Nuovi neuroni crescono anche nel cervello adulto / New neurons also grow in the adult brain
Nuovi neuroni crescono anche nel cervello adulto / New neurons also grow in the adult brain
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
Illustrazione di neuroni interconnessi / Illustration of interconnected neurons (Science Photo Library RF/AGF)
Uno studio appena pubblicato aggiunge altre prove alla nascita di nuovi neuroni nel cervello umano adulto anche in età avanzata, suggerendo che la perdita di questa capacità possa essere un indicatore precoce della malattia di Alzheimer
Se il centro della memoria del cervello umano potesse far crescere nuove cellule, sarebbe in grado di aiutare le persone a riprendersi dalla depressione e dal disturbo da stress post traumatico (PTSD), ritardare l'insorgenza dell'Alzheimer, approfondire la nostra comprensione dell'epilessia e offrire nuove conoscenze sulla memoria e sull'apprendimento. Altrimenti, beh, è solo un'altra cosa in cui le persone sono diverse dai roditori e dagli uccelli.
Per decenni, gli scienziati hanno discusso sulla possibilità della nascita di nuovi neuroni – chiamata neurogenesi – in un'area del cervello responsabile dell'apprendimento, della memoria e della regolazione dell'umore. Un numero crescente di ricerche ha suggerito questa possibilità, ma poi l'anno scorso un articolo su "Nature" aveva sollevato alcuni dubbi.
Per decenni, gli scienziati hanno discusso sulla possibilità della nascita di nuovi neuroni – chiamata neurogenesi – in un'area del cervello responsabile dell'apprendimento, della memoria e della regolazione dell'umore. Un numero crescente di ricerche ha suggerito questa possibilità, ma poi l'anno scorso un articolo su "Nature" aveva sollevato alcuni dubbi.
Ora. un nuovo studio pubblicato su "Nature Medicine", riporta l'equilibrio verso il sì. Alla luce di nuovi dati, "direi che c'è una prova schiacciante della neurogenesi lungo tutta la vita negli esseri umani”, ha scritto in una e-mail Jonas Frisén, professore del Karolinska Institute, in Svezia, che firma con altri un commento allo studio sull’ultimo numero della stessa rivista.
Non tutti sono rimasti convinti. Arturo Alvarez-Buylla era l'autore senior dell'articolo di "Nature" dell'anno scorso che ha messo in dubbio l'esistenza della neurogenesi. Alvarez-Buylla, professore di neurochirurgia dell'Università della California a San Francisco, dichiara di dubitare ancora che dopo l'infanzia nell'ippocampo
si sviluppino nuovi neuroni.
"Non penso che questo risolva tutto", dice. "Ho studiato la neurogenesi adulta per tutta la vita. Vorrei poter trovare negli esseri umani un posto dove avvenga in modo convincente".
Alcuni ricercatori hanno pensato per decenni che i circuiti cerebrali dei primati, esseri umani compresi, sarebbero rimasti troppo sconvolti dalla crescita di un numero considerevole di nuovi neuroni. Alvarez-Buylla ritiene che il dibattito scientifico sull'esistenza della neurogenesi dovrebbe continuare. "La conoscenza di base è fondamentale. Il solo sapere se i neuroni adulti vengono sostituiti è un problema fondamentale e affascinante", ha detto.
Le nuove tecnologie in grado di localizzare le cellule nel cervello vivente e misurare l'attività individuale delle cellule, nessuna delle quali è stata utilizzata nello studio di “Nature Medicine”, potrebbero porre fine a qualsiasi domanda ancora aperta.
Un certo numero di ricercatori ha elogiato il nuovo studio come ponderato e condotto in modo attento. È un "tour de force tecnico" e affronta le questioni sollevate dall'articolo dell'anno scorso, afferma Michael Bonaguidi, assistente professore alla Keck School of Medicine della University of Southern California.
I ricercatori spagnoli hanno testato vari di metodi per conservare il tessuto cerebrale prelevato da 58 persone appena decedute, scoprendo che metodi di conservazione diversi portavano a conclusioni differenti sul possibile sviluppo di nuovi neuroni nel cervello adulto e in età avanzata.
Il tessuto cerebrale deve iniziare il processo di conservazione entro poche ore dopo la morte e per preservarlo occorre utilizzare specifiche sostanze chimiche, altrimenti le proteine che identificano le cellule appena sviluppate andranno distrutte, spiega Maria Llorens-Martin, autore senior dell'articolo. Altri ricercatori hanno perso la presenza di queste cellule, perché il loro tessuto cerebrale non era conservato accuratamente, dice Llorens-Martin, neuroscienziato dell'Università Autonoma di Madrid in Spagna.
Jenny Hsieh, professore all'Università del Texas di San Antonio che non era coinvolta nella nuova ricerca, ha detto che lo studio fornisce una lezione a tutti gli scienziati che si affidano alla generosità delle donazioni cerebrali. "Se e quando andiamo a osservare qualcosa postmortem in un essere umano, dobbiamo essere molto attenti a questi problemi tecnici"
Non tutti sono rimasti convinti. Arturo Alvarez-Buylla era l'autore senior dell'articolo di "Nature" dell'anno scorso che ha messo in dubbio l'esistenza della neurogenesi. Alvarez-Buylla, professore di neurochirurgia dell'Università della California a San Francisco, dichiara di dubitare ancora che dopo l'infanzia nell'ippocampo
"Non penso che questo risolva tutto", dice. "Ho studiato la neurogenesi adulta per tutta la vita. Vorrei poter trovare negli esseri umani un posto dove avvenga in modo convincente".
Alcuni ricercatori hanno pensato per decenni che i circuiti cerebrali dei primati, esseri umani compresi, sarebbero rimasti troppo sconvolti dalla crescita di un numero considerevole di nuovi neuroni. Alvarez-Buylla ritiene che il dibattito scientifico sull'esistenza della neurogenesi dovrebbe continuare. "La conoscenza di base è fondamentale. Il solo sapere se i neuroni adulti vengono sostituiti è un problema fondamentale e affascinante", ha detto.
Le nuove tecnologie in grado di localizzare le cellule nel cervello vivente e misurare l'attività individuale delle cellule, nessuna delle quali è stata utilizzata nello studio di “Nature Medicine”, potrebbero porre fine a qualsiasi domanda ancora aperta.
Un certo numero di ricercatori ha elogiato il nuovo studio come ponderato e condotto in modo attento. È un "tour de force tecnico" e affronta le questioni sollevate dall'articolo dell'anno scorso, afferma Michael Bonaguidi, assistente professore alla Keck School of Medicine della University of Southern California.
I ricercatori spagnoli hanno testato vari di metodi per conservare il tessuto cerebrale prelevato da 58 persone appena decedute, scoprendo che metodi di conservazione diversi portavano a conclusioni differenti sul possibile sviluppo di nuovi neuroni nel cervello adulto e in età avanzata.
Il tessuto cerebrale deve iniziare il processo di conservazione entro poche ore dopo la morte e per preservarlo occorre utilizzare specifiche sostanze chimiche, altrimenti le proteine che identificano le cellule appena sviluppate andranno distrutte, spiega Maria Llorens-Martin, autore senior dell'articolo. Altri ricercatori hanno perso la presenza di queste cellule, perché il loro tessuto cerebrale non era conservato accuratamente, dice Llorens-Martin, neuroscienziato dell'Università Autonoma di Madrid in Spagna.
Jenny Hsieh, professore all'Università del Texas di San Antonio che non era coinvolta nella nuova ricerca, ha detto che lo studio fornisce una lezione a tutti gli scienziati che si affidano alla generosità delle donazioni cerebrali. "Se e quando andiamo a osservare qualcosa postmortem in un essere umano, dobbiamo essere molto attenti a questi problemi tecnici"
Localizzazione nell'ippocampo nel cervello umano / Localization in the hippocampus in the human brain(Science Photo Library RF/AGF)
Llorens-Martin ha detto di aver iniziato a raccogliere e conservare con cura i campioni di cervello nel 2010, quando si è resa conto che molti cervelli conservati nelle banche del cervello non erano stati preservati adeguatamente per quel tipo di ricerca.
Nel loro studio, lei e i suoi colleghi hanno esaminato il cervello di persone che sono morte con la loro memoria intatta e quello di persone decedute in diversi stadi della malattia di Alzheimer. Hanno scoperto che il cervello delle persone con Alzheimer mostrava pochi o nessun segno di nuovi neuroni nell'ippocampo, con sempre meno segni via via che le persone erano avanti nella progressione della malattia. Questo suggerisce che la perdita di nuovi neuroni – se potesse essere rilevata nel cervello vivente – sarebbe un indicatore precoce dell'insorgenza dell'Alzheimer e che promuovere nuova crescita neuronale potrebbe ritardare o prevenire la malattia.
Rusty Gage, presidente del Salk Institute for Biological Studies dove è anche neuroscienziato e docente, afferma di essere rimasto colpito dall'attenzione ai dettagli dei ricercatori. "Dal punto di vista metodologico, la ricerca fissa gli standard per gli studi futuri", dice Gage, che non era coinvolto nella nuova ricerca, ma nel 1998 era l'autore senior di un articolo che ha trovato le prime prove della neurogenesi.
Gage dice che questo nuovo studio risponde alle questioni sollevate dalla ricerca di Alvarez-Buylla. "Dal mio punto di vista, questo mette a tacere quel contrattempo che si è verificato", dice. "Questo articolo, in modo molto bello... valuta sistematicamente tutti i problemi universalmente considerati molto importanti."
La neurogenesi nell'ippocampo è importante, dice Gage, perché le prove negli animali dimostrano che è essenziale per la separazione dei pattern, "consentendo a un animale di distinguere tra due eventi strettamente associati l'uno all'altro”. Negli esseri umani, aggiunge, l'incapacità di distinguere tra due eventi simili potrebbe spiegare perché i pazienti con sindrome da stress post traumatico continuano a rivivere le stesse esperienze, anche se le circostanze sono cambiate. Inoltre, molti deficit osservati nelle prime fasi del declino cognitivo sono simili a quelli osservati negli animali la cui neurogenesi è stata fermata, dice.
In animali sani, la neurogenesi promuove la capacità di recupero in situazioni stressanti, dice Gage. Anche i disturbi dell'umore, inclusa la depressione, sono stati collegati alla neurogenesi.
Nel loro studio, lei e i suoi colleghi hanno esaminato il cervello di persone che sono morte con la loro memoria intatta e quello di persone decedute in diversi stadi della malattia di Alzheimer. Hanno scoperto che il cervello delle persone con Alzheimer mostrava pochi o nessun segno di nuovi neuroni nell'ippocampo, con sempre meno segni via via che le persone erano avanti nella progressione della malattia. Questo suggerisce che la perdita di nuovi neuroni – se potesse essere rilevata nel cervello vivente – sarebbe un indicatore precoce dell'insorgenza dell'Alzheimer e che promuovere nuova crescita neuronale potrebbe ritardare o prevenire la malattia.
Rusty Gage, presidente del Salk Institute for Biological Studies dove è anche neuroscienziato e docente, afferma di essere rimasto colpito dall'attenzione ai dettagli dei ricercatori. "Dal punto di vista metodologico, la ricerca fissa gli standard per gli studi futuri", dice Gage, che non era coinvolto nella nuova ricerca, ma nel 1998 era l'autore senior di un articolo che ha trovato le prime prove della neurogenesi.
Gage dice che questo nuovo studio risponde alle questioni sollevate dalla ricerca di Alvarez-Buylla. "Dal mio punto di vista, questo mette a tacere quel contrattempo che si è verificato", dice. "Questo articolo, in modo molto bello... valuta sistematicamente tutti i problemi universalmente considerati molto importanti."
La neurogenesi nell'ippocampo è importante, dice Gage, perché le prove negli animali dimostrano che è essenziale per la separazione dei pattern, "consentendo a un animale di distinguere tra due eventi strettamente associati l'uno all'altro”. Negli esseri umani, aggiunge, l'incapacità di distinguere tra due eventi simili potrebbe spiegare perché i pazienti con sindrome da stress post traumatico continuano a rivivere le stesse esperienze, anche se le circostanze sono cambiate. Inoltre, molti deficit osservati nelle prime fasi del declino cognitivo sono simili a quelli osservati negli animali la cui neurogenesi è stata fermata, dice.
In animali sani, la neurogenesi promuove la capacità di recupero in situazioni stressanti, dice Gage. Anche i disturbi dell'umore, inclusa la depressione, sono stati collegati alla neurogenesi.
Microfotografia in fluorescenza di neuroni dell'ippocampo / Fluorescence micrograph of neurons in the hippocampus (Science Photo Library RF/AGF)
Hsieh afferma che la sua ricerca sull'epilessia ha scoperto che i neuroni appena formati si interconnettono in modo scorretto, interrompendo i circuiti cerebrali e causando convulsioni e potenziali perdite di memoria. Nei roditori con epilessia, i ricercatori prevengono le convulsioni se impediscono la crescita anormale di nuovi neuroni, dice Hsieh, il che le dà speranza che qualcosa di simile possa un giorno aiutare i pazienti umani. L'epilessia aumenta il rischio di Alzheimer, depressione e ansia in alcuni casi, dice. "Quindi, è tutto collegato in qualche modo. Crediamo che i nuovi neuroni svolgano un ruolo vitale nel collegare tutti questi pezzi".
Nei topi e nei ratti, i ricercatori possono stimolare la crescita di nuovi neuroni facendo in modo che i roditori facciano più esercizio o fornendo loro ambienti più stimolanti dal punto di vista cognitivo e sociale, dice Llorens-Martin. "Questo non potrebbe essere applicato a stadi avanzati della malattia di Alzheimer. Ma se potessimo agire in fasi precedenti in cui la mobilità non è ancora compromessa", dice," chissà, forse potremmo rallentare o prevenire parte della perdita di plasticità del cervello".
Nei topi e nei ratti, i ricercatori possono stimolare la crescita di nuovi neuroni facendo in modo che i roditori facciano più esercizio o fornendo loro ambienti più stimolanti dal punto di vista cognitivo e sociale, dice Llorens-Martin. "Questo non potrebbe essere applicato a stadi avanzati della malattia di Alzheimer. Ma se potessimo agire in fasi precedenti in cui la mobilità non è ancora compromessa", dice," chissà, forse potremmo rallentare o prevenire parte della perdita di plasticità del cervello".
ENGLISH
A recently published study adds further evidence to the emergence of new neurons in the adult human brain even in old age, suggesting that the loss of this ability may be an early indicator of Alzheimer's disease
If the memory center of the human brain could grow new cells, it would be able to help people recover from depression and post traumatic stress disorder (PTSD), delay the onset of Alzheimer's, deepen our understanding of epilepsy and offer new knowledge about memory and learning. Otherwise, well, it's just another thing that people are different from rodents and birds.
For decades, scientists have been discussing the possibility of the emergence of new neurons - called neurogenesis - in an area of the brain responsible for learning, memory and mood regulation. An increasing number of researches suggested this possibility, but then last year an article in "Nature" raised some doubts.
Now. a new study published in "Nature Medicine", brings balance back to yes. In light of new data, "I would say that there is overwhelming evidence of neurogenesis throughout life in humans," Jonas Frisén, a professor at the Karolinska Institute in Sweden wrote in an e-mail, signing a comment with others. to the study of the last issue of the same magazine.
Not everyone was convinced. Arturo Alvarez-Buylla was the senior author of last year's "Nature" article that questioned the existence of neurogenesis. Alvarez-Buylla, a professor of neurosurgery at the University of California at San Francisco, says he still doubts that new childhood neurons develop in the hippocampus.
"I don't think this solves everything," he says. "I have studied adult neurogenesis for life. I wish I could find a place in humans where it happens convincingly."
Some researchers have thought for decades that the brain circuits of primates, including humans, would have been too upset by the growth of a considerable number of new neurons. Alvarez-Buylla believes that the scientific debate on the existence of neurogenesis should continue. "Basic knowledge is fundamental. Just knowing if adult neurons are replaced is a fundamental and fascinating problem," he said.
New technologies that can locate cells in the living brain and measure individual cell activity, none of which has been used in the "Nature Medicine" study, could end any open questions.
A number of researchers praised the new study as thoughtful and carefully conducted. It is a "technical tour de force" and addresses the issues raised by last year's article, says Michael Bonaguidi, assistant professor at the Keck School of Medicine of the University of Southern California.
Spanish researchers have tested various methods of preserving brain tissue taken from 58 newly deceased people, discovering that different conservation methods led to different conclusions about the possible development of new neurons in the adult brain and in old age.
The brain tissue must begin the preservation process within a few hours after death and to preserve it specific chemical substances must be used, otherwise the proteins that identify newly developed cells will be destroyed, explains Maria Llorens-Martin, senior author of the article. Other researchers have lost the presence of these cells because their brain tissue was not carefully preserved, says Llorens-Martin, a neuroscientist at the Autonomous University of Madrid in Spain.
Jenny Hsieh, a professor at the University of Texas at San Antonio who was not involved in the new research, said the study provides a lesson to all scientists who rely on the generosity of brain donations. "If and when we look at something postmortem in a human being, we must be very careful about these technical problems"
Llorens-Martin said he began collecting and carefully storing brain samples in 2010, when he realized that many brains stored in brain banks had not been adequately preserved for that kind of research.
In their study, she and her colleagues examined the brains of people who died with their intact memory and that of people who died at different stages of Alzheimer's disease. They found that the brains of people with Alzheimer's showed few or no signs of new neurons in the hippocampus, with fewer and fewer signs as people advanced in the progression of the disease. This suggests that the loss of new neurons - if it could be detected in the living brain - would be an early indicator of the onset of Alzheimer's disease and that promoting new neuronal growth could delay or prevent the disease.
Rusty Gage, president of the Salk Institute for Biological Studies where he is also a neuroscientist and lecturer, says he was struck by the attention to detail of the researchers. "From a methodological point of view, the research sets the standards for future studies," says Gage, who was not involved in the new research, but in 1998 was the senior author of an article that found the first evidence of neurogenesis.
Gage says this new study answers the questions raised by Alvarez-Buylla's research. "From my point of view, this silences the setback that occurred," he says. "This article, very beautifully ... systematically evaluates all the universally considered very important problems."
Neurogenesis in the hippocampus is important, says Gage, because tests in animals show that it is essential for pattern separation, "allowing an animal to distinguish between two events closely associated with one another." In humans, he adds, the inability to distinguish between two similar events could explain why patients with post-traumatic stress syndrome continue to relive the same experiences, even if circumstances have changed, and many deficits observed in the early stages of cognitive decline are similar to those observed in animals whose neurogenesis was stopped, he says.
In healthy animals, neurogenesis promotes resilience in stressful situations, says Gage. Mood disorders, including depression, have also been linked to neurogenesis.
Hsieh says his epilepsy research has found that newly formed neurons interconnect incorrectly, disrupting brain circuits and causing seizures and potential memory loss. In rodents with epilepsy, researchers prevent seizures if they prevent abnormal growth of new neurons, says Hsieh, which gives her hope that something like this may one day help human patients. Epilepsy increases the risk of Alzheimer's, depression and anxiety in some cases, he says. "So, it's all connected in some way. We believe that new neurons play a vital role in linking all these pieces."
In mice and rats, researchers can stimulate the growth of new neurons by causing rodents to exercise more or by providing them with more cognitively and socially stimulating environments, says Llorens-Martin. "This could not be applied to advanced stages of Alzheimer's disease. But if we could act in earlier phases where mobility is not yet compromised," he says, "who knows, maybe we could slow down or prevent some of the loss of brain plasticity."
Da:
http://www.lescienze.it/mente-e-cervello/2019/03/27/news/nuovi_neuroni_cervello_adulto-4349042/?ref=nl-Le-Scienze_29-03-2019
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