spongy tissue that is found inside the bones, whose role is to generate the various components of the blood and the immune system: red blood cells, white blood cells and platelets. Each of these cells has its own vital function, which serves to keep the body healthy and to prevent diseases. Unfortunately, each of these components, in the course of life, can undergo a malignant transformation, in a tumoral sense. In the case of leukemia, this transformation occurs in the white blood cells, which lose all control systems and begin to reproduce abnormally. Such hyper-production makes abnormal the process of development and maturation of the blood cells in the marrow.
For this reason, the following events occur:
1) reduction of red blood cell production, leading to an anemia condition
2) reduction of platelet production, which can lead to internal and external bleeding (more frequently under skin, such as hematomas or small specks called petechiae)
3) reduction of production and maturation of healthy white blood cells, with formation (and sometimes overproduction) of immature white blood cells (called "blasts"), not working: this entails a high risk of contracting infections of various types. Obviously, if left untreated, leukemia progressively leads to a worsening of health, until death.

Chemotherapeutic agents (traditional anticancer drugs and other substances that act as biological response modifiers) can destroy these malignant cells, but they are often harmful to the body's normal cells, particularly those in the bone marrow. For this reason, in standard anticancer treatments the dose of the drugs is kept within certain limits, so that the benefit of the treatment itself is not made vain by the damage done to healthy cells. Too high dosages of chemotherapeutic drugs risk to "burn" totally the healthy bone marrow, not allowing it more to recover and therefore leading inexorably to death. On the other hand, in diseases such as leukemia and lymphomas, very high doses of chemotherapeutic drugs considerably increase the chances of definitive healing, since, by reducing the number of malignant cells possibly surviving the treatment, the probability of relapse of these same diseases decreases.
In practice, we are faced with a potentially fatal disease and a possible therapy capable of defeating the aforementioned disease which, however, can lead to death. Bone marrow transplantation offers the opportunity to overcome this paradox, as it allows the body to tolerate the administration of so-called suprataximal doses of chemotherapeutic drugs. In a sequential sense, the therapy of leukemia, of lymphomas, but also of some solid neoplasms such as breast cancer, if it is possible to carry out a bone marrow transplant, takes place as follows:
- through the administration of chemotherapeutic drugs and possibly ionizing radiation we try to eliminate the diseased cells from the body; this treatment takes a few days (usually 6-8 days), and takes the name of "conditioning". In fact, in addition to obtaining the eradication of diseased cells, this treatment also serves to "condition" the recipient's tissue so that the latter prepares to receive and mature the transplant cells in itself; without this treatment, which involves a temporary suppression of the recipient's immune system, the cells of the transplant would be rapidly eliminated from the organism, and therefore would not be able to repopulate the bone marrow, allowing the survival of the recipient organism itself.
- at the end of this treatment we proceed to the transplantation, that is to the infusion into vein (exactly as if it were a blood transfusion) of medullary cells that have not come into contact with the chemotherapeutic drugs or with the above radiation; in fact these cells are taken from a healthy donor (allogeneic transplantation), or, in the case of autotransplantation (also called autologous transplantation), are taken from the patient in a phase prior to the beginning of conditioning treatment and frozen in liquid nitrogen; in this substance, at a temperature of - 178 ° C, the medullary cells are conserved for as long as necessary (also wanting many years) and thawed only at the time of transplantation. After the infusion, the transplanted marrow cells travel in the blood stream and in a short time reach the spaces normally destined to their maturation (the so-called bone lacunae); here the repopulation process begins, until, slowly, in the recipient the bone marrow returns to occupy its normal extension and resumes normal functioning, producing in a balanced way the blood cells necessary for life. When the "new" bone marrow is successfully accepted and the malignant cells do not return, the patient has the possibility of a long disease-free survival and, after a certain number of years, to consider himself healed. In conclusion we can affirm that conventional chemotherapy destroys malignant tumor cells, but at the same time, given the toxicity on healthy cells of the bone marrow, it rarely allows the achievement of healing, since it limits the dosage of anticancer drugs. With bone marrow transplantation, however, these limits can be largely overcome and so many definitive healings can be achieved. It should also be remembered that in the allogeneic transplant, the antitumor effect performed by the donor cells is added to the beneficial effect of the drugs; this action, called by the Anglo-Saxons Graft Versus Leukemia or GVL (ie Transplantation to Leukemia), helps to keep away possible disease recurrences, not allowing any residual malignant cells (survivors of the conditioning treatment) to reproduce and recontaminate the organism of the patient.

When is a bone marrow transplant indicated as a treatment?
Bone marrow transplantation is a treatment currently indicated for many haematological, oncological, hereditary and immunological diseases. It is certainly indicated and the treatment of choice in severe aplastic anemia (SAA), in some congenital immunodeficiency syndromes (SCID), in chronic myeloid leukemia (CML) and in a subgroup of patients with acute myeloid leukemia (AML) is considered. ) or acute lymphoblastic (ALL) who have specific chromosomes (such as the Philadelphia chromosome) or other factors (such as high tumor mass at diagnosis) known to be negative prognostic factors, ie factors that, when present, are often a worse prognosis disease index (either because it is more easily recidivable or because it is less easily treatable). Bone marrow transplantation is also certainly indicated in those patients in whom the conventional treatment of chemotherapy or radiotherapy has not given the expected results: here are included patients with acute leukemia (both myeloid and lymphoblastic) in which, although initially not present aforementioned negative prognostic factors, one or more relapses of the disease occurred (and are therefore no longer in the first, but second or subsequent remission), and patients with lymphomas (or other solid tumors) in advanced stages or who have resistant to the aforementioned conventional therapies.
Because bone marrow transplantation is a very powerful and intense therapy, which exposes you to high risks, not all patients may be undergoing it; among the things that are evaluated from time to time, there are the patient's age (with the age increases also the risks, therefore, generally, try not to exceed 35 years), the general state of health (in particular the condition of certain vital organs such as heart, lungs, liver and kidneys) and previous received therapeutic treatments. Immediately after the diagnosis the patient should therefore inquire about the possibilities of undergoing a bone marrow transplant. Obviously, in order to determine the possibility of a very important TMO, the collaboration between the hospital center specialized in transplants and the doctors of trust of the patient, that is to say those who have been diagnosed or treated by the patient up to that moment; in general, they are the most informed about the patient's physical and psychological health.

Who can be a bone marrow donor?
The ideal donor is a compatible member of the patient's family, usually a brother. Homozygous twins are usually not ideal donors in leukemia, since the complete identity of the unhygienic tissue features makes it more probable that the disease recurs after transplantation: as already mentioned in a previous answer, in fact, after allogeneic transplantation there is a certain action of the medulla transplanted to any residual leukemic cells; this action is however carried out precisely because there are small unhygienic differences between the donor and the recipient; on the contrary, it is totally lacking where these differences do not exist, as in the case of homozygous twins. Unfortunately, not all patients requiring transplants find a donor in the family: either the lack of siblings, or the non-compatibility of any existing brothers (for each brother there is a 25% compatibility probability) make it impossible to carry out a allogeneic transplantation from a family donor. For those without a compatible family donor, the search for an unfamiliar compatible donor can be started, or, in many cases, the possibility of a bone marrow autotransplant (autologous transplant) can be considered. In the first case we talk about non-familial compatible donor transplants (or, more briefly, MUD transplantation - acronym of "Matched Unrelated D'honor").

The donor, therefore, is searched in special registers (or databases) of donor associations: currently the probability of finding a compatible donor in these registers ranges from 10% to 15%. In the case of autologous transplantation, instead, the patient acts as a donor for himself: at the time of transplantation he receives his own bone marrow which, at a previous stage, is taken, eventually treated, frozen, and finally stored in liquid nitrogen (for a temperature of -196 ° C) until the moment of its use. Peripheral blood also contains bone marrow-type stem cells. These cells increase considerably in number in the post-chemotherapy recovery phases, ie when the white blood cells, after having decreased as an effect of the chemotherapy itself, return to normal values; if this recovery of bone marrow production is stimulated through the administration of particular substances (called growth factors), the number of stem cells that passes from the bone marrow into the bloodstream becomes such that it can be collected with the aid of a very simple procedure. called leukapheresis. The process by which the bone is stimulated to release stem cells in the periphery is called mobilization.
The leukapheresis procedure uses a special machine that in two or three sessions of a few hours each collects from the peripheral blood sufficient stem cells for the implementation of a bone marrow transplant; the machine in question is called a cell separator; it acts by taking blood from a peripheral vein and re-introducing it into another vein, usually at the level of the arms.

How is bone marrow treated to eliminate cancer cells?
Once taken, the bone marrow cells can be subjected to treatment with specific agents in the laboratory. In particular in the following situations: 1 - In the case of autotransplantation, if the disease has also affected the marrow of the patient (as for example in some lymphomas, in advanced stages) or when the disease affects the bone marrow and induction chemotherapy in the first place has managed to eradicate it completely (as in some leukemias), malignant contaminating cells can be removed through very advanced techniques. These may include the use of chemotherapy in the laboratory (mafosfamide, vincristine, dexamethasone) and the use of microspheres to which particular antibodies are conjugated, called monoclonal, specifically directed against tumor cells. The microspheres, attached to the tumor cells, are then eliminated using magnetic fields, thus eliminating the tumor cells from the marrow. These techniques are called "purging" procedures, ie purgation of malignant cells.
2 - In the case of allogeneic transplantation, if there is a high risk of developing graft versus host disease (graft versus host disease); this is the case, for example, of haploidentical transplantation, a condition in which the donor is not completely compatible (HLA identical to the recipient). To diminish the incidence and severity of this complication, the donor's marrow cells can be depleted of a particular population of lymphocytes (T lymphocytes), considered the major culprits of the transplantation disease to the host. However, it is right to remember that this procedure, by subtracting cells that, among other things, are endowed with an anti-oxycemic effect, considerably increases the possibility that after the transplantation a disease recurrence occurs.
What determines if the donor / recipient coupling is successful?
Our immune system is made up of the various classes of white blood cells which, continuously circulating throughout the body, monitor it and defend it from foreign agents. They destroy everything they perceive as "not really", that is, not belonging to their own organism. This is the fundamental reason why, when a donor's bone marrow is transplanted into a new host, a spectrum of different interactions can occur in the latter. On the one hand, the recipient's immune system can reject donor cells, in which case it is called rejection or graft failure; on the other hand, on the other hand, the donor's cells can attack the recipient's tissues, thus creating the so-called graft versus host disease (GVHD). Obviously between these two extremes of the spectrum there are all possible intermediate situations, in which the interaction between the "old" immune system belonging to the recipient and the "new" immune system coming from the donor achieve a dynamic cohabitation, which often takes a long time before stabilizing in a condition of equilibrium. In general, the nearer the compatibility between the recipient and the lowest donor is the risk that the above-mentioned complications will occur, with regard to which the following considerations must be made:
- Since conditioning chemo-radiation treatments suppress the recipient's immune system, graft failure is a very rare event.
- Modern technology is able to remove or suppress T cells, which are more responsible for the transplantation disease to the host (GVHD), thus making it possible, in some cases, the realization of a transplant between genetically not totally compatible individuals. In any case, transplantation between genetically compatible individuals (HLA identical), where feasible, remains the transplant of choice because it is more likely to succeed.

How is the compatibility of a donor established?
The cells of the bone marrow possess, at the level of their surface, particular structures that can recognize and reject foreign tissues. These structures are called human leukocyte antigens or, more briefly, HLA (Human Leukocyte Antigens). To date, four classes of HLA antigens have been identified: A, B, C, D. To ensure the best possible acceptance of the donor's marrow by the recipient, it is an ideal condition that all four antigenic sites are equal; in particular the class D antigen is analyzed in more detail, as it determines the level of immune response and rejection against foreign tissues.
To determine the compatibility between donor and recipient a small amount of peripheral blood of both individuals is sufficient: after a simple sampling two tests are performed. They are the HLA typing, ie the molecular determination of the aforementioned leukocyte antigens, and the execution of mixed lymphocyte cultures (Mixed Limphocyte Coltures or MLC), by which the lymphocytes of the donor and of the recipient are brought into contact in vitro; after a few days it is studied the mutual tolerance and reactivity.
Both of these tests are therefore performed in the laboratory.

How bone marrow donation takes place.
The bone marrow is taken by aspiration from the bones of the donor's pelvis, at the level of the iliac crests, using special needles to which syringes are connected. Normally this operation is performed under total anesthesia, in the operating room, and lasts about one hour. On the medulla so obtained, a nucleate cell count is performed to determine the quantity and to ensure that the recommended amount for transplantation has been reached; this quota must be 2-6 x 108 cells (200-600 million cells) per kg. weight of the receiver. The area where the marrow was taken may be slightly sore for a few days and leaves no scar; any slight discomfort can be alleviated by using low-dose painkillers. Usually donors are discharged from the hospital the day after the operation.
The amount of bone marrow taken, relatively contained, does not cause any negative effect on the donor, which reconstitutes it within two or three weeks. As a certain amount of blood is also collected together with the medullary cells, the donor is often subjected to one or two bleeding in the weeks prior to bone marrow donation. The blood thus collected (about 400 ml for bleeding) is stored in special refrigerators and re-infused to the donor immediately after the removal of marrow (autotransfusion); in this way the blood volume of the donor is promptly re-established without resorting to external transfusions, minimizing the effects of rapid anemia due to bone marrow aspiration and completely canceling any infectious and immunological risk linked to allogeneic blood transfusions (ie coming from donors of foreign blood).
The procedures used in the donation of blood and marrow are extremely simple but obviously represent, for those called to such acts, a completely new experience, which can sometimes be a source of fear and disturbance. Centers specializing in bone marrow transplantation seek to offer all the support necessary to overcome these fears, in the knowledge that the marrow donor as such must be considered a special person.

How is the transplant?
Once taken from the donor (or from the same patient), the marrow is treated through special filters to remove fat cells, bone fragments and other impure particles, and to separate cells that sometimes form large aggregates. In some cases the marrow is further treated to remove cells that may cause immune disorders (T lymphocytes).
In the case of autotransplantation, the marrow is frozen and stored until needed. To preserve the integrity of the cells under freezing the marrow is added with a substance called dimethyl sulphoxide (DMSO). This substance has a strong smell of garlic that can be felt in the patient's breath for one or two days after transplantation, as it is eliminated through breathing. Instead, in the case of the allograft, the marrow, which must not be frozen, is placed in special plastic bags and quickly brought to the recipient; at this point, just like a simple blood transfusion, the marrow is slowly infused to the patient intravenously. This infusion takes about one to two hours and generally does not involve any particular disturbance for the recipient except for a possible mild allergic reaction.
If this happens, the patient may experience chills, heartburn and tachycardia, and may develop an urticarial reaction. Anti-histamines and other antiallergic drugs are usually given to prevent and control this possible eventuality. Once the infusion is complete, through the circulatory current the medullary stem cells find their way inside the bones of the body where, day after day, they begin to repopulate the patient's marrow and produce new healthy blood cells. This process is called taking root and lasts two to three weeks.

How much time does it take to enter the hospital when it is transplanted?
Approximate time from admission to hospital to transplant is approximately two weeks. Ideally, because the transplant can be considered as an appropriate therapy, the patient should be in remission of his own illness, even if there are some exceptions to this rule. Before entering the hospital, the patient undergoes tests to determine the general physical condition and the psychological state, to establish if there are the conditions necessary to allow the execution of the transplant and the related therapies. In particular, the patient is subjected to aspiration and bone marrow biopsy, radiological examinations (chest x-ray and possible CT scan), blood tests, respiratory function tests, electrocardiogram and myocardial angioscintigraphy (MUGA). In order to minimize the risk of developing infections in the post-transplant course, a thorough odontostomatological investigation is also performed with the appropriate therapies (tooth cleaning, caries treatment and possible dental avulsion); any abscesses or dental granulomas, in fact, always represent a safe place for germs of various kinds. Before entering, or more often on the day of entry into the hospital, a central venous catheter is inserted into the patient, usually in the subclavian vein. This catheter, which is like a small tube of soft and flexible plastic, is placed under local anesthesia, immediately under the clavicle, by specialized personnel. Through this catheter all medicaments will be administered, including chemotherapy, and the necessary blood samples will be performed daily, without having to resort, from time to time, to bothersome and repeated venipuncture of the arms. After entering the hospital, during the first days of hospitalization, the patient undergoes conditioning chemioradiotherapy (see page 1, answer to "What is bone marrow transplantation?").
This treatment has three basic and complementary purposes:
1) eliminate cancer cells.
2) create space in the bone marrow to allow the expansion of new bone marrow cells.
3) to create the conditions of immunosuppression to prevent graft-failure. The transfusion of the new marrow will be used by the patient to restore the loss of cells due to chemotherapy and radiation, thus allowing a complete recovery of the hemopoietic function. Like all chemotherapies, even the conditioning regimen can induce a state of nausea and possibly trigger episodes of vomiting. Generally however, this side effect has a limited duration to the days of conditioning itself and is controlled by the administration of antiemetic drugs.
Sporadic episodes of vomiting in the following days, when present, are instead to be attributed to mucositis, which, affecting the whole gastrointestinal system, can produce an inflammatory state of the gastric mucosa. Another potentially dangerous effect of the chemo-radiotherapy conditioning system is the possibility of inducing epileptic seizures; this risk is very limited and concerns only subjects who may have been predisposed, but in order to prevent it from happening, a specific pharmacological prophylaxis is implemented; the latter, based on the administration of benzodiazepines, can induce a state of somnolence and numbness lasting only a few hours.

What happens after the transplant?
Within about two weeks, the transplanted bone marrow cells begin to take root and repopulate the patient's body with healthy cells. However, for the new marrow of the patient to be developed enough to produce enough mature cells, it takes no less than three to four weeks.
In the first two weeks after the transplantation, while waiting for the engraftment and maturation of the new medullary cells, the patient undergoes a state of aplasia, ie does not produce mature cells; as a consequence of the natural death of the cells already present, there is a progressive decrease in circulating blood cells, which results in a decrease in blood count: the white blood cells fall rapidly to zero while, at the same time, the platelets and the red blood cells decrease fast in number. To compensate for the lack of cell production and avoid the dangerous consequences that would result, the patient is periodically transfused with platelet concentrates and red blood cell units of carefully selected voluntary donors.
These cells, which are subjected to very strict controls, have the function of temporarily replacing the patient's cells, which are maturing. Despite these transfusions, however, the first two weeks after transplantation are the most difficult for the patient, who, however, not having white blood cells, must overcome a period of profound immunosuppression (unlike the red blood cells and platelets, the globules whites can not be transfused). This period is therefore very delicate, especially as regards the possibility of contracting various types of infections, bacterial and fungal. This danger also exists in the sterility regime, partly because, despite the same sterile chamber, it is impossible to prevent the patient from coming into contact with some microorganism, partly because many germs are natural hosts of the organism and are present in it already before that the patient goes to drug immunosuppression.


It is good to remember that, if the vast majority of germs are not able to develop infections in an immunocompetent subject (that is equipped with a normal immune system), without the continuous surveillance exercised by mature, functioning white blood cells, any microorganism can multiply rapidly and produce a state of infection, virtually dependent on any organ of the body. In fact, the respiratory system, precisely because, through the breathed air, is in continuous contact with the external environment, is the apparatus at greatest risk of developing infections. In order to prevent infections, in addition to being admitted to a sterile room (where the air is continuously recirculated in suitable controlled flow filters), strictly single and with its own sanitary facilities, all possible environmental controls are put in place and periodically control pads are performed at the level of various parts of the patient's body surface; In addition, antibiotic prophylaxis therapy is administered against the most common germs normally present in the body, especially at the gastrointestinal level. Patients are kept in isolation and, both the medical and nursing staff, when they enter the room always wears a sterile gown, a sterile cap, sterile gloves and a protective mask. In the event that, despite all of this, the patient goes to an infectious episode (which almost always follows the appearance of fever), a broad-spectrum antibiotic therapy is immediately started, consisting of two or three different intravenous antibiotics administered intravenously; in conjunction with the rising of the fever, blood samples are taken (blood cultures) on which, in the laboratory, the micro-organism responsible for the infection is searched; additional investigations may also be performed, such as urine or sputum culture tests, or other biological liquids, and further radiological or ultrasound investigations may be performed. Sometimes it may be necessary to resort to antifungal therapy, using a specific antibiotic to this type of infections. A very frequent consequence of high-dose chemotherapy and conditioning radiation therapy is mucositis, or inflammation of the mucous membranes of the oral and gastrointestinal tract. It is due to the death of the superficial cells of the mucous membranes, the so-called epithelial cells (we talk about de-epithelialization), followed by a phase of regeneration and reconstitution of the mucous membranes. Mucositis usually appears in the days immediately following the transplantation and lasts for a very variable period; sometimes it manifests itself in a very slight or even almost indolent manner, sometimes it presents itself in a more serious way and progresses to the point of preventing even the feeding, in which case the patient is adequately nourished and supported parenterally (ie directly in the vein, through the central venous catheter).
Most often patients with mucositis initially experience a discomfort in the mouth and throat, which then results in the formation of small ulcerative lesions in the oral mucosa, tongue, gums. In rare cases these lesions can also become very extensive and therefore result in a subject that is subjectively very disabling, which prevents swallowing.
Moreover, all this is further complicated by another aspect of mucositis, the so-called sialorrhea: this term means the increased production of saliva, which is more dense than normal and can be so abundant as to oblige the patient to expel it all. 'outside repeatedly. The sialorrhea is a consequence of an inflammatory state which, together with the mucous membranes, also affects the salivary glands. In any case, mucositis and sialorrhea are transient disturbances, which rapidly improve and resolve definitively within a few days (generally seven to ten days). Another side effect of the conditioning regime (chemotherapy and radiotherapy) is alopecia, ie hair loss.

It occurs inexorably between the fifth and tenth day after the transplant, so that normally, at the first hint of hair loss, the patient undergoes complete shaving of the head; this also for reasons of hygiene and sterility, as well as for aesthetic reasons. Alopecia is always a transient consequence, linked to damage of the hairbrushes; in fact, in the space of three months from the transplant, all the patients generally return to their hair. Approximately four to six weeks after transplantation, if no particular problems have occurred and an acute transplant response to the advanced host has not developed, the patient may generally be discharged and return home.
Obviously, the time of discharge is very variable; as a rule allografts require longer hospitalization of autotransplants, both because the engraftment of a marrow that does not belong to the patient's organism generally requires more days of the implantation of an autologous marrow, and because of the risk of developing a reaction of the transplantation to the host, which requires adequate therapy. Unfortunately, sometimes a patient may have to stay in hospital for longer, to undergo further treatment of any complications or because it simply needs a longer time to reach blood count values (in particular the value of platelets) sufficient to ensure their safety at home.

What is meant by the antileukemic effect of transplantation (Graft Versus Leukemia or GVL)?
As already mentioned, the donor bone marrow contains some mature cells (T lymphocytes) that are responsible for a complication known as transplantation disease to the host (GVHD); a sub-group of this type of cells, on the other hand, possesses an antileukemic activity, and therefore helps to fight cancer cells. This beneficial effect is added to the one mainly performed by chemo-radiotherapy and is known as "Graft Versus Leukemia" (GVL), or "antileukemic effect of the transplant".
Currently one of the main objectives of the research is to be able to identify this subgroup of lymphocytes and separate it from the rest of the T cells; in the not too distant future this will allow to treat the donor's bone marrow in the laboratory in order to eliminate the cells that cause the transplantation disease towards the host, while preserving the cells that possess an important antileukemic effect.
In other words it will be possible to separate the GVL from the GVHD, preserving the positive effects related to the first and eliminating the unpleasant consequences of the second.

What are the growth factors and what are they for?
Growth factors are substances whose main function is to stimulate the bone marrow to produce more cells.
They are produced by our body to regulate the hemopoietic function of the marrow. Thanks to research today, growth factors are able to be synthesized in the laboratory and are part of pharmaceutical products of normal clinical use; administered to patients who, due to chemotherapy, undergo a temporary decrease in white blood cells, they significantly shorten the time necessary for the recovery of the medullary function and therefore the ascent of the white blood cells themselves. As a direct consequence, growth factors decrease the days when the risk of acquiring infections is higher.
Administered in the days following the transplant, they shorten the days of aplasia thus reducing the days of hospitalization and speeding up the discharge from the hospital. The main growth factors are G-CSF (Granulocyte Colony Stimulating Factor) and GM-CSF (Granulocyte / Macrophage Colony Stimulating Factor - Granulocyte and macrophage colony stimulating factor).
A second very important function of growth factors, as already anticipated, is to mobilize the medullary stem cells, ie to increase these progenitor cells of all white blood cells in the peripheral circulation, so as to allow them to be harvested with leukapheresis procedures. previously explained.

Are there any secondary effects related to transplantation? Which?
An important secondary effect of bone marrow transplantation is infertility, or the impossibility of generating offspring.
This is a consequence linked once more to the chemotherapy and radiotherapy that precede the transplantation. In fact, the conditioning regimen damages the ovarian and testicular cells, which are almost always irreversible, in the production of germ cells, that is, the egg cells in women and the sperm cells in humans. It is very important, however, to underline the fact that sexual functions are not absolutely altered. Infertility means neither impotence nor frigidity!
The anticancer drugs and the radiations administered during the conditioning regime are very powerful and to a certain extent can cause damage to other organs; generally these are reversible damages, but sometimes, after some time, they can lead to a functional weakening of the organs involved; this is especially true for the heart, lungs and liver; most of the time, however, any outcomes after some time affect organs already weakened and therefore more prone to damage of a certain importance, while it is usually with the passage of time that slowly the organism regains the its original arrangement and finds its best balance.

How can you register with the bone marrow donor database?
About the 70% of people who can benefit from a bone marrow transplant do not have a compatible donor among their relatives. These patients need to find an unfamiliar donor through the databases.
The requirements for being a bone marrow donor are few: be aged between 18 and 55 and enjoy overall good health.
To register for the database, ie the Italian Registry of Bone Marrow Donors, it is sufficient to go to the nearest hospital transfusion center and have a small blood sample (any information on this can be obtained by calling the Bone Marrow Donor Association - ADMO - Via Aldini 72, Milan, Tel. 02/39000855).
On this blood (a few milliliters) the group characteristics are determined and the HLA is typified: the results flow into a computer belonging to the above Register and can thus be available to all patients who are looking for a donor. . Naturally the possibility of being sooner or later called to the actual bone marrow donation is very small, but, if this happens, without prejudice to individual freedom to withdraw consent, it represents a unique experience and opportunity, which is still valid. the pain of living.

What progress has been made in the field of bone marrow transplants in recent years?
In the most recent years, and especially in the last decade, there has been enormous progress both in the development of new conditioning treatments and transplantation, both in so-called support therapies and in the recognition of late post-transplant effects. All this has allowed a marked increase in survival but also in the quality of life of the transplanted patient.
The study of HLA compatibility has been completely revolutionized by the application of molecular techniques; for this reason the donor-recipient identity is now much more accurate than it was only 5 years ago; this allows us to exclude errors in the determination of the most important HLA alleles, both in the case of family donors and especially in the case of registry donors, thus allowing the selection of donors who have all the requirements currently considered essential for successful transplantation. Progress in recent years also includes the development of new antibacterial and antiviral antibiotics and new anti-rejection drugs, many of which are already commercially available and are being evaluated for therapy and prophylaxis of graft-versus-host disease.
The most revolutionary discovery of these years, however, is that of the so-called "donor lymphocytes": it has been seen that patients undergoing bone marrow transplants and in early recurrence can be treated with the infusion of lymphocytes taken from the donor who in a certain percentage of cases, they induce a rapid and lasting disappearance of the disease. The transfusion of "donor lymphocytes", although it involves some risk (especially linked to the possible appearance of GVHD), has further increased the chances of recovery, especially in some diseases such as chronic myeloid leukemia, where the anti-leukemic effect of lymphocytes it is greater.

Is it possible to use placental blood for transplantation?
In the early 1990s, it was discovered that a number of hematopoietic stem cells are contained in the placenta of newborn infants. Through very simple methods it is possible, immediately after delivery, to take from the placenta a certain quantity of blood (generally 80-120 ml) containing haematopoietic stem cells to be used as a source of donation for bone marrow transplantation, without this entailing any risk for the newborn or for the mother.
In practice, immediately after delivery, a needle is inserted into the umbilical cord, which in the meantime has already been closed (but not yet cut), and the placental residual blood is sucked through it. This blood is carefully examined, bacterial or viral contamination is excluded, and the stem cells contained in it are counted and typed for HLA. Once these operations are carried out, it is placed in special containers and frozen in liquid nitrogen, where it remains available for years to come, thus constituting an alternative source of cells usable for bone marrow transplantation.
The HLA typing of the stem cells contained in it is inserted into a special register, which can be consulted by accredited Centers all over the world.
However, the number of stem cells contained in placental blood is limited and does not allow easy rooting in adult patients; therefore, placental blood is currently a source of cells that can be used for transplantation purposes preferentially (but not exclusively) for pediatric subjects. The enormous advantage provided by this method is mainly due to the fact that cells are used that would otherwise be eliminated as waste material (together with the placenta), thus allowing the establishment of special banks in which the number of units available grows continuously , thus increasing the possibility for patients to find a source of stem cells totally compatible to them, often in a very short time.

Given recent progress, can non-HLA-identical donors be used for transplantation?
Among the great progresses of recent years are those made in so-called "mis-matched" or "haploidentical" transplants; these are transplants that can be performed by non-identical HLA donors to the patient, who are more frequently partially identical families. To this end peripheral blood stem cells are used, from which the lymphocytes are completely removed, which would otherwise be responsible for a very severe GVHD.
These types of transplantation are indicated in subjects who do not have an identical HLA family, in which the search for a registry donor seems difficult or when they are in a state of illness at high risk of early relapse. Although these are particularly complex therapeutic procedures and still problematic due to the high incidence of infectious complications, we are seeing increasingly encouraging results, especially in myeloid leukemia.

What is the "mini-transplant"?
"Mini-transplantation" or "lite" transplantation means a bone marrow or stem cell transplant in which a non-myeloablative conditioning therapy is used, ie at lower doses than the classical conditioning, such as not to completely eliminate the bone marrow of the patient. This type of treatment, whose toxicity is evidently limited, in the presence of anti-rejection drugs allows a rapid engraftment of the donor stem cells. In practice, the patient creates a situation defined as "mixed chimerism", that is, the cohabitation of the donor's haematopoietic cells with the patient's own hemopoietic cells, survivors of conditioning chemotherapy.
Minitransplant seems to be particularly indicated in subjects over 60 years of age or particularly debilitated, who could not tolerate the toxicity of a classical conditioning therapy; thanks to it it is now realistically possible to consider the transplantation option also in subjects for whom up until five years ago this therapeutic approach would not have been even feasible. However, even this treatment is not exempt from risks, in particular related to the possible onset of the transplantation disease towards the host and the transience of the implantation of the transplanted cells.
In fact, it is generally lost within a few months, unless, at regular intervals, the lymphocytes are infused with the donor; the latter recognize the marrow cells belonging to the recipient as foreign cells, and can contribute to their gradual and complete elimination.
Thus the infusions of lymphocytes of the donor carried out in the phases following the "


Da:

http://www.alc.it/trapianto.php#ri01

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