La vita sociale segreta dei virus / The secret social life of viruses
La vita sociale segreta dei virus / The secret social life of viruses
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
Anche i virus, pur essendo così semplici, hanno una vita sociale che influenza la loro forma fisica e la loro evoluzione. I ricercatori stanno iniziando a comprendere i modi in cui collaborano tra loro e a volte si manipolano a vicenda.
Esistono organismi sociali di tutte le forme e dimensioni, da quelli chiaramente gregari come i mammiferi e gli uccelli fino a quelli che hanno una vita sociale più nascosta, come i batteri.
I biologi evoluzionisti spesso si interrogano sui comportamenti altruistici, perché di primo acchito nella selezione naturale gli individui che si sacrificano sembrerebbero trovarsi in grave svantaggio.
William D. Hamilton, uno dei più importanti teorici dell'evoluzione del XX secolo, ha sviluppato una teoria matematica per spiegare l'evoluzione dell'altruismo attraverso la selezione parentale, ossia perché, per esempio, la maggior parte delle singole formiche, api e vespe rinuncia alla capacità di riprodursi per dedicare il massimo impegno nell'allevamento dei fratelli.
I batteriologi hanno sviluppato modelli di teoria dei giochi per spiegare perché i batteri riuniti in gruppi producono metaboliti per i loro vicini, anche se alcuni imbrogliano e approfittano della situazione.
Ma fino a poco tempo fa, nessuno aveva considerato che anche i virus, pur essendo così semplici, hanno una vita sociale che influenza la loro forma fisica e la loro evoluzione. "Da una prospettiva teorica, per i virus c'è chiaramente un enorme potenziale di interazione sociale, che va dalla possibilità di cooperazione al conflitto", ha scritto in una e-mail a "Quanta" Stuart West, un biologo dell'Università di Oxford che studia l'evoluzione dei comportamenti sociali. "Tuttavia, ci sono stati pochi tentativi di affrontare empiricamente questo aspetto".
In un recente studio pubblicato su "Nature Microbiology". Rafael Sanjuan, genetista evolutivo all'Università di Valencia, in Spagna, e colleghi, hanno usato una combinazione di teoria ed esperimenti per esplorare la cooperazione e il conflitto tra i virus.
Hanno scoperto che la struttura spaziale di un'infezione virale - il modo in cui diversi gruppi di virus possono essere isolati in comparti separati dell'organismo infetto - ha un peso enorme. In un sistema uniformemente mescolato, i virus altruisti sono vittima di "imbroglioni" che approfittano dei loro sacrifici, ma se vi sono distretti del corpo in cui gli altruisti possono isolarsi e ripararsi, hanno una possibilità di sopravvivenza.
Prendiamo il virus della stomatite vescicolare (VSV), un membro meno pericoloso della stessa famiglia virale della rabbia.
Le infezioni virali di solito stimolano le cellule dei loro ospiti mammiferi a produrre interferoni, proteine di segnalazione che aumentano le difese antivirali delle cellule vicine e interferiscono con la replicazione virale. Il ceppo selvatico di VSV ha sviluppato dei modi per sopprimere il sistema immunitario innato del suo ospite, ma a costo di riprodursi più lentamente. Questo permette alla popolazione di quei virus di prosperare, a meno che non si presenti una variante "imbrogliona".
L'imbroglione non ha la capacità di sopprimere le difese del suo ospite; e infatti, la sua presenza stimola il rilascio di interferoni. Ma può comunque approfittare di una risposta immunitaria ridotta a causa dei vicini VSV che sopprimono il rilascio di interferone.
Poiché gli imbroglioni non pagano il costo riproduttivo della soppressione dell'interferone, nel breve termine possono superare il virus di ceppo selvatico. Da un punto di vista del comportamento sociale, come hanno sottolineato Sanjuán e colleghi nel loro articolo, la soppressione dell'interferone da parte del VSV selvatico si qualifica come atto altruistico perché in effetti il ceppo selvatico si sacrifica per l'imbroglione.
Alla fine, però l'interferone prodotto dall'ospite come risposta travolge entrambi i tipi di virus e li uccide. Si potrebbe quindi pensare che la selezione naturale debba eliminare sempre la capacità di sopprimere l'interferone perché l'altruismo dei virus che ce l'hanno li farebbe rimanere sempre in svantaggio.
Lo studio di modellazione di Sanjuán dimostra, però, che non è necessariamente così: il virus altruistico che sopprime l'interferone può ancora evolvere e prosperare se è fisicamente segregato. Le strutture e le barriere presenti nel corpo possono creare dei paradisi dove i virus che sopprimono l'interferone possono sopravvivere, al riparo dai danni che gli imbroglioni altrimenti causerebbero loro.
Per modellare le condizioni specifiche in cui può verificarsi la soppressione dell'immunità innata, i ricercatori hanno usato il quadro teorico sviluppato da Hamilton. Secondo la regola di Hamilton, l'altruismo si evolve quando r × B > C, dove B è il beneficio per il ricevente, r è la relazione del ricevente con chi dona, e C è il costo per chi dona.
I ricercatori hanno anche usato un parametro per indicare che il beneficio, B, dipende dal fatto che un virus sia circondato da vicini di casa di ceppo selvatico o di ceppo imbroglione. Applicando la regola di Hamilton a combinazioni ben miscelate e spazialmente separate delle due varianti di VSV, hanno potuto stimare empiricamente i parametri dell'equazione di Hamilton.
"Perché si evolva la soppressione dell'immunità innata, è necessaria una struttura spaziale", ha detto Sanjuán. Poiché sia il virus che la risposta dell'ospite si diffondono da cellula a cellula, è di fatto abbastanza difficile che durante l'infezione non emergano di strutture spaziali. Le limitazioni alla velocità di diffusione delle particelle virali e delle molecole di interferone, così come le barriere fisiche nei tessuti del corpo, creano facilmente un'eterogeneità spaziale, permettendo così alla soppressione dell'immunità innata di evolversi.
Negli animali con comportamenti complessi e nei batteri con sistemi di comunicazione relativamente complessi, gli esiti degli scenari evolutivi sono influenzati da molti fattori. Nel caso dei virus, "è molto più semplice", ha detto Sanjuán. "Tutto è dettato dalla struttura spaziale. Non c'è nessun altro processo noto che possa influenzare il risultato del sistema. Se i virus sono misti, allora questo altruismo non può evolvere, mentre se sono segregati, l'altruismo può evolvere".
Un altro aspetto dell'evoluzione sociale dei virus che Sanjuán sta indagando è il motivo per cui a volte particelle virali multiple si riuniscono e infettano insieme una cellula. Il problema è che, se le particelle virali si assemblano, ci sono meno unità a infettare cellule diverse. Quindi "in linea di principio, questo è costoso perché limita la capacità di diffusione", ha detto Sanjuán.
Ma il suo team ha scoperto con sorpresa che i virus aggregati crescono più velocemente e producono più progenie. Questo dipendeva dal tipo di cellula: nelle cellule tumorali che non hanno immunità innata, essere aggregati era costoso. Ma nelle cellule normali, che stimolano una risposta immunitaria innata, essere aggregati era vantaggioso per i virus perché permetteva loro di sopraffare la risposta immunitaria innata, ha suggerito Sanjuán.
Anche se la strategia di aggregazione per l'infezione sembra vantaggiosa per il virus, anch'essa può portare all'evoluzione di imbroglioni.
Per esempio, se nell'aggregato un virus perde alcuni geni, può replicarsi più rapidamente, e grazie a questo vantaggio può superare gli altri. Questi virus con meno geni sono noti come particelle difettive interferenti (DIP): a molti di essi manca il 90 per cento circa del genoma virale e sopravvivono sotto forma di un piccolo pezzo di RNA che può replicarsi molto rapidamente all'interno di un ospite (di solito, a causa della loro incompletezza non possono infettare un nuovo ospite). In colture cellulari con un'alta densità di infezioni virali, le DIP prendono il sopravvento e presto rappresentano più del 99 per cento della popolazione virale, ha detto Sanjuán.
L'esistenza delle DIP può riguardare anche un altro enigma: i virus modulano le loro interazioni reciproche in base alle esigenze del loro ciclo di vita?
Raul Andino, virologo all'Università della California a San Francisco, sottolinea che all'inizio dell'invasione di un ospite, un virus potrebbe volere un sacco di compagnia perché infezioni multiple simultanee possono aumentare le sue probabilità di successo "Ma in una fase successiva possono volere una riduzione della molteplicità di infezioni, per ridurre la possibilità di produzione di queste particelle difettive", ha detto. "E' una cosa che non comprendiamo appieno, ma è un problema davvero interessante.
ENGLISH
There are social organisms of all shapes and sizes, from those that are clearly gregarious like mammals and birds to those that have a more hidden social life, such as bacteria.
Evolutionary biologists often wonder about altruistic behaviors, because at first glance in natural selection the sacrificing individuals would seem to be at a serious disadvantage.
William D. Hamilton, one of the most important theorists of the evolution of the twentieth century, developed a mathematical theory to explain the evolution of altruism through parental selection, ie because, for example, most of the individual ants, bees and wasps renounce the ability to reproduce in order to dedicate the maximum effort to the breeding of the brothers.
Bacteriologists have developed game theory models to explain why the bacteria grouped together produce metabolites for their neighbors, although some cheat and take advantage of the situation.
But until recently, no one had considered that even viruses, despite being so simple, have a social life that influences their physical form and their evolution. "From a theoretical perspective, for viruses there is clearly a huge potential for social interaction, ranging from the possibility of cooperation to conflict," he wrote in an e-mail to "Quanta" Stuart West, a biologist at the University of Oxford studying the evolution of social behavior. "However, there have been few attempts to empirically address this aspect."
In a recent study published in "Nature Microbiology". Rafael Sanjuan, the evolutionary geneticist at the University of Valencia, Spain, and colleagues, used a combination of theory and experiments to explore cooperation and conflict between viruses.
They found that the spatial structure of a viral infection - the way in which different groups of viruses can be isolated in separate compartments of the infected organism - has enormous weight. In a uniformly mixed system, altruistic viruses are the victim of "cheaters" who take advantage of their sacrifices, but if there are districts in the body where altruists can isolate themselves and shelter, they have a chance of survival.
Take the vesicular stomatitis virus (VSV), a less dangerous member of the same viral family than rabies.
Viral infections usually stimulate the cells of their mammalian hosts to produce interferons, signaling proteins that increase the antiviral defenses of neighboring cells and interfere with viral replication. The wild VSV strain has developed ways to suppress its host's innate immune system but at the cost of reproducing more slowly. This allows the population of those viruses to thrive, unless there is a "cheating" variant.
The cheater does not have the ability to suppress his host's defenses; and in fact, its presence stimulates the release of interferons. But it can still take advantage of a reduced immune response because of the VSV neighbors that suppress the release of interferon.
Since cheaters do not pay the reproductive cost of interferon suppression, in the short term they can overcome the wild-type virus. From a social behavior point of view, as Sanjuán and colleagues pointed out in their article, the suppression of interferon by wild VSV qualifies as an altruistic act because in fact, the wild stock sacrifices itself for the trickster.
In the end, however, the interferon produced by the host as a response overwhelms both types of viruses and kills them. One could, therefore, think that natural selection should always eliminate the ability to suppress interferon because the altruism of the viruses that have it would keep them at a disadvantage.
However, Sanjuán's modeling study shows that this is not necessarily the case: the altruistic virus that suppresses interferon can still evolve and prosper if it is physically segregated. The structures and barriers present in the body can create paradises where viruses that suppress interferon can survive, protected from the damage that cheaters would otherwise cause them.
To model the specific conditions in which suppression of innate immunity can occur, the researchers used the theoretical framework developed by Hamilton. According to Hamilton's rule, altruism evolves when r × B> C, where B is the benefit to the recipient, r is the recipient's relationship with the giver, and C is the cost for the giver.
The researchers also used a parameter to indicate that the benefit, B, depends on whether a virus is surrounded by neighbors of a wild stock or a cheater. Applying Hamilton's rule to well-mixed and spatially separated combinations of the two VSV variants, they were able to empirically estimate the parameters of the Hamilton equation.
"Because the suppression of innate immunity evolved, a spatial structure is needed," Sanjuán said. Since both the virus and the host's response spread from cell to cell, it is actually quite difficult for spatial structures to emerge during infection. The limitations on the diffusion rate of viral particles and interferon molecules, as well as physical barriers in body tissues, easily create spatial heterogeneity, thus allowing the suppression of innate immunity to evolve.
In animals with complex behaviors and in bacteria with relatively complex communication systems, the outcomes of evolutionary scenarios are influenced by many factors. In the case of viruses, "it's much simpler," Sanjuán said. "Everything is dictated by the spatial structure. There is no other known process that can influence the result of the system. If viruses are mixed, then this altruism cannot evolve, whereas if they are segregated, altruism can evolve."
Another aspect of the social evolution of viruses that Sanjuán is investigating is the reason why multiple viral particles sometimes come together and infect a cell together. The problem is that if the viral particles are assembled, there are fewer units infecting different cells. So "in principle, this is expensive because it limits the ability to spread," Sanjuán said.
But his team was surprised to find that the aggregated viruses grow faster and produce more progeny. This depended on the type of cell: in cancer cells that have no innate immunity, being aggregated was expensive. But in normal cells, which stimulate an innate immune response, being aggregated was beneficial to the viruses because it allowed them to overcome the innate immune response, Sanjuán suggested.
Although the aggregation strategy for the infection seems beneficial to the virus, it too can lead to the evolution of cheaters.
For example, if in the aggregate a virus loses some genes, it can replicate more quickly, and thanks to this advantage it can outperform others. These viruses with fewer genes are known as interfering defective particles (DIP): many of them lack about 90 percent of the viral genome and survive in the form of a small piece of RNA that can replicate very quickly within a host ( usually, due to their incompleteness they cannot infect a new host). In cell cultures with a high density of viral infections, DIPs take over and soon represent more than 99 percent of the viral population, Sanjuán said.
The existence of DIPs can also relate to other enigma: do viruses modulate their mutual interactions based on the needs of their life cycle?
Raul Andino, a virologist at the University of California at San Francisco, points out that at the beginning of a guest invasion, a virus may want a lot of company because multiple simultaneous infections can increase its chances of success "But at a later stage they may want to reduce the multiplicity of infections, to reduce the possibility of producing these defective particles, "he said. "It's something we don't fully understand, but it's a really interesting problem.
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