Le "ragnatele" di neutrofili e le forme più gravi di COVID-19 / Neutrophil "cobwebs" and more severe forms of COVID-19
Le "ragnatele" di neutrofili e le forme più gravi di COVID-19 / Neutrophil "cobwebs" and more severe forms of COVID-19
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
In campioni di siero di pazienti ricoverati con COVID-19 sono visibili i neutrofili (in verde), DNA (blu) e strutture simili a ragnatele chiamate trappole extracellulari dei neutrofili, o NET (indicate dalle frecce gialle). / Neutrophils (green), DNA (blue) and spider-like structures called extracellular neutrophil traps, or NET (indicated by yellow arrows) are visible in serum samples from patients hospitalized with COVID-19. © Yogendra Kanthi and Jason S. Knight
I neutrofili, una parte importante delle cellule del sistema immunitario, possono mettere in atto una misura difensiva estrema: produrre ragnatele appiccicose di DNA e proteine che intrappolano gli agenti patogeni. Alcuni ricercatori stanno ora verificando se queste strutture hanno un ruolo nelle forme più gravi della malattia causata dal nuovo coronavirus.
Il complesso delle cellule immunitarie e delle proteine che difendono il corpo umano ha ricevuto un'attenzione crescente nella lotta contro COVID-19. Molto del dibattito si è incentrato sul fatto che, dopo la guarigione, una persona che possiede anticorpi possa tornare sul posto di lavoro in tutta sicurezza. Ma l'attenzione si è rivolta anche alle reazioni immunitarie incontrollate provocate dall'infezione che possono portare all'insufficienza respiratoria.
Un complice relativamente oscuro nel malfunzionamento del sistema di difesa è una cellula immunitaria chiamata neutrofilo. Sottovalutati e messi in ombra dai linfociti T, che combattono il virus, e dalle cellule B, che producono anticorpi, i neutrofili costituiscono più della metà dei nostri globuli bianchi e sono spesso i primi ad arrivare sul luogo dell'infezione. Attaccano gli invasori in vari modi, di solito fagocitando gli intrusi o richiamando altre cellule immunitarie alla lotta.
Ma occasionalmente, forse in un ultimo sforzo difensivo, i neutrofili fanno una manovra "alla Uomo Ragno": producono ragnatele appiccicose di DNA e proteine tossiche che intrappolano gli agenti patogeni e ne impediscono la diffusione. Poiché un neutrofilo muore quando è coinvolto questo processo – o poco dopo – alcuni ricercatori considerano le ragnatele una versione cellulare di un attentato kamikaze.
In uno studio pubblicato il 24 aprile su “JCI Insight”, gli scienziati riferiscono di aver trovato queste misteriose strutture, chiamate trappole extracellulari dei neutrofili (neutrophil extracellular traps, NET), in campioni di siero di persone ricoverate per COVID-19. E diversi gruppi hanno iniziato a reclutare pazienti affetti dalla malattia per studi clinici con farmaci già esistenti che alterano le NET o ne bloccano la formazione.
Le strutture a ragnatela hanno attirato l'attenzione degli scienziati per la prima volta nel 2004, quando un articolo di “Science” ha riferito la presenza di NET in malattie batteriche come la dissenteria e l'appendicite. Ma Andrew Weber, pneumologo e specialista di terapia intensiva del sistema Northwell Health, nello Stato di New York, non ne sapeva nulla fino a quando lo scorso autunno non ha sentito una ricercatrice locale presentare la propria ricerca.
Mikala Egeblad ha illustrato come le NET possono promuovere la diffusione del cancro, un punto focale degli studi del suo laboratorio al Cold Spring Harbor Laboratory di New York. E ha sottolineato la possibilità che avessero un ruolo anche nelle lesioni polmonari associate all’uso di sigarette elettroniche. Prima di COVID-19, dice Weber, "quella era l'epidemia di cui dovevamo preoccuparci".
Un complice relativamente oscuro nel malfunzionamento del sistema di difesa è una cellula immunitaria chiamata neutrofilo. Sottovalutati e messi in ombra dai linfociti T, che combattono il virus, e dalle cellule B, che producono anticorpi, i neutrofili costituiscono più della metà dei nostri globuli bianchi e sono spesso i primi ad arrivare sul luogo dell'infezione. Attaccano gli invasori in vari modi, di solito fagocitando gli intrusi o richiamando altre cellule immunitarie alla lotta.
In uno studio pubblicato il 24 aprile su “JCI Insight”, gli scienziati riferiscono di aver trovato queste misteriose strutture, chiamate trappole extracellulari dei neutrofili (neutrophil extracellular traps, NET), in campioni di siero di persone ricoverate per COVID-19. E diversi gruppi hanno iniziato a reclutare pazienti affetti dalla malattia per studi clinici con farmaci già esistenti che alterano le NET o ne bloccano la formazione.
Le strutture a ragnatela hanno attirato l'attenzione degli scienziati per la prima volta nel 2004, quando un articolo di “Science” ha riferito la presenza di NET in malattie batteriche come la dissenteria e l'appendicite. Ma Andrew Weber, pneumologo e specialista di terapia intensiva del sistema Northwell Health, nello Stato di New York, non ne sapeva nulla fino a quando lo scorso autunno non ha sentito una ricercatrice locale presentare la propria ricerca.
Mikala Egeblad ha illustrato come le NET possono promuovere la diffusione del cancro, un punto focale degli studi del suo laboratorio al Cold Spring Harbor Laboratory di New York. E ha sottolineato la possibilità che avessero un ruolo anche nelle lesioni polmonari associate all’uso di sigarette elettroniche. Prima di COVID-19, dice Weber, "quella era l'epidemia di cui dovevamo preoccuparci".
Batterio di Klebsiella intrappolato in una NET / Klebsiella bacterium trapped in a NET (© Science Photo Library/AGF)
Incuriosito, Weber ha discusso con Egeblad di un possibile studio per cercare le NET nei campioni di siero di quei pazienti. I due hanno elaborato una proposta e l'hanno fatta approvare, ma poi c’è stata la pandemia di COVID-19. Chiusa in casa a scrivere richieste di fondi per la ricerca, Egeblad ha continuato a leggere sulle NET.
All'inizio di marzo, Weber ha iniziato a vedere la prima ondata di pazienti affetti da COVID-19, trovando i loro polmoni ostruiti da muco denso e invasi da neutrofili. Sapeva, sulla base delle segnalazioni provenienti dalla Cina, dall'Italia e da altri Paesi duramente colpiti, che i pazienti con un alto numero di neutrofili tendevano a peggiorare.
"Abbiamo pensato tutti e due che questo avesse a che fare con le NET", dice Egeblad. Ha quindi discusso con Weber e con un'altra collaboratrice, Betsy Barnes del Feinstein Institutes for Medical Research del Northwell Health, su come ottenere campioni di pazienti COVID-19 per testare la loro intuizione. Pochi giorni dopo, Egeblad ha visto un tweet del 15 marzo del reumatologo dell'Università del Michigan Jason S. Knight, che studia le NET nelle malattie autoimmuni.
Anche Knight e i suoi colleghi avevano notato l'infiammazione e l'alto numero di neutrofili nelle analisi pubblicate sui pazienti cinesi affetti da COVID-19 e avevano pensato che "qualcuno avrebbe dovuto fare dei test per le NET", dice. "Sembrava che un articolo del genere sarebbe saltato fuori molto". Knight ha cercato nel database biomedico PubMed con le parole chiave "coronavirus AND neutrophil extracellular traps" e ha twittato uno screenshot dei risultati: zero. All'inizio di marzo, quando è diventato chiaro che nel Michigan c'era un focolaio importante, il suo gruppo ha iniziato a discutere su come studiare le NET in COVID-19.
Poi Egeblad ha cercato Knight. Dopo diverse chiamate su Zoom, insieme a una decina di altri scienziati e medici, hanno formato un consorzio, chiamato NETwork, per condividere protocolli ed esplorare se le trappole dei neutrofili hanno un ruolo nella malattia.
Un commento pubblicato sul "Journal of Experimental Medicine" spiega il ragionamento alla base delle loro ricerche.
Nelle persone infettate dal nuovo coronavirus e malate più seriamente, il sistema immunitario rilascia una raffica di molecole chiamate citochine, alcune delle quali regolano l'attività dei neutrofili. Queste "tempeste di citochine" scatenano la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), una condizione grave che si sviluppa nel 10-15 per cento dei pazienti COVID-19. Ricerche precedenti hanno collegato l'ARDS alla formazione di NET, e i composti che degradano le NET o ne bloccano la formazione possono alleviare l'ARDS nei topi. Nelle persone con fibrosi cistica, una malattia ereditaria che causa infezioni polmonari persistenti, un farmaco chiamato dornase alfa, che scompone le NET attraverso la scissione del DNA, può allentare l'espettorato e alleviare i sintomi.
All'inizio di marzo, Weber ha iniziato a vedere la prima ondata di pazienti affetti da COVID-19, trovando i loro polmoni ostruiti da muco denso e invasi da neutrofili. Sapeva, sulla base delle segnalazioni provenienti dalla Cina, dall'Italia e da altri Paesi duramente colpiti, che i pazienti con un alto numero di neutrofili tendevano a peggiorare.
"Abbiamo pensato tutti e due che questo avesse a che fare con le NET", dice Egeblad. Ha quindi discusso con Weber e con un'altra collaboratrice, Betsy Barnes del Feinstein Institutes for Medical Research del Northwell Health, su come ottenere campioni di pazienti COVID-19 per testare la loro intuizione. Pochi giorni dopo, Egeblad ha visto un tweet del 15 marzo del reumatologo dell'Università del Michigan Jason S. Knight, che studia le NET nelle malattie autoimmuni.
Anche Knight e i suoi colleghi avevano notato l'infiammazione e l'alto numero di neutrofili nelle analisi pubblicate sui pazienti cinesi affetti da COVID-19 e avevano pensato che "qualcuno avrebbe dovuto fare dei test per le NET", dice. "Sembrava che un articolo del genere sarebbe saltato fuori molto". Knight ha cercato nel database biomedico PubMed con le parole chiave "coronavirus AND neutrophil extracellular traps" e ha twittato uno screenshot dei risultati: zero. All'inizio di marzo, quando è diventato chiaro che nel Michigan c'era un focolaio importante, il suo gruppo ha iniziato a discutere su come studiare le NET in COVID-19.
Poi Egeblad ha cercato Knight. Dopo diverse chiamate su Zoom, insieme a una decina di altri scienziati e medici, hanno formato un consorzio, chiamato NETwork, per condividere protocolli ed esplorare se le trappole dei neutrofili hanno un ruolo nella malattia.
Un commento pubblicato sul "Journal of Experimental Medicine" spiega il ragionamento alla base delle loro ricerche.
Nelle persone infettate dal nuovo coronavirus e malate più seriamente, il sistema immunitario rilascia una raffica di molecole chiamate citochine, alcune delle quali regolano l'attività dei neutrofili. Queste "tempeste di citochine" scatenano la sindrome da distress respiratorio acuto (ARDS), una condizione grave che si sviluppa nel 10-15 per cento dei pazienti COVID-19. Ricerche precedenti hanno collegato l'ARDS alla formazione di NET, e i composti che degradano le NET o ne bloccano la formazione possono alleviare l'ARDS nei topi. Nelle persone con fibrosi cistica, una malattia ereditaria che causa infezioni polmonari persistenti, un farmaco chiamato dornase alfa, che scompone le NET attraverso la scissione del DNA, può allentare l'espettorato e alleviare i sintomi.
In effetti, come si legge nello studio pubblicato su “JCI Insight” del 24 aprile, Knight, Yogendra Kanthi e Ray Zuo, ricercatori dell'Università del Michigan, e i loro colleghi hanno rilevato le NET in campioni di siero di 50 pazienti con COVID-19 grave ma non in soggetti sani di controllo. E hanno dimostrato che il siero dei pazienti infetti poteva innescare la formazione di NET da neutrofili sani coltivati nella stessa provetta.
I dati confermano "che i neutrofili saranno molto importanti per COVID-19", dice James Chalmers, uno pneumologo dell'Università di Dundee in Scozia. Chalmers non era coinvolto nella nuova ricerca, ma studia i neutrofili dal 2008, quando le NET "erano una novità importante", dice.
Chalmers sta guidando uno studio clinico che arruolerà pazienti COVID-19 per testare una pillola a somministrazione giornaliera che blocca l'attività degli enzimi dei neutrofili necessari per la formazione delle NET. In un recente studio della casa farmaceutica multinazionale Insmed, che sta finanziando il nuovo trial, quel farmaco ha ridotto l'infiammazione nelle persone con una condizione respiratoria cronica chiamata bronchiectasia. A partire da maggio, lo studio di Chalmers recluterà 300 persone in 10 ospedali del Regno Unito che riceveranno il farmaco o un placebo. Ulteriori studi stanno testando altri agenti che agiscono contro le NET, come dornase alfa, oltre a farmaci approvati per l'artrite reumatoide e la gotta, in pazienti ricoverati per COVID-19.
Le NET finora sono state un argomento un po' marginale, perché sono rare e difficili da rilevare in laboratorio. Inoltre, poiché i neutrofili muoiono quando svolgono la missione difensiva di produzione delle NET, è difficile sapere che cosa sia realmente accaduto dopo che si è verificato il processo. "Le cellule sono morte di proposito o le ho uccise accidentalmente mentre ci stavo lavorando?”, si chiede Chalmers.
Molti indizi suggeriscono un'associazione tra le NET e le tempeste di citochine osservate nei casi gravi di COVID-19. Ma "non possiamo ancora dimostrarla", dice Egeblad. Nelle future analisi dei campioni prelevati dai pazienti, "dobbiamo misurare le NET e le citochine, verificare chi viene prima e se sono collegate", aggiunge. I ricercatori hanno anche in programma di studiare in che modo i neutrofili comunicano con un altro tipo di cellule immunitarie chiamate macrofagi, che possono esacerbare o attenuare l'infiammazione polmonare.
Nel frattempo, è ancora incerto se le NET siano dannose oppure facciano qualcosa di utile. Paul Kubes, immunologo dell'Università di Calgary, nello stato canadese di Alberta, che non fa parte del NETwork, sospetta che siano prodotte per una buona ragione – aiutarci a combattere l'infezione – ma potrebbero anche "essere impazzite". Il nuovo coronavirus, aggiunge, "potrebbe essere abbastanza intelligente da usarle e farci ammalare". Qualunque sia il vero ruolo delle NET come combattenti immunologiche, l'urgenza della pandemia fa uscire i neutrofili dall'oscurità e farci guardare da vicino le loro bizzarre e sporgenti ragnatele di DNA.
I dati confermano "che i neutrofili saranno molto importanti per COVID-19", dice James Chalmers, uno pneumologo dell'Università di Dundee in Scozia. Chalmers non era coinvolto nella nuova ricerca, ma studia i neutrofili dal 2008, quando le NET "erano una novità importante", dice.
Chalmers sta guidando uno studio clinico che arruolerà pazienti COVID-19 per testare una pillola a somministrazione giornaliera che blocca l'attività degli enzimi dei neutrofili necessari per la formazione delle NET. In un recente studio della casa farmaceutica multinazionale Insmed, che sta finanziando il nuovo trial, quel farmaco ha ridotto l'infiammazione nelle persone con una condizione respiratoria cronica chiamata bronchiectasia. A partire da maggio, lo studio di Chalmers recluterà 300 persone in 10 ospedali del Regno Unito che riceveranno il farmaco o un placebo. Ulteriori studi stanno testando altri agenti che agiscono contro le NET, come dornase alfa, oltre a farmaci approvati per l'artrite reumatoide e la gotta, in pazienti ricoverati per COVID-19.
Le NET finora sono state un argomento un po' marginale, perché sono rare e difficili da rilevare in laboratorio. Inoltre, poiché i neutrofili muoiono quando svolgono la missione difensiva di produzione delle NET, è difficile sapere che cosa sia realmente accaduto dopo che si è verificato il processo. "Le cellule sono morte di proposito o le ho uccise accidentalmente mentre ci stavo lavorando?”, si chiede Chalmers.
Molti indizi suggeriscono un'associazione tra le NET e le tempeste di citochine osservate nei casi gravi di COVID-19. Ma "non possiamo ancora dimostrarla", dice Egeblad. Nelle future analisi dei campioni prelevati dai pazienti, "dobbiamo misurare le NET e le citochine, verificare chi viene prima e se sono collegate", aggiunge. I ricercatori hanno anche in programma di studiare in che modo i neutrofili comunicano con un altro tipo di cellule immunitarie chiamate macrofagi, che possono esacerbare o attenuare l'infiammazione polmonare.
Nel frattempo, è ancora incerto se le NET siano dannose oppure facciano qualcosa di utile. Paul Kubes, immunologo dell'Università di Calgary, nello stato canadese di Alberta, che non fa parte del NETwork, sospetta che siano prodotte per una buona ragione – aiutarci a combattere l'infezione – ma potrebbero anche "essere impazzite". Il nuovo coronavirus, aggiunge, "potrebbe essere abbastanza intelligente da usarle e farci ammalare". Qualunque sia il vero ruolo delle NET come combattenti immunologiche, l'urgenza della pandemia fa uscire i neutrofili dall'oscurità e farci guardare da vicino le loro bizzarre e sporgenti ragnatele di DNA.
ENGLISH
Neutrophils (green), DNA (blue) and spider-like structures called extracellular neutrophil traps, or NET (indicated by yellow arrows) are visible in serum samples from patients hospitalized with COVID-19. / Neutrophils (green), DNA (blue) and spider-like structures called extracellular neutrophil traps, or NET (indicated by yellow arrows) are visible in serum samples from patients hospitalized with COVID-19. © Yogendra Kanthi and Jason S. Knight
Neutrophils, an important part of the cells of the immune system, can put in place an extreme defensive measure: making sticky cobwebs of DNA and proteins that trap pathogens. Some researchers are now investigating whether these structures play a role in the more severe forms of the disease caused by the new coronavirus.
The complex of immune cells and proteins that defend the human body has received increasing attention in the fight against COVID-19. Much of the debate has centered on the fact that, after healing, a person who has antibodies can safely return to the workplace. But attention has also turned to uncontrolled immune reactions caused by the infection that can lead to respiratory failure.
A relatively obscure accomplice in the malfunction of the defense system is an immune cell called a neutrophil. Underestimated and overshadowed by T lymphocytes, which fight the virus, and by B cells, which produce antibodies, neutrophils make up more than half of our white blood cells and are often the first to arrive at the site of infection. They attack invaders in various ways, usually engulfing intruders or calling other immune cells to fight.
But occasionally, perhaps in a last defensive effort, neutrophils make a "Spider-Man" maneuver: they produce sticky cobwebs of DNA and toxic proteins that trap pathogens and prevent their spread. Because a neutrophil dies when this process is involved - or shortly thereafter - some researchers consider spider webs to be a cellular version of a suicide bomb attack.
In a study published April 24 in JCI Insight, scientists report finding these mysterious structures, called neutrophil extracellular traps, NET, in serum samples from people hospitalized for COVID-19. And several groups have started recruiting patients with the disease for clinical trials with existing drugs that alter NETs or block their formation.
Cobweb structures first caught scientists' attention in 2004, when a "Science" article reported that NET was present in bacterial diseases such as dysentery and appendicitis. But Andrew Weber, pulmonologist and intensive care specialist from the Northwell Health system in New York State, knew nothing about it until last fall after hearing a local researcher present her research.
Mikala Egeblad illustrated how NETs can promote the spread of cancer, a focal point of his laboratory studies at the New York Cold Spring Harbor Laboratory. And he stressed the possibility that they also played a role in lung injury associated with the use of electronic cigarettes. Before COVID-19, Weber says, "that was the epidemic we had to worry about."
Intrigued, Weber discussed with Egeblad a possible study to look for NETs in the serum samples of those patients. The two drafted a proposal and had it approved, but then there was the COVID-19 pandemic. Closed at home to write requests for research funds, Egeblad continued to read on the NET.
In early March, Weber began seeing the first wave of COVID-19 patients, finding their lungs blocked by thick mucus and invaded by neutrophils. He knew, based on reports from China, Italy and other hard-hit countries, that patients with a high neutrophil count tended to get worse.
"We both thought this had to do with NETs," says Egeblad. He then discussed with Weber and another collaborator, Betsy Barnes of Northwell Health's Feinstein Institutes for Medical Research, how to obtain samples of COVID-19 patients to test their intuition. A few days later, Egeblad saw a March 15 tweet from University of Michigan rheumatologist Jason S. Knight, who studies NET in autoimmune diseases.
Knight and his colleagues also noted inflammation and high neutrophil counts in analyzes published on Chinese patients with COVID-19 and thought that "someone should have tested for NETs," he says. "It seemed that such an article would come up a lot." Knight searched the PubMed biomedical database for the keywords "coronavirus AND neutrophil extracellular traps" and tweeted a screenshot of the results: zero. In early March, when it became clear that there was a major outbreak in Michigan, his group began discussing how to study NET in COVID-19.
Then Egeblad searched for Knight. After several calls to Zoom, along with a dozen other scientists and doctors, they formed a consortium, called NETwork, to share protocols and explore whether neutrophil traps play a role in the disease.
A comment published in the "Journal of Experimental Medicine" explains the reasoning behind their research.
In people infected with the new coronavirus and more seriously ill, the immune system releases a barrage of molecules called cytokines, some of which regulate the activity of neutrophils. These "cytokine storms" trigger acute respiratory distress syndrome (ARDS), a serious condition that develops in 10-15 percent of COVID-19 patients. Previous research has linked ARDS to NET formation, and compounds that degrade or block NET formation can alleviate ARDS in mice. In people with cystic fibrosis, a hereditary disease that causes persistent lung infections, a drug called dornase alfa, which breaks down the NETs by splitting DNA, can loosen sputum and relieve symptoms.
In fact, as read in the study published in "JCI Insight" on April 24, Knight, Yogendra Kanthi and Ray Zuo, researchers from the University of Michigan, and their colleagues detected the NETs in serum samples from 50 patients with COVID- 19 severe but not in healthy control subjects. And they showed that the serum of infected patients could trigger the formation of NET from healthy neutrophils grown in the same tube.
The data confirm "that neutrophils will be very important for COVID-19," says James Chalmers, a pulmonologist at the University of Dundee in Scotland. Chalmers was not involved in the new research, but has been studying neutrophils since 2008, when NETs "were an important novelty," he says.
Chalmers is leading a clinical trial that will enroll COVID-19 patients to test a daily pill that blocks the activity of the neutrophil enzymes needed for NET formation. In a recent study by the multinational pharmaceutical company Insmed, which is funding the new trial, that drug reduced inflammation in people with a chronic respiratory condition called bronchiectasis. As of May, Chalmers' study will recruit 300 people in 10 hospitals in the UK who will receive the drug or a placebo. Further studies are testing other agents that act against NETs, such as dornase alfa, as well as approved drugs for rheumatoid arthritis and gout, in patients hospitalized for COVID-19.
NETs have so far been a somewhat marginal topic because they are rare and difficult to detect in the laboratory. Also, since neutrophils die when they carry out the defensive mission of producing NETs, it is difficult to know what really happened after the trial occurred. "Did the cells purposely die or did I accidentally kill them while I was working on them?" Asks Chalmers.
Many clues suggest an association between the NETs and the cytokine storms observed in severe cases of COVID-19. But "we still can't prove it," says Egeblad. In future analyzes of samples taken from patients, "we have to measure the NETs and cytokines, check who comes first and if they are connected," he adds. The researchers also plan to study how neutrophils communicate with another type of immune cell called macrophages, which can exacerbate or attenuate lung inflammation.
In the meantime, it is still uncertain whether NETs are malicious or do anything useful. Paul Kubes, an immunologist at the University of Calgary in the Canadian state of Alberta, who is not part of NETwork, suspects that they are produced for good reason - to help us fight the infection - but they may also have "gone mad". The new coronavirus, he adds, "could be smart enough to use them and make us sick." Whatever the true role of the NET as immunological fighters, the urgency of the pandemic brings neutrophils out of the dark and lets us look closely at their bizarre and protruding cobwebs of DNA.
Intrigued, Weber discussed with Egeblad a possible study to look for NETs in the serum samples of those patients. The two drafted a proposal and had it approved, but then there was the COVID-19 pandemic. Closed at home to write requests for research funds, Egeblad continued to read on the NET.
In early March, Weber began seeing the first wave of COVID-19 patients, finding their lungs blocked by thick mucus and invaded by neutrophils. He knew, based on reports from China, Italy and other hard-hit countries, that patients with a high neutrophil count tended to get worse.
"We both thought this had to do with NETs," says Egeblad. He then discussed with Weber and another collaborator, Betsy Barnes of Northwell Health's Feinstein Institutes for Medical Research, how to obtain samples of COVID-19 patients to test their intuition. A few days later, Egeblad saw a March 15 tweet from University of Michigan rheumatologist Jason S. Knight, who studies NET in autoimmune diseases.
Knight and his colleagues also noted inflammation and high neutrophil counts in analyzes published on Chinese patients with COVID-19 and thought that "someone should have tested for NETs," he says. "It seemed that such an article would come up a lot." Knight searched the PubMed biomedical database for the keywords "coronavirus AND neutrophil extracellular traps" and tweeted a screenshot of the results: zero. In early March, when it became clear that there was a major outbreak in Michigan, his group began discussing how to study NET in COVID-19.
Then Egeblad searched for Knight. After several calls to Zoom, along with a dozen other scientists and doctors, they formed a consortium, called NETwork, to share protocols and explore whether neutrophil traps play a role in the disease.
A comment published in the "Journal of Experimental Medicine" explains the reasoning behind their research.
In people infected with the new coronavirus and more seriously ill, the immune system releases a barrage of molecules called cytokines, some of which regulate the activity of neutrophils. These "cytokine storms" trigger acute respiratory distress syndrome (ARDS), a serious condition that develops in 10-15 percent of COVID-19 patients. Previous research has linked ARDS to NET formation, and compounds that degrade or block NET formation can alleviate ARDS in mice. In people with cystic fibrosis, a hereditary disease that causes persistent lung infections, a drug called dornase alfa, which breaks down the NETs by splitting DNA, can loosen sputum and relieve symptoms.
In fact, as read in the study published in "JCI Insight" on April 24, Knight, Yogendra Kanthi and Ray Zuo, researchers from the University of Michigan, and their colleagues detected the NETs in serum samples from 50 patients with COVID- 19 severe but not in healthy control subjects. And they showed that the serum of infected patients could trigger the formation of NET from healthy neutrophils grown in the same tube.
The data confirm "that neutrophils will be very important for COVID-19," says James Chalmers, a pulmonologist at the University of Dundee in Scotland. Chalmers was not involved in the new research, but has been studying neutrophils since 2008, when NETs "were an important novelty," he says.
Chalmers is leading a clinical trial that will enroll COVID-19 patients to test a daily pill that blocks the activity of the neutrophil enzymes needed for NET formation. In a recent study by the multinational pharmaceutical company Insmed, which is funding the new trial, that drug reduced inflammation in people with a chronic respiratory condition called bronchiectasis. As of May, Chalmers' study will recruit 300 people in 10 hospitals in the UK who will receive the drug or a placebo. Further studies are testing other agents that act against NETs, such as dornase alfa, as well as approved drugs for rheumatoid arthritis and gout, in patients hospitalized for COVID-19.
NETs have so far been a somewhat marginal topic because they are rare and difficult to detect in the laboratory. Also, since neutrophils die when they carry out the defensive mission of producing NETs, it is difficult to know what really happened after the trial occurred. "Did the cells purposely die or did I accidentally kill them while I was working on them?" Asks Chalmers.
Many clues suggest an association between the NETs and the cytokine storms observed in severe cases of COVID-19. But "we still can't prove it," says Egeblad. In future analyzes of samples taken from patients, "we have to measure the NETs and cytokines, check who comes first and if they are connected," he adds. The researchers also plan to study how neutrophils communicate with another type of immune cell called macrophages, which can exacerbate or attenuate lung inflammation.
In the meantime, it is still uncertain whether NETs are malicious or do anything useful. Paul Kubes, an immunologist at the University of Calgary in the Canadian state of Alberta, who is not part of NETwork, suspects that they are produced for good reason - to help us fight the infection - but they may also have "gone mad". The new coronavirus, he adds, "could be smart enough to use them and make us sick." Whatever the true role of the NET as immunological fighters, the urgency of the pandemic brings neutrophils out of the dark and lets us look closely at their bizarre and protruding cobwebs of DNA.
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