Cosa c'è da sapere sugli anticorpi monoclonali contro Covid-19 in Italia / What you need to know about monoclonal antibodies against Covid-19 in Italy

 Cosa c'è da sapere sugli anticorpi monoclonali contro Covid-19 in ItaliaWhat you need to know about monoclonal antibodies against Covid-19 in Italy


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa


Via libera agli anticorpi monoclonali. Il 6 febbraio scorso, “sulla base delle indicazioni dell’Agenzia italiana del farmaco e del parere del Consiglio superiore di sanità”, il ministro della Salute (uscente) Roberto Speranza ha firmato il decreto che autorizza la distribuzione degli anticorpi monoclonali delle aziende Eli Lilly Regeneron/Roche per la prevenzione delle forme gravi di Covid-19 in pazienti con malattia lieve, ma considerati a rischio. Il provvedimento è stato pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e resterà in vigore per (almeno) 180 giorni: stando alle dichiarazioni del ministro, con l’approvazione degli anticorpi monoclonali “abbiamo, insieme ai vaccini, una possibilità in più per contrastare il Covid-19”. Per distribuire e somministrare gli anticorpi monoclonali, lo stato italiano attingerà al fondo di 400 milioni di euro messo a disposizione per l’acquisto di vaccini e farmaci contro Sars-Cov-2: una decisione che sta facendo discutere, perché nonostante le dichiarazioni del ministro le evidenze scientifiche al momento disponibili sono ancora incerte. I dati sui trattamenti a base di anticorpi monoclonali sono infatti immaturi, e sembrano suggerire che i farmaci abbiano un’efficacia limitata e su una fetta ristretta di pazienti.

Cosa sono gli anticorpi monoclonali

Ma partiamo dall’inizio. Un anticorpo è una molecola (una glicoproteina, per la precisione) che ha il compito di riconoscere gli agenti patogeni estranei al corpo, come batteri virus, per permettere al nostro organismo di neutralizzarli. Il sistema immunitario ne produce di diversi tipi, che identificano il nemico con un sistema chiave/serratura: quando il sito di legame presente sulla superficie di un anticorpo trova un antigene complementare su un patogeno (o su un altro elemento esterno) che sta invadendo il nostro organismo, il sistema immunitario inizia a produrre in massa l’anticorpo in questione, e in questo modo – se tutto va bene – l’infezione viene sconfitta.

Questo meccanismo che però ha delle limitazioni: anzitutto, gli anticorpi esistono in miliardi di forme diverse, e non tutte hanno la stessa efficacia contro i patogeni; inoltre, l’organismo impiega un certo tempo per organizzare la difesa e produrre anticorpi in quantità sufficienti a debellare una malattia in corso, e talvolta soccombe prima di riuscirci. È proprio per risolvere questi problemi che la comunità scientifica e l’industria farmaceutica ha cominciato (già dagli anni Ottanta, in verità) a sviluppare e produrre anticorpi monoclonali, ossia repliche create artificialmente in modo da essere tutte identiche tra loro, e quindi con esattamente la stessa capacità di neutralizzare il proprio antigene. In linea di principio, basta identificare (tra i tanti) un anticorpo particolarmente efficace e produrne in massa copie perfette per trovarsi tra le mani un farmaco molto potente, con cui attaccare tumori, elementi mal funzionanti del nostro sistema immunitario (è il caso, per esempio, di molte malattie autoimmuni, tra cui quelle reumatologiche), ma anche, ovviamente, batteri e virus.

Gli anticorpi monoclonali contro Covid-19

Proprio come è avvenuto per i vaccini, diverse aziende farmaceutiche, in tutto il mondo, hanno sviluppato e sperimentato, a tempi record, anticorpi monoclonali potenzialmente utili per combattere la pandemia causata da Sars-Cov-2. I primi a salire agli onori delle cronache sono stati quelli prodotti dalla biotech americana Regeneron: a renderli famosi è stato Donald Trump, paziente illustrissimo cui sono stati somministrati nell’ottobre scorso, quando si ammalò di Covid-19. I due anticorpi monoclonali di Regeneron (i cui nomi sono casirivimab e imdevimab, dove il suffisso -mab sta per Monoclonal AntiBody), sono stati isolati in un paziente di Singapore e ottenuti in laboratorio isolando la proteina spike del coronavirus nell’organismo di un topo modificato geneticamente per fornirgli un sistema immunitario umano.

Poi ci sono le molecole della multinazionale Eli Lilly, il bamlanivimab e l’etesevimab, e almeno un’altra dozzina di farmaci in via di sviluppo o di sperimentazione, tra cui uno di AstraZeneca (noto per ora con la sigla AZD7442) arrivato ai trial clinici di fase 3 con circa 6mila pazienti arruolati, e tre molecole isolate dal Monoclonal Antibody Discovery Lab della Fondazione Toscana Life Science, a Siena.

Cosa ci dicono gli studi finora

A contribuire a tutto il rumore attorno alla recente approvazione alla somministrazione degli anticorpi monoclonali è stato un comunicato stampa diramato da Eli Lilly il 26 gennaio scorso, in cui l’azienda ha dichiarato che “i nuovi dati mostrano che il trattamento con bamlanivimab (LY-CoV555) ed etesevimab (LY-CoV016), somministrati insieme, hanno ridotto il rischio delle ospedalizzazioni e dei decessi da Covid-19 del 70%. Una percentuale che, se fosse confermata, giustificherebbe l’appellativo salvavita per questi farmaci: il problema è che a oggi i risultati di questi trial clinici non sono stati ancora pubblicati, e quindi non c’è modo di sapere se e quanto siano solidi; tra l’altro, il comunicato stampa fa riferimento a un campione di pazienti abbastanza limitato, poco più di mille persone, tra le quali, dice l’azienda, si sono registrati 11 eventi (ospedalizzazione e/o decesso) nel gruppo cui è stato somministrato il cocktail e 36 eventi nel gruppo trattato con il placebo. E infatti l’azienda, nello stesso comunicato, sottolinea che “i dati clinici disponibili per il bamlanivimab sono limitati” e rimarca la necessità di svolgere studi più estesi e approfonditi per poter trarre conclusioni più solide.

In ogni caso, ci sono anche studi effettivamente pubblicati. Si tratta di lavori preliminari, i cui risultati purtroppo non consentono ancora di arrivare a conclusioni definitive sull’efficacia degli anticorpi monoclonali. Parliamo, in particolare, di tre studi, due sugli anticorpi di Eli Lilly e uno su quelli di Regeneron. Quello che emerge da questi lavori è, anzitutto, che gli anticorpi monoclonali vanno somministrati nelle fasi precoci della malattia, e che non funzionano nelle fasi più avanzate. Un dato che, spiega l’immunologo Alberto Beretta“non ci ha sorpreso, perché ormai sappiamo benissimo che quando iniziano i sintomi della polmonite il virus ha ormai lasciato la scena e a provocare la malattia ci pensa il sistema immunitario stesso, con una reazione che può solo essere interrotta da un efficace anti-infiammatorio o immunosoppressore, ma non da un antivirale”.

Le problematiche

Dunque, primo punto: gli anticorpi monoclonali andrebbero  somministrati all’inizio della malattia e su pazienti su cui – si presume – la malattia possa evolvere in modo grave, cioè persone con uno o più fattori di rischio come malattie cardiache e polmonari o obesità. Cosa dire dell’efficacia? Il parere tecnico dell’Aifa, basato sui risultati degli studi, parla chiaro: il farmaco di Eli Lilly, nel dosaggio da 700 mg (l’unico disponibile al momento), ha ridotto l’ospedalizzazione e i passaggi al pronto soccorso del 5% nella popolazione generale a 29 giorni dalla somministrazione. Per la precisione, il passaggio in ospedale è avvenuto in 9 casi su 156 (il 5,8%) nel placebo e in 1 su 101 (l’1%) nei pazienti trattati. E i dati sull’efficacia dei farmaci Regeneron sono molto simili.

Come già anticipato, c’è da sottolineare che è la stessa azienda produttrice, presentando i dati e commentando la decisione del governo, a manifestare la necessità di avere cautela e di condurre ulteriori studi. “Abbiamo cominciato a lavorare ai monoclonali a marzo 2019”, ha raccontato Olivia Bacco, dirigente del reparto produzione di Eli Lilly Italia, “e in pochi mesi siamo riusciti a sviluppare le molecole e ampliare la capacità produttiva per venire incontro alla domanda: è stata una sfida senza precedenti, data anche la grande difficoltà di produrre e distribuire farmaci di questo tipo”. E ancora: “Crediamo tantissimo in farmaci di questo tipo”, ha ribadito Concetto Vasta, direttore degli affari istituzionali di Eli Lilly, “e a breve arriveranno altre pubblicazioni che ci permetteranno di capirne meglio l’efficacia. È una questione ancora in itinere: nella situazione in cui ci troviamo c’è necessità di uscire dagli schemi tradizionali: normalmente lo sviluppo di un vaccino o di un farmaco richiede dieci anni, mentre in questo momento bisogna essere più veloci e andare avanti non appena si acquisiscono dati sufficienti a fare il passo successivo. La nostra ricerca tra l’altro non si ferma qui: stiamo studiando altri anticorpi e cercando di lavorare in sinergia anche con altre aziende, per ottenere il prima possibile farmaci efficaci”.

Ci sono anche altri aspetti da considerare. Le modalità di somministrazione, per esempio: gli anticorpi monoclonali non sono semplici pillole, ma preparati molto delicati, che vanno inoculati in ambiente ospedaliero (o comunque medicalizzato) con infusione endovenosa della durata di un’ora, alla quale ne va aggiunta un’altra di osservazione del paziente per gestire opportunamente eventuali eventi avversi.

Poi c’è la questione, altrettanto importante, delle mutazioni del virus: sempre stando ai risultati della sperimentazione degli anticorpi monoclonali di Eli Lilly, è emerso che sequenziando il virus presente nei pazienti prima e dopo la terapia con bablanivimab (sia da solo che insieme a etesevimab), la proteina spike del patogeno cambia nel corso della terapia, inserendo – nel 7,1% dei casi della monoterapia e nell’1% dei casi dell’assunzione combinata – delle mutazioni che la rendono resistente all’azione degli anticorpi stessi. E infine, ma non meno importante, la questione dei costi: sviluppare, produrre, distribuire e somministrare anticorpi monoclonali è tutt’altro che economico.

ENGLISH

Green light to monoclonal antibodies. On 6 February, "on the basis of the indications of the Italian Medicines Agency and the opinion of the Higher Council of Health", the (outgoing) Health Minister Roberto Speranza signed the decree authorizing the distribution of monoclonal antibodies from Eli Lilly companies and Regeneron / Roche for the prevention of severe forms of Covid-19 in patients with mild disease but considered at risk. The provision was published in the Official Gazette and will remain in force for (at least) 180 days: according to the minister's statements, with the approval of monoclonal antibodies "we have, together with vaccines, one more chance to combat Covid-19" . To distribute and administer monoclonal antibodies, the Italian state will draw on the 400 million euro fund made available for the purchase of vaccines and drugs against Sars-Cov-2: a decision that is causing debate, because despite the minister's statements the scientific evidence currently available is still uncertain. The data on treatments based on monoclonal antibodies are in fact immature, and seem to suggest that the drugs have limited efficacy and on a small slice of patients.

What are monoclonal antibodies

But let's start from the beginning. An antibody is a molecule (a glycoprotein, to be precise) which has the task of recognizing pathogens foreign to the body, such as bacteria and viruses, to allow our body to neutralize them. The immune system produces different types, which identify the enemy with a key / lock system: when the binding site present on the surface of an antibody finds a complementary antigen on a pathogen (or on another external element) that is invading the our body, the immune system begins to mass produce the antibody in question, and in this way - hopefully - the infection is defeated.

This mechanism, however, has limitations: first of all, antibodies exist in billions of different forms, and not all of them have the same effectiveness against pathogens; moreover, the body takes some time to organize its defense and produce antibodies in sufficient quantities to eradicate an ongoing disease, and sometimes it succumbs before it succeeds. It is precisely to solve these problems that the scientific community and the pharmaceutical industry began (actually in the 1980s) to develop and produce monoclonal antibodies, i.e. artificially created replicas so as to be all identical to each other, and therefore with exactly the same ability to neutralize its own antigen. In principle, it is enough to identify (among many) a particularly effective antibody and mass produce perfect copies of it to find a very powerful drug in our hands, with which to attack tumors, malfunctioning elements of our immune system (this is the case, for example, of many autoimmune diseases, including rheumatological ones), but also, of course, bacteria and viruses.

Monoclonal antibodies against Covid-19

Just like with vaccines, several pharmaceutical companies around the world have developed and tested, in record time, monoclonal antibodies potentially useful for fighting the pandemic caused by Sars-Cov-2. The first to hit the headlines were those produced by the American biotech Regeneron: to make them famous was Donald Trump, a very illustrious patient to whom they were administered last October, when he fell ill with Covid-19. The two Regeneron monoclonal antibodies (whose names are casirivimab and imdevimab, where the suffix -mab stands for Monoclonal AntiBody), were isolated in a Singapore patient and obtained in the laboratory by isolating the coronavirus spike protein in the organism of a mouse. genetically engineered to provide it with a human immune system.

Then there are the molecules of the multinational Eli Lilly, bamlanivimab and etesevimab, and at least another dozen drugs under development or experimentation, including one from AstraZeneca (known for now with the acronym AZD7442) that has arrived at the trials Phase 3 clinical trials with about 6,000 patients enrolled, and three molecules isolated from the Monoclonal Antibody Discovery Lab of the Toscana Life Science Foundation, in Siena.

What the studies tell us so far

Contributing to all the noise surrounding the recent approval for the administration of monoclonal antibodies was a press release issued by Eli Lilly on January 26, in which the company stated that "the new data shows that treatment with bamlanivimab (LY- CoV555) and etesevimab (LY-CoV016), administered together, reduced the risk of hospitalizations and deaths from Covid-19 by 70% ”. A percentage that, if confirmed, would justify the life-saving appellation for these drugs: the problem is that to date the results of these clinical trials have not yet been published, and therefore there is no way of knowing if and how solid they are; among other things, the press release refers to a fairly limited sample of patients, just over a thousand people, among which, the company says, 11 events (hospitalization and / or death) were recorded in the group to which it was administered the cocktail and 36 events in the placebo group. In fact, the company, in the same press release, emphasizes that "the clinical data available for bamlanivimab are limited" and stresses the need to carry out more extensive and in-depth studies in order to draw more solid conclusions.

In any case, there are also actually published studies. These are preliminary works, the results of which unfortunately do not yet allow us to reach definitive conclusions on the efficacy of monoclonal antibodies. We are talking, in particular, of three studies, two on Eli Lilly's antibodies and one on Regeneron's. What emerges from these works is, first of all, that monoclonal antibodies must be administered in the early stages of the disease, and that they do not work in the more advanced stages. A fact that, explains the immunologist Alberto Beretta, "did not surprise us, because by now we know very well that when the symptoms of pneumonia begin, the virus has now left the scene and the immune system itself causes the disease, with a reaction that it can only be stopped by an effective anti-inflammatory or immunosuppressant, but not by an antiviral ”.

The issues

Therefore, first point: monoclonal antibodies should be administered at the onset of the disease and on patients on whom - it is assumed - the disease may evolve severely, that is, people with one or more risk factors such as heart and lung disease or obesity. What to say about effectiveness? The technical opinion of Aifa, based on the results of the studies, is clear: Eli Lilly's drug, in the dosage of 700 mg (the only one available at the moment), reduced hospitalization and emergency room visits by 5% in general population 29 days after administration. To be precise, the passage to hospital occurred in 9 out of 156 cases (5.8%) in placebo and in 1 out of 101 (1%) in treated patients. And the data on the effectiveness of Regeneron drugs are very similar.

As already mentioned, it should be emphasized that it is the manufacturing company itself, by presenting the data and commenting on the government's decision, that expresses the need for caution and to conduct further studies. "We started working on monoclonals in March 2019", said Olivia Bacco, manager of the production department of Eli Lilly Italia, "and in a few months we were able to develop the molecules and expand the production capacity to meet the demand: it was an unprecedented challenge, also given the great difficulty of producing and distributing drugs of this type ”. And again: "We strongly believe in drugs of this type", reiterated Concept Vasta, director of institutional affairs at Eli Lilly, "and other publications will soon arrive that will allow us to better understand their effectiveness. It is a question that is still ongoing: in the situation in which we find ourselves there is a need to get out of traditional schemes: normally the development of a vaccine or a drug takes ten years, while at this moment we need to be faster and move forward as soon as you acquire enough data to take the next step. Among other things, our research does not stop there: we are studying other antibodies and trying to work in synergy with other companies, to obtain effective drugs as soon as possible ".

There are other aspects to consider as well. The methods of administration, for example: monoclonal antibodies are not simple pills, but very delicate preparations, which must be inoculated in a hospital (or in any case medicalized) with an intravenous infusion lasting one hour, to which another one must be added observation of the patient to properly manage any adverse events.

Then there is the equally important question of virus mutations: again according to the results of Eli Lilly's monoclonal antibody experimentation, it emerged that by sequencing the virus present in patients before and after therapy with bablanivimab (both alone and together a etesevimab), the spike protein of the pathogen changes during the course of therapy, inserting - in 7.1% of cases of monotherapy and in 1% of cases of combined intake - mutations that make it resistant to the action of the antibodies themselves . And last but not least, the question of costs: developing, producing, distributing and administering monoclonal antibodies is anything but cheap.

Da:

https://www.wired.it/scienza/medicina/2021/02/12/anticorpi-monoclonali-covid-19/?utm_source=news&utm_campaign=daily&utm_brand=wi&utm_mailing=WI_NEWS_Daily%202021-02-12&utm_medium=email&utm_term=WI_NEWS_Daily



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