Il farmaco per super cuori funziona: verso cura per la displasia degli atleti / The drug for super hearts works: towards a cure for athletes' dysplasia

Il farmaco per super cuori funziona: verso cura per la displasia degli atletiThe drug for super hearts works: towards a cure for athletes' dysplasia


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa /  Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa



Ad oggi non esiste una terapia per la Arvd/c, la displasia aritmogena del ventricolo destro (o cardiomiopatia aritmogena) che colpisce 1 persona su 5000. Tra le vittime, calciatori come Piermario Morosini. Altri atleti sopravvissuti costretti a cambiare vita

«Il farmaco funziona», sono le parole che ogni persona affetta da una malattia ereditaria, cronica e fino a quel momento incurabile sogna di ascoltare, prima o poi. Ed in vitro, nelle cellule cardiache prelevate dalle cavie, «il farmaco funziona», dice la professoressa di Padova Alessandra Rampazzo, che assieme al collega di Vancouver Fabio Rossi è riuscita a bloccare in laboratorio la formazione di tessuto cardiaco fibroso e adiposo, il meccanismo alla base della displasia aritmogena del ventricolo destro (o cardiomiopatia aritmogena, in inglese Arvd/c: arrhythmogenic right ventricular dysplasia o cardiomyopathy). Il nome è complesso, le conseguenze sono semplici e talvolta definitive. È la malattia genetica che ha fatto cadere a terra il centrocampista del Livorno Piermario Morosini, al 31’ della partita in trasferta col Pescara, il 14 aprile 2012. O il campione del Siviglia Antonio Puerta, qualche anno prima, il 28 agosto 2007, e molti altri, qualche volta atleti di alto livello, o anche solo sportivi dilettanti, magari bambini apparentemente sani, che vengono colpiti all’improvviso da aritmie ventricolari e nei casi più gravi da arresti cardiaci talvolta fatali.

«Il battito andava a un milione di miglia l’ora»


I

La displasia aritmogena del ventricolo destro fa parte della famiglia delle cardiomiopatie ereditarie come la sindrome di Brugada, che ha fatto morire nel sonno, il 4 marzo 2018, mentre era in albergo con la squadra, il capitano della Fiorentina, Davide Astori. La Arvd/c (arrhythmogenic right ventricular dysplasia o cardiomyopathy) colpisce una persona su 5000. Alcuni sono abbastanza fortunati da avere una crisi grave e comunque sopravvivere, come il campione inglese di cricket James Taylor che nel 2016 ha dovuto abbandonare la nazionale e ha raccontato nell’autobiografia C ut Short quello che gli è successo: «Ho lasciato il campo per tornare negli spogliatoi. Sentivo il cuore che andava a un milione di miglia all’ora. Vedevo il mio petto muoversi, la pelle che si espandeva e contraeva, in modo innaturale. Non riuscivo a respirare, cercavo di spiegare al medico della squadra che qualcosa non andava nel cuore ma mi mancava l’aria. All’ospedale mi hanno collegato a un monitor ed il suono che veniva fuori era qualcosa mai sentito prima. Una cavalcata di bip, il rumore del mio cuore che correva. Un treno senza controllo intrappolato sotto le costole. La macchina ha indicato 265 battiti al minuto (la norma a riposo è tra i 60 e i 100, ndr ), ed i dottori si sono guardati. Non dimenticherò mai le loro espressioni».


Un defibrillatore piantato nel petto

Taylor ha dovuto ritirarsi all’età di 26 anni e gli è stato impiantato nel petto un defibrillatore, la versione miniaturizzata e pressoché invisibile dei macchinari salva-vita sempre più diffusi in luoghi pubblici come stazioni ferroviarie, aeroporti, grandi magazzini. Dovesse avere altri attacchi di tachicardia, il defibrillatore che porta dentro di sé somministrerà automaticamente al cuore una o più scosse elettriche. Dolorose, ma capaci di salvarlo. A oggi non esiste una terapia per la Arvd/c. I medici possono solo cercare di ridurre e controllare i sintomi: poco sport e comunque non agonistico, farmaci betabloccanti per tenere bassa la frequenza cardiaca, eventuale ablazione dei tessuti fibro-adiposi per bruciare i circuiti elettrici maligni, fino al defibrillatore impiantato nel torace, pronto a dare shock quando ce n’è bisogno.


Geni difettosi alterano due proteine


«La malattia dipende da uno o più geni difettosi, che provocano un’alterazione in proteine come la placofilina o la desmoplachina, alle quali è affidato il compito di tenere saldate tra loro le cellule del cuore» spiega la professoressa Rampazzo, del laboratorio di genetica umana del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova. «Se queste proteine non funzionano bene, le cellule cardiache sotto stress si staccano e muoiono. Lo spazio che si crea viene allora riempito da tessuto fibro-adiposo, cicatrici che interrompono la normale conduzione degli impulsi elettrici e portano quindi alle aritmie e nei casi più gravi agli arresti cardiaci». La Arvc/d è stata identificata nel 1978 da Guy Fontaine all’Hôpital Pitié Salpêtrière di Parigi, e studiata a livelli di eccellenza mondiale a Padova, anche perché il Veneto è una delle regioni con il maggior numero di casi in rapporto alla popolazione.


Due o tre anni di sperimentazioni e test


Dopo oltre quarant’anni di tentativi, una cura sembra finalmente vicina, a disposizione dei pazienti nel giro di due o tre anni se le ulteriori sperimentazioni ed i test clinici confermeranno i primi, incoraggianti risultati. L’idea è quella di impedire la proliferazione del tessuto fibroadiposo, ovvero la diffusione di grasso e cicatrici. In che modo? Il grasso e le cicatrici sono prodotti da cellule chiamate FAP (progenitori fibro-adipogenici). E il lavoro congiunto Padova-Vancouver, pubblicato sull’importante rivista scientifica Cell Stem Cell, ha dimostrato in laboratorio che un farmaco può bloccare le FAP e impedire loro di differenziarsi nelle cellule fibrotiche e adipose. In sostanza, non ci si preoccupa tanto della mutazione genetica all’origine della malattia, che disgrega le cellule del muscolo cardiaco; ci si concentra piuttosto sulla conseguenza, ossia il riempimento di quello spazio con grasso e cicatrici. Il gene difettoso, a monte, diventa ininfluente, perché prendendo di mira le FAP, a valle, il cuore resta sano.


IL LAVORO COMUNE TRA ITALIA E CANADA È ANCHE LA STORIA DI DUE MONDI LONTANI NON SOLO GEOGRAFICAMENTE: DA UN LATO LA CRONICA MANCANZA DI FINANZIAMENTI NEL NOSTRO PAESE, DALL’ALTRA LA DISPONIBILITÀ DEL NORDAMERICA, CHE INVESTE SULLA RICERCA E SULLA SPERIMENTAZIONE CON BUDGET DA MILIONI DI DOLLARI


Risultati incoraggianti in vitro


Il farmaco funziona. «La collaborazione è nata un po’ per caso», dice il genovese Fabio Rossi da Vancouver via Zoom, sullo sfondo una fantastica teglia di baci di dama (dolci piemontesi e liguri di adozione). «Sono entrato in contatto con Alessandra Rampazzo attraverso il professor Libero Vitiello, che conosco da tempo perché entrambi lavoriamo sul muscolo scheletrico. Lui fa parte dell’équipe di Padova, due anni fa è venuto a fare un sabbatico a Toronto, l’ho invitato a Vancouver ed abbiamo parlato delle rispettive ricerche. Noi abbiamo una serie di tecniche molecolari molto all’avanguardia nella ricerca di base, Alessandra invece è molto esperta di genetica umana, e ha generato modelli della malattia in collaborazione con la professoressa Paola Braghetta, sempre dell’Università di Padova: siamo complementari e la cosa ha funzionato per tutti e due». Il lavoro comune tra Padova e Vancouver è anche la storia di due mondi lontani non solo geograficamente: da un lato la cronica mancanza di finanziamenti per la ricerca in Italia, dall’altro la disponibilità di fondi del Nordamerica e in particolare del Canada, che fornisce a un centro all’avanguardia come il Rossi Laboratory, fondato nel 2001 dallo scienziato genovese all’interno della University of British Columbia, un budget di 1,5/2 milioni di dollari l’anno. «In gran parte di provenienza pubblica, ma lavoriamo molto anche con privati come AbCellera, la società di Vancouver che assieme a Lilly sta mettendo a punto la terapia di anticorpi contro il Covid».


La strategia dalle provette ai pazienti


Per continuare il lavoro e portare la cura dalle provette ai pazienti c’è bisogno adesso di altri finanziamenti, almeno 200 mila euro per cominciare. In parte potrebbero arrivare dall’Unione europea e dal Canada, in parte i due scienziati sperano in donazioni ed aiuti da parte di privati. La pandemia indirizza giustamente gli sforzi di tutto il mondo a trovare e produrre al più presto vaccini e terapie contro il Covid-19. Ma anche le altre malattie continuano ad esistere ed a fare vittime, e spesso sono aggravate dal coronavirus. Non ci si può fermare adesso. «Riusciamo a bloccare le cellule fibro-adipose in provetta» dice la professoressa Rampazzo. «Ma servono altri fondi per passare al passo successivo, cioè testare il farmaco su modelli animali, per poi arrivare finalmente, se tutto va bene, alla fase conclusiva, la sperimentazione sull’uomo e poi l’uso terapeutico su larga scala».


L’impegno della onlus Geca


In Italia la battaglia contro la Arvc/d e le altre cardiomiopatie ereditarie viene aiutata dalla Onlus Geca (associazione a sostegno della ricerca sulle cardiomiopatie genetiche contro la morte improvvisa). La presidente Graziella Paola Marcon ha perduto due fratelli per colpa della malattia, ed è a sua volta portatrice della mutazione genetica ma senza alcun sintomo, come accade nel 50 per cento dei casi circa. Il momento è cruciale: «Siamo arrivati a un livello di conoscenza impensabile solo fino a pochi anni fa. Dobbiamo concludere la ricerca e fare l’ultimo passo decisivo fino alla terapia, per ridare una vita normale a migliaia di persone ed ai loro figli».


COME CONTRIBUIRE AL PROGETTO


La Geca Onlus (gecaonlus.com) è l’associazione nata nel 2000 per lottare, assieme al reparto di Cardiologia dell’ospedale di Padova, contro la cardiomiopatia aritmogena del ventricolo destro, una malattia cardiaca genetica che può causare aritmie e morte improvvisa ed è diffusa tra giovani sportivi. Per la prima volta una cura sembra possibile grazie al lavoro congiunto della professoressa Alessandra Rampazzo (Padova) e del professor Fabio Rossi (Vancouver).


ENGLISH


To date, there is no therapy for Arvd / c, arrhythmogenic right ventricular dysplasia (or arrhythmogenic cardiomyopathy) which affects 1 in 5,000 people. Among the victims, footballers such as Piermario Morosini. Other surviving athletes forced to change their lives


"The drug works" are the words that every person suffering from a hereditary, chronic and hitherto incurable disease dreams of hearing, sooner or later. And in vitro, in cardiac cells taken from guinea pigs, "the drug works", says professor from Padua Alessandra Rampazzo, who together with her colleague from Vancouver Fabio Rossi managed to block the formation of fibrous and adipose heart tissue in the laboratory, the mechanism at the basis of arrhythmogenic right ventricular dysplasia (or arrhythmogenic cardiomyopathy, in English Arvd / c: arrhythmogenic right ventricular dysplasia or cardiomyopathy). The name is complex, the consequences are simple and sometimes definitive. It is the genetic disease that caused Livorno midfielder Piermario Morosini to fall to the ground, on the 31st minute of the away match with Pescara, on April 14, 2012. Or the Sevilla champion Antonio Puerta, a few years earlier, on August 28 2007, and many others, sometimes high-level athletes, or even just amateur sportsmen, perhaps apparently healthy children, who are suddenly struck by ventricular arrhythmias and in the most serious cases by cardiac arrests, sometimes fatal.


"The heartbeat went at a million miles an hour"


The arrhythmogenic dysplasia of the right ventricle is part of the family of hereditary cardiomyopathies such as Brugada syndrome, which caused Fiorentina captain Davide Astori to die in his sleep on 4 March 2018 while he was in a hotel with the team. Arvd / c (arrhythmogenic right ventricular dysplasia or cardiomyopathy) affects one in 5,000 people. Some are lucky enough to have a serious crisis and still survive, like British cricket champion James Taylor who had to leave the national team in 2016 and told in the autobiography C ut Short what happened to him: «I left the pitch to go back to the locker room. I felt my heart going at a million miles an hour. I saw my chest moving, the skin expanding and contracting, unnaturally. I couldn't breathe, I was trying to explain to the team doctor that something was wrong with my heart but I lacked air. At the hospital they connected me to a monitor and the sound that came out was something I had never heard before. A ride of beeps, the sound of my heart racing. An out of control train trapped under the ribs. The machine indicated 265 beats per minute (the norm at rest is between 60 and 100, ed), and the doctors looked at each other. I will never forget their expressions ».


A defibrillator planted in the chest


Taylor had to retire at the age of 26 and was implanted in his chest with a defibrillator, the miniaturized and almost invisible version of life-saving machinery increasingly common in public places such as train stations, airports, department stores. Should he have other tachycardia attacks, the defibrillator he carries within himself will automatically administer one or more electric shocks to the heart. Painful, but capable of saving him. To date, there is no therapy for Arvd / c. Doctors can only try to reduce and control symptoms: little sport and in any case not competitive, beta-blocking drugs to keep the heart rate low, possible ablation of fibro-adipose tissues to burn malignant electrical circuits, up to the defibrillator implanted in the chest, ready to shock when it's needed.


Defective genes alter two proteins


"The disease depends on one or more defective genes, which cause an alteration in proteins such as placophilin or desmoplachin, which are entrusted with the task of keeping the cells of the heart welded together" explains Professor Rampazzo, of the genetic laboratory human body of the Department of Biology of the University of Padua. “If these proteins don't work well, the stressed heart cells break off and die. The space that is created is then filled with fibro-adipose tissue, scars that interrupt the normal conduction of electrical impulses and therefore lead to arrhythmias and in the most serious cases to cardiac arrest ». Arvc / d was identified in 1978 by Guy Fontaine at the Hôpital Pitié Salpêtrière in Paris, and studied at world-class levels in Padua, also because Veneto is one of the regions with the highest number of cases in relation to the population.


Two or three years of experimentation and testing


After more than forty years of attempts, a cure seems finally close, available to patients within two or three years if further trials and clinical tests confirm the first encouraging results. The idea is to prevent the proliferation of fibroadipose tissue, or the spread of fat and scars. How? Fat and scars are produced by cells called FAPs (fibro-adipogenic progenitors). And the joint Padua-Vancouver work, published in the leading scientific journal Cell Stem Cell, has shown in the laboratory that a drug can block FAPs and prevent them from differentiating into fibrotic and fat cells. Basically, we do not worry so much about the genetic mutation at the origin of the disease, which breaks down the cells of the heart muscle; rather, the focus is on the consequence, which is the filling of that space with fat and scars. The defective gene, upstream, becomes irrelevant, because by targeting FAPs, downstream, the heart remains healthy.


THE COMMON WORK BETWEEN ITALY AND CANADA IS ALSO THE STORY OF TWO FAR WORLDS, NOT ONLY GEOGRAPHICALLY: ON THE ONE SIDE THE CHRONIC LACK OF FINANCING IN OUR COUNTRY, ON THE OTHER THE AVAILABILITY OF NORTH AMERICA, WHICH INVESTS IN RESEARCH AND EXPERIMENTATION OF DOLLARS


Encouraging results in vitro


The drug works. "The collaboration was born a little by chance," says the Genoese Fabio Rossi from Vancouver via Zoom, in the background a fantastic pan of baci di dama (Piedmontese and Ligurian sweets by adoption). «I came into contact with Alessandra Rampazzo through Professor Libero Vitiello, whom I have known for some time because we both work on skeletal muscle. He is part of the Padua team, two years ago he came on a sabbatical in Toronto, I invited him to Vancouver and we talked about their respective research. We have a series of very advanced molecular techniques in basic research, while Alessandra is very expert in human genetics, and has generated models of the disease in collaboration with Professor Paola Braghetta, also from the University of Padua: we are complementary and the what worked for both of us. " The joint work between Padua and Vancouver is also the story of two distant worlds not only geographically: on the one hand the chronic lack of funding for research in Italy, on the other hand the availability of funds from North America and in particular from Canada, which provides to a cutting-edge center such as the Rossi Laboratory, founded in 2001 by the Genoese scientist at the University of British Columbia, with a budget of 1.5 / 2 million dollars a year. "Mostly of public origin, but we also work a lot with private individuals such as AbCellera, the Vancouver company which, together with Lilly, is developing antibody therapy against Covid".


The strategy from tubes to patients


To continue the work and bring the treatment from the test tubes to patients, other funding is now needed, at least 200,000 euros to begin with. In part they could come from the European Union and Canada, in part the two scientists are hoping for donations and aid from private individuals. The pandemic rightly directs efforts around the world to find and produce vaccines and therapies against Covid-19 as soon as possible. But other diseases also continue to exist and to make victims, and are often aggravated by the coronavirus. We cannot stop now. "We are able to block fibro-adipose cells in test tubes," says Professor Rampazzo. "But other funds are needed to move on to the next step, that is, to test the drug on animal models, and then finally, hopefully, to the final phase, human trials and then large-scale therapeutic use".


The commitment of the non-profit organization Geca


In Italy, the battle against Arvc / d and other hereditary cardiomyopathies is helped by the non-profit organization Geca (an association supporting research on genetic cardiomyopathies against sudden death). President Graziella Paola Marcon has lost two brothers to the disease, and is in turn a carrier of the genetic mutation but without any symptoms, as happens in about 50 percent of cases. The moment is crucial: «We reached a level of knowledge that was unthinkable only a few years ago. We must conclude the research and take the last decisive step up to therapy, to restore a normal life to thousands of people and their children ".


HOW TO CONTRIBUTE TO THE PROJECT


Geca Onlus (gecaonlus.com) is the association founded in 2000 to fight, together with the Cardiology department of the Padua hospital, against arrhythmogenic right ventricular cardiomyopathy, a genetic heart disease that can cause arrhythmias and sudden death widespread among young sportsmen. For the first time a cure seems possible thanks to the joint work of Professor Alessandra Rampazzo (Padua) and Professor


Da:


https://www.corriere.it/sette/attualita/20_novembre_27/farmaco-super-cuori-funziona-cura-la-displasia-atleti-e7dff31a-2cac-11eb-a006-0b5f9624cb77.shtml?fbclid=IwAR37KT2PE3hD8c-OogN7_Xq_hdIZUz24w9WozWDiiMsNHxCGOyLPw57-VMg



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