Remdesivir, il farmaco che l’Oms sconsiglia e che noi continuiamo a usare / Remdesivir, the drug that the WHO advises against and that we continue to use

 Remdesivir, il farmaco che l’Oms sconsiglia e che noi continuiamo a usareRemdesivir, the drug that the WHO advises against and that we continue to use


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa


Non c’è niente di male a tentare, quando mancano solide opzioni terapeutiche. Lo abbiamo fatto con l’idrossiclorochina, con le trasfusioni di plasma iperimmune, con antibioticivecchi antivirali, farmaci per le malattie autoimmuni. Dopo un anno di pandemia però quasi nulla si è dimostrato utile per aiutare i pazienti Covid-19, e come è giusto, i farmaci che non funzionano sono stati abbandonati. Ma c’è un caso più complesso, quello del remdesivir, un antivirale dalla storia lunga e travagliata. Niente di strano, intendiamoci, visto che è stato il primo (e rimane per ora l’unico) antivirale approvato per il trattamento dei pazienti malati di Covid-19. Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, però,il remdesivir non funzionerebbe. L’Europa però continua a puntarci e da noi l’Agenzia italiana del farmaco ne prevede l’uso solo in casi selezionati e dopo un’attenta analisi del rapporto tra costi e benefici.

Storia remdesivir

La storia del remdesivir inizia più di dieci anni fa nei laboratori di Gilead Sciences, nell’ambito di un programma di ricerca portato avanti in collaborazione con i Centers for Disease Control and Prevention americani (Cdc) e lo Us Army Medical Research Institute of Infectious Diseases, indirizzato allo sviluppo di nuovi antivirali contro i virus a rna. Inizialmente, la molecola venne studiata per il trattamento dell’Hcv (il virus dell’epatite C) e del virus respiratorio sinciziale, rivelandosi però inutile contro entrambe le malattie. Rimase quindi nel portfolio farmaceutico dell’azienda in attesa di un’occasione, che arrivò con l’epidemia di ebola in Africa occidentale del 2014, quando venne rispolverata e sperimentata rivelando finalmente un’efficacia. Altri farmaci però si dimostrarono più utili, facendo tornare il remdesivir nel limbo. Le analisi svolte negli anni avevano comunque dimostrato che possiede un’ottima capacità di impedire la replicazione di molti virus a rna, ed era quindi solo questione di tempo prima che un qualche nuovo patogeno offrisse la chance per riportare il farmaco sul mercato.

La pandemia di Covid 19 si è rivelata un momento potenzialmente propizio. Il remdesivir è stato testato mostrando una qualche efficacia nei pazienti ospedalizzati per Covid-19, e in attesa di dati più robusti è stato approvato sia negli Stati Uniti sia, in forma condizionata, in Europa, vista la mancanza di alternative farmacologiche contro Sars-Cov-2. Nonostante la soddisfazione espressa dal mondo della scienza, le polemiche non si sono fatte attendere a causa del costo del farmaco: un ciclo di trattamento (5 o 6 fiale) costa infatti duemila euro per paziente, e deve essere effettuato necessariamente in ambito ospedaliero perché il farmaco viene somministrato per infusione endovenosa. Paesi come l’India hanno ottenuto la licenza per produrre il farmaco in versione generica, da destinare ai paesi in via di sviluppo, riuscendo a diminuire i costi fino a circa 50 dollari per fiala, mentre le nazioni più ricche si sono contese le scorte disponibili pagando il prezzo pieno. In Europa ha pensato all’acquisto centralizzato la Commissione europea, ottenendo inizialmente 200mila dosi per un totale di 70milioni di euro, e poi altri 500mila cicli di trattamento per poco più di un miliardo di euro, con un contratto firmato l’8 ottobre dello scorso anno.

Le polemiche

Ad appena una settimana dalla chiusura del secondo contratto della Commissione europea, l’Oms ha pubblicato i risultati preliminari del suo Solidarity Trial, un ampio studio clinico internazionale in cui sono stati sperimentati i più promettenti farmaci già disponibili sul mercato per il trattamento dei pazienti Covid-19. E i risultati sono stati purtroppo deludenti: nessuno dei farmaci testati si è rivelato efficace per ridurre la mortalità o anche solo la durata dei ricoveri.

Una conclusione molto diversa da quella dell’unico altro ampio studio clinico disponibile, il trial Actt-1 promosso dal National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) e dal National Health Institute (Nih) americani, che ha testato il farmaco in un trial randomizzato a doppio cieco su 541 pazienti (e 521 del gruppo di controllo). In quello studio il remdesivir aveva dimostrato di diminuire il tempo medio di degenza (da 15 a 10 giorni), le probabilità di miglioramenti clinici al 15esimo giorno dall’insorgenza dei sintomi, e anche la mortalità, con un rischio di morte inferiore di circa il 5% a 15 giorni e del 4% a 29 giorni.

I ricercatori dell’Oms hanno preso in considerazione questi risultati nel loro paper su Solidarity, facendo però notare che nel gruppo di trattamento di Actt-1 (i pazienti che hanno ricevuto il farmaco e non il placebo) per caso era contenuta una proporzione significativamente maggiore di pazienti con forme moderate della malattia (che non necessitavano di ventilazione meccanica o di ossigeno ad alti flussi all’inizio del trattamento). Una situazione che potrebbe aver creato un bias nei risultati e che potrebbe spiegare, almeno in parte, le differenze emerse nei due studi. In una metanalisi che ha preso in considerazione i risultati di SolidarityActt-1 e due altri studi più piccoli, i risultati in termini di mortalità sono comunque risultati statisticamente compatibili con un’efficacia minima o nulla del remdesivir.

Con in mano i nuovi dati forniti da Solidarity, l’Oms ha deciso di emanare una nuova raccomandazione negativa per l’utilizzo del remdesivir. Ma se per un altro dei medicinali testati nel trial Solidarity, l’idrossiclorochina, i risultati negativi hanno significato lo stop all’utilizzo nei pazienti con Covid-19, per il remdesivir la storia ha avuto un finale diverso. L’Ema ha dichiarato che avrebbe valutato i dati dello studio Solidarity per decidere se modificare l’indicazione di utilizzo del farmaco, e l’Aifa ha deciso di limitarne l’utilizzo solamente a casi selezionati dopo un’accurata valutazione del rapporto rischi/benefici.

Le linee guida italiane

Cosa si intende per casi selezionati? Si tratta di pazienti in cui la malattia è già abbastanza grave da meritare un trattamento farmacologico, ma che non siano ancora peggiorati al punto da rendere vano il ricorso a un antivirale. Oggi infatti la potenziale progressione di Covid-19 viene distinta in tre fasi. Una iniziale in cui la replicazione del virus produce sintomi influenzali, come febbre, malessere e tosse secca. Una seconda fase in cui si presenta la polmonite interstiziale che può portare all’insufficienza respiratoria. E quindi la terza, la più grave, caratterizzata dalla reazione eccessiva del sistema immunitario, la famosa tempesta di citochine, che rischia di causare la compromissione dei polmoni e di altri organi, e può portare al decesso. In quest’ultima fase della malattia non è più il virus a causare danni, e quindi l’antivirale, che agisce impedendone la replicazione, non ha più un razionale per il suo utilizzo. Allo stesso modo, nella fase uno dell’infezione non si può utilizzare il remdesivir sia per questioni di costi, sia perché si tratta di un farmaco a somministrazione ospedaliera, e quindi risulterebbe complesso da utilizzare su migliaia di pazienti in isolamento domiciliare.

È per la seconda fase quindi, e in particolare nei pazienti che mostrano sintomi compatibili con un peggioramento in direzione della terza, che viene attualmente permesso il ricorso al remdesivir. “Il farmaco andrebbe riservato all’utilizzo in pazienti ospedalizzati con polmonite e in ossigenoterapia ma che non richiedono il ricorso alla ventilazione meccanica e in cui la malattia è insorta da meno di 10 giorni”, spiega a Wired Claudio Mastroianni, docente di malattie infettive dell’università Sapienza e vicepresidente della Società italiana di malattie infettive e tropicali. “In questi pazienti abbiamo infatti osservato una riduzione della degenza, delle giornate in ossigenoterapia e del rischio di necessitare di ventilazione meccanica”. Le indicazioni della letteratura scientifica – ammette Mastroianni – sono contraddittorie, ma secondo l’esperto in questa fase molti trial clinici sono stati svolti con una certa fretta che ne ha pregiudicato i risultati, e le osservazioni aneddotiche indicano una qualche efficacia del farmaco che, anche considerata la totale mancanza di alternative terapeutiche, giustifica il suo utilizzo in questo sottoinsieme di pazienti.

Per l’Oms non esistono prove di efficacia, e l’antivirale rappresenta quindi un rischio inutile (non è privo di effetti collaterali) e uno spreco di risorse. Mentre per l’Europa si tratta di un investimento in salute. L’Italia sembra schierata con la Commissione europea, visto che nel decreto Sostegni è stato previsto un fondo speciale proprio per l’acquisto del remdesivir, pari a 300 milioni di euro per il 2021, con cui si prevede di trattare 10mila pazienti ogni mese.

E se non funzionasse?

Quello che si rischia, si legge in un articolo commissionato dal British Medical Journal, è di rivivere la vicenda, poco edificante, del tamiflu, l’antivirale di cui ai tempi dell’aviaria fecero scorta tutti i grandi paesi del mondo (l’Italia investi circa 200 milioni di euro), per poi scoprire a più di un decennio di distanza che aveva effetti minimi contro l’influenza. Uno dei tanti episodi da cui avremmo dovuto imparare qualcosa sulla gestione delle pandemie (visto che anche durante un’emergenza sanitaria le risorse non sono certo infinite), e che rischia invece di ripetersi se nei prossimi mesi verrà confermata la scarsa efficacia del remdesivir. Con una differenza non da poco: un ciclo di tamiflu costava circa 30 euro, mentre un ciclo di remdesivir attualmente lo paghiamo poco più di duemila euro a paziente.

Anche per questo, un articolo pubblicato a dicembre su Lancet suggeriva di valutare la possibilità di negoziare un accordo basato sul cosiddetto payment-by-result, un regime (già utilizzato con moltissimi farmaci costosi) in cui lo stato paga il farmaco all’azienda produttrice solo nei pazienti in cui ottiene il risultato atteso. Una formula che anche Mastroianni reputa auspicabile, ma che secondo l’infettivologo si potrà negoziare realisticamente solo tra qualche mese, quando i vaccini e la bella stagione ci avranno (auspicabilmente) aiutato a uscire dall’emergenza. Anche se a quel punto, si spera, del remdesivir avremo meno bisogno.

ENGLISH

There is nothing wrong with trying when solid therapeutic options are lacking. We did it with hydroxychloroquine, with hyperimmune plasma transfusions, with antibiotics, old antivirals, drugs for autoimmune diseases. But after a year of the pandemic, almost nothing has proved useful to help Covid-19 patients, and rightly so, drugs that don't work have been abandoned. But there is a more complex case, that of remdesivir, an antiviral with a long and troubled history. Nothing strange, mind you, since it was the first (and remains for now the only) antiviral approved for the treatment of patients with Covid-19. According to the World Health Organization, however, remdesivir would not work. However, Europe continues to focus on us and the Italian Medicines Agency provides for its use only in selected cases and after a careful analysis of the relationship between costs and benefits.

Remdesivir history

The history of remdesivir begins more than ten years ago in the laboratories of Gilead Sciences, as part of a research program carried out in collaboration with the American Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) and the Us Army Medical Research Institute of Infectious Diseases. , aimed at the development of new antivirals against RNA viruses. Initially, the molecule was studied for the treatment of HCV (the hepatitis C virus) and respiratory syncytial virus, but it proved useless against both diseases. It therefore remained in the company's pharmaceutical portfolio waiting for an opportunity, which came with the Ebola epidemic in West Africa in 2014, when it was dusted off and tested, finally revealing its effectiveness. However, other drugs proved more useful, causing remdesivir to return to limbo. However, the analyzes carried out over the years had shown that it has an excellent ability to prevent the replication of many RNA viruses, and it was therefore only a matter of time before some new pathogen offered the chance to bring the drug back to the market.

The Covid 19 pandemic proved to be a potentially propitious time. Remdesivir has been tested showing some efficacy in patients hospitalized for Covid-19, and pending more robust data it has been approved both in the United States and, in a conditional form, in Europe, given the lack of pharmacological alternatives against Sars-Cov. -2. Despite the satisfaction expressed by the world of science, the controversy was not long in coming due to the cost of the drug: a course of treatment (5 or 6 ampoules) costs two thousand euros per patient, and must necessarily be carried out in a hospital setting because the drug is administered by intravenous infusion. Countries such as India have obtained the license to produce the drug in a generic version, to be destined for developing countries, managing to reduce costs by up to about 50 dollars per vial, while the richer nations have competed for the available stocks. paying full price. In Europe, the European Commission thought about centralized purchasing, initially obtaining 200 thousand doses for a total of 70 million euros, and then another 500 thousand treatment cycles for just over a billion euros, with a contract signed on 8 October last year. year.

The controversy

Just a week after the closure of the second contract of the European Commission, WHO has published the preliminary results of its Solidarity Trial, a large international clinical study in which the most promising drugs already available on the market for the treatment of Covid patients were tested. -19. And the results were unfortunately disappointing: none of the drugs tested proved effective in reducing mortality or even just the length of hospitalizations.

A very different conclusion from that of the only other large clinical trial available, the Actt-1 trial sponsored by the American National Institute of Allergy and Infectious Diseases (Niaid) and the National Health Institute (Nih), which tested the drug in a trial. randomized double-blind study on 541 patients (and 521 in the control group). In that study, remdesivir was shown to decrease median length of stay (15 to 10 days), the likelihood of clinical improvement on day 15 of symptom onset, and also mortality, with a lower risk of death by about 5% at 15 days and 4% at 29 days.

WHO researchers considered these findings in their Solidarity paper, but noted that a significantly higher proportion was contained in the Actt-1 treatment group (patients who received the drug and not the placebo) by chance. patients with moderate forms of the disease (who did not require mechanical ventilation or high flow oxygen at the start of treatment). A situation that could have created a bias in the results and that could explain, at least in part, the differences that emerged in the two studies. In a meta-analysis that took into account the results of Solidarity, Actt-1 and two other smaller studies, the results in terms of mortality were still statistically compatible with little or no efficacy of remdesivir.

With the new data provided by Solidarity in hand, WHO has decided to issue a new negative recommendation for the use of remdesivir. But if for another of the drugs tested in the Solidarity trial, hydroxychloroquine, the negative results meant the cessation of use in patients with Covid-19, for remdesivir the story had a different ending. The EMA stated that it would evaluate the data of the Solidarity study to decide whether to change the indication of use of the drug, and Aifa has decided to limit its use only to selected cases after a careful assessment of the risk / benefit ratio. .

The Italian guidelines

What is meant by selected cases? These are patients whose disease is already severe enough to warrant pharmacological treatment, but who have not yet deteriorated to the point that the use of an antiviral is in vain. Today, in fact, the potential progression of Covid-19 is divided into three phases. An initial in which the replication of the virus produces flu symptoms, such as fever, malaise and dry cough. A second phase in which interstitial pneumonia occurs which can lead to respiratory failure. And then the third, the most serious, characterized by the overreaction of the immune system, the famous cytokine storm, which risks causing compromise of the lungs and other organs, and can lead to death. In this last phase of the disease, it is no longer the virus that causes damage, and therefore the antiviral, which acts by preventing its replication, no longer has a rationale for its use. Similarly, in phase one of the infection remdesivir cannot be used both for reasons of cost and because it is a hospital-administered drug, and therefore would be complex to use on thousands of patients in home isolation.

It is therefore for the second phase, and in particular in patients who show symptoms compatible with a worsening towards the third, that the use of remdesivir is currently allowed. "The drug should be reserved for use in hospitalized patients with pneumonia and in oxygen therapy but who do not require the use of mechanical ventilation and in whom the disease has arisen for less than 10 days", explains to Wired Claudio Mastroianni, professor of infectious diseases of the Sapienza University and Vice President of the Italian Society of Infectious and Tropical Diseases. "In these patients we have in fact observed a reduction in hospitalization, days in oxygen therapy and the risk of requiring mechanical ventilation". The indications of the scientific literature - admits Mastroianni - are contradictory, but according to the expert in this phase many clinical trials were carried out with a certain haste that affected the results, and anecdotal observations indicate some efficacy of the drug which, even given the total lack of therapeutic alternatives, it justifies its use in this subset of patients.

For the WHO, there is no evidence of efficacy, and the antiviral therefore represents an unnecessary risk (it is not without side effects) and a waste of resources. While for Europe it is an investment in health. Italy seems to be on the side of the European Commission, given that in the Sostegni decree a special fund was provided for the purchase of remdesivir, amounting to 300 million euros for 2021, with which 10,000 patients are expected to be treated every month.

What if it doesn't work?

What we risk, we read in an article commissioned by the British Medical Journal, is to relive the story, not very edifying, of tamiflu, the antiviral which all the great countries of the world stocked up at the time of the avian invest around 200 million euros), only to discover more than a decade later that it had minimal effects against the flu. One of the many episodes from which we should have learned something about pandemic management (given that even during a health emergency the resources are certainly not infinite), and which risks recurring if the low efficacy of remdesivir is confirmed in the coming months. With one major difference: a tamiflu course cost around 30 euros, while a remdesivir course we currently pay just over two thousand euros per patient.

Also for this reason, an article published in December in the Lancet suggested evaluating the possibility of negotiating an agreement based on the so-called payment-by-result, a regime (already used with many expensive drugs) in which the state pays the drug to the manufacturer. only in patients in which it achieves the expected result. A formula that Mastroianni also deems desirable, but which according to the infectious disease specialist can only be negotiated realistically in a few months, when the vaccines and the warm season will have (hopefully) helped us out of the emergency. Although at that point, hopefully, we will need less remdesivir.

Da.

https://www.galileonet.it/remdesivir-oms-sconsiglia/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=Remdesivir+Oms+non+funziona


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