Sicurezza nucleare: cosa sta succedendo a Zaporizhzhya? / Nuclear safety: what is happening in Zaporizhzhya?
Sicurezza nucleare: cosa sta succedendo a Zaporizhzhya? / Nuclear safety: what is happening in Zaporizhzhya?
Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa
La mattina del 24 febbraio scorso alle 6:41 il Centro incidenti ed emergenze dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (IAEA) venne informata dall’Ispettorato statale ucraino per la regolamentazione nucleare (SNRIU) dell’imposizione della legge marziale sul paese e di un’allerta per il sito nucleare di Chernobyl, occupato da truppe russe. La comunicazione è avvenuta sulla base della Convenzione sulla tempestiva notifica di un incidente nucleare del 26 settembre 1986.
L’elemento sostanziale della Convenzione è l’obbligo per lo stato in cui avvenga un incidente nucleare di notificarlo immediatamente agli stati che sono o potrebbero essere fisicamente coinvolti, direttamente o per il tramite della IAEA. Poiché per “incidente nucleare” si intende qualsiasi evento che comporti, o possa comportare, il rilascio transfrontaliero internazionale di materie radioattive, la vicinanza del sito con la Bielorussia e la possibilità che operazioni militari comportassero emissioni radioattive hanno motivato la denuncia alla IAEA da parte dello SNRIU. La IAEA ha informato i vari paesi attraverso lo specifico sistema di comunicazione per emergenze e ha attivato le strutture preposte alla gestione delle emergenze nucleari in modo da mantenere sotto controllo i vari impianti nucleari ucraini.
Il giorno 4 marzo l’Ucraina ha informato la IAEA che forze russe avevano preso controllo del complesso elettronucleare di Zaporizhzhya, il più grande d’Europa, comprendente 6 reattori per una potenza totale di 5700 MWt. Il 6 marzo lo SNRIU ha comunicato alla IAEA di un pesante cannoneggiamento contro l’installazione della sorgente di neutroni del KIRP di Kharkiv, con danni significativi.
La IAEA ha condotto due missioni (29-31 marzo e 25-28 aprile) in Ucraina guidate dal Direttore generale Rafael Mariano Grossi per esaminare la situazione e impostare il programma di assistenza per ridurre i rischi di gravi incidenti nucleari. La IAEA produce in rete regolari aggiornamenti sulla situazione delle strutture nucleari del paese e il 10 maggio ha emesso un rapporto su Nuclearsafety,securityandsafeguardsinUkaine.
Gli impianti nucleari ucraini
L’Ucraina ha una vasta esperienza nei vari aspetti della tecnologia nucleare civile; opera 4 impianti elettronucleari con 15 reattori localizzati in 2 centrali in Volinia (Khmelnytskyy con 2 reattori e Rivne con 4 reattori) e 2 nell’Ucraina meridionale (Centrale dell’Ucraina meridionale nei pressi di Yuzhnoukrainsk con 3 reattori e Zaporizhzhya a Enerhodar con 6 reattori) per una potenza totale di oltre 13 GWe, che nel 2020 hanno fornito il 50% del fabbisogno elettrico nazionale. Altri due nuovi reattori sono in costruzione a Khmelnytskyy. Tutti i reattori sono ad acqua pressurizzata (PWR), che serve sia da moderatore che da refrigerante, di tipo VVER-V di costruzione russa e impiegano uranio leggermente arricchito (< 4,4%).
Va osservato che questi reattori sono estremamente più sicuri dei reattori RBMK attivi a suo tempo a Chernobyl; i loro edifici in cemento rafforzato sono in grado di sopportare anche proiettili e testate di alta potenza, che non siano specifici per penetrazioni anti-bunker; anche la rottura dell’edificio non può portare a danneggiare il nocciolo del reattore, racchiuso in un contenitore a pressione di acciaio inossidabile incorporato in cemento.
Il maggior pericolo può venire dall’auto-distruzione del reattore dovuta all’interruzione del raffreddamento (come è successo a Fukushima), a seguito della distruzione dell’impianto refrigerante o della mancata alimentazione delle pompe. Va ricordato che allo spegnimento i reattori conservano una potenza residua, che raggiunge tipicamente il 6% di quella d’esercizio (quasi 200 MW per impianti di 1 GWe), per ridursi nel giro di qualche giorno ai valori minimi della configurazione di “spegnimento freddo”, solo se la refrigerazione continua regolarmente.
A Chernobyl si stanno de-commissionando i 4 reattori RBMK da 1GWe moderati a grafite e refrigerati ad acqua: l’unità 4 esplosa nel 1986 ha un contenitore sicuro dal 2017; le unità 1 (spenta nel 1997), 2 (chiusa dopo un incendio nel 1991) e 3 (spenta nel 2000) si stanno mettendo in sicurezza (entro il 2028), il loro materiale fissile esausto verrà rimosso dalle piscine di stoccaggio entro il 2046; la distruzione delle strutture è prevista per il 2064. Il sito comprende due strutture di stoccaggio provvisorio del combustibile esaurito (ISF-1 e ISF-2) e una varietà di impianti di gestione degli scarti. A Chernobyl è stata costruita una struttura centrale di stoccaggio del combustibile esaurito che riceverà e immagazzinerà il combustibile esaurito dei reattori delle centrali nucleari di Rivne, Khmelnytskyy e dell’Ucraina meridionale.
All’interno della più ampia Zona di esclusione di Chernobyl vi sono numerosi impianti di smaltimento di rifiuti radioattivi e “cimiteri” dei mezzi impiegati per la gestione del disastro del 1986 e resi radioattivi.
Il Centro nazionale scientifico dell’Istituto di fisica e tecnologia di Kharkiv (KIPT) opera una struttura sottocritica alimentata da un linac di elettroni da 100 MeV per generare fasci intensi di neutroni per una varietà di ricerche e applicazioni mediche e tecnologiche. Il materiale nucleare presente è sempre subcritico e l’inventario radioattivo è limitato.
A Dnipro, Kharkiv, Kiev, Odessa e Leopoli esistono inoltre impianti (radon facilities) specializzati nella gestione e lo stoccaggio provvisorio dei rifiuti radioattivi provenienti dall’uso di sorgenti di radiazioni in medicina, scienza e diverse industrie ucraine.
Reattori nel mirino: i precedenti storici
A parte alcune azioni terroristiche, prima d’ora reattori nucleari sono stati obiettivi deliberati di attacchi solo nei conflitti medio-orientali, per lo più giustificati come azioni a prevenire lo sviluppo di programmi nucleari militari.
Il primo attacco venne portato dall’Iran il 30 settembre 1980 contro il centro di ricerca nucleare iracheno di Al Tuwaitha, 18 km a sud di Baghdad, ove esisteva, accanto a vari laboratori di ricerca e tecnologia, un reattore di ricerca russo a neutroni veloci IRT-5000 (Tammuz 14) da 5MWt con combustibile arricchito all’80%, e la Francia stava costruendo un reattore ad acqua leggera da 40 MWt (Osirak–Tammuz 1) per ricerca scientifica e un piccolo reattore ISIS (Tammuz 2) da 500 kWt. Tutti gli impianti nucleari di Al Tuwaitha erano sottoposti alle salvaguardie della IAEA, essendo l’Iraq membro del Trattato di non proliferazione (NPT). L’operazione “spada bruciante” iraniana, condotta nel contesto della guerra Iraq–Iran, mirava alla distruzione di Osirak prima del suo completamento, ma produsse solo limitati danni, che furono riparati dai tecnici francesi.
I due reattori Tammuz 1 e Tammuz 2 furono invece danneggiati in modo irreparabile il 7 giugno 1981 nell’attacco aereo a sorpresa israeliano (operazione “Opera” o “Babilonia”), motivato dalla politica israeliana di prevenire la possibilità che qualsiasi paese arabo acquisisca l’arma nucleare. In realtà il reattore Osirak, alimentato da uranio arricchito al 18% e sottoposto al controllo francese oltre alle salvaguardie della IAEA, non avrebbe potuto venir impiegato per la produzione di plutonio e quindi solo di marginale rilevanza per un programma militare (che invece l’Iraq perseguiva altrove in segreto). L’Iraq in seguito acquisì un nuovo reattore ISIS per varie applicazioni scientifiche, che chiamò ancora Tammuz 2.
L’attacco israeliano colpì fortemente tutta la comunità internazionale. Sia il Consiglio di sicurezza che l’Assemblea generale dell’ONU condannarono l’azione in modo unanime sulla base dell’art 2 (4) della Carta delle nazioni unite: Tutti i membri si astengano nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, o in qualsiasi altro modo incompatibile con gli scopi delle Nazioni Unite. Anche la IAEA condannò l’attacco e discusse la possibilità di sospendere la sua assistenza alle attività nucleari civili di Israele.
Anche in risposta all’attacco iraniano ad Al Tuwaitha, l’Iraq nel corso della guerra condusse dal 1984 al 1988 sette incursioni aeree contro i due reattori in costruzione al centro elettronucleare iraniano di Bushehr, danneggiandoli in modo significativo.
Tutti gli attacchi ad Al Tuwaitha e Bushehr non produssero contaminazione radioattiva, dato che nei reattori coinvolti non era ancora installato il combustibile nucleare.
Il secondo gruppo di attacchi a reattori si ebbe durante la Guerra del golfo (1990–91) da parte degli USA e dell’Iraq contro obiettivi funzionanti, e quindi potenziali sorgenti di contaminazione radioattiva, a differenza del decennio precedente.
Nell’ambito dell’operazione “Package Q” il 19 gennaio 1991 forze aeree americane attaccarono pesantemente il centro di Al Tuwaitha distruggendo i due reattori di ricerca operativi IRT-5000 e Tammuz 2 oltre a laboratori di fisica nucleare e radiochimica, strutture per la fabbricazione di combustibile, la stazione per il trattamento delle scorie e depositi di materiali nucleari. Secondo il generale Norman Schwartzkopf, a seguito dell’azione la capacità del paese di sviluppare armi nucleari aveva subito “una battuta d’arresto considerevole, se non una battuta d’arresto totale”, mentre in realtà le strutture di Al Tuwaitha erano per ricerche civili e coperte dalle salvaguardie della IAEA; gli alleati non riuscirono a individuare durante la guerra del golfo gli impianti clandestini di armi nucleari dell’Iraq, che restarono in gran parte intatti.
Il 17 febbraio 1991 l’Iraq lanciò 6 missili Scud contro l’israeliano Centro di ricerche nucleari del Negev che comprende il reattore di ricerca ad acqua pesante ed uranio naturale Dimona, impiegato per la produzione di plutonio e trizio per le armi nucleari israeliane; i missili non raggiunsero l’obiettivo e l’attacco non ebbe effetti; secondo esperti israeliani la cupola in cemento armato del reattore avrebbe resistito anche se colpita dagli Scud; un’emergenza radioattiva sarebbe invece potuta derivare se fossero stati colpiti i depositi di materiale nucleare esausto, il che non si ebbe.
Ultimo attacco, prima della guerra in Ucraina, ad un (supposto) reattore nucleare in costruzione venne condotto il 6 settembre 2007 da Israele col bombardamento dell’impianto siriano al-Kubar (o Dair Alzour) presso Deir ez-Zor, nella Siria orientale. Solo il 22 marzo 2018 Israele ha ufficialmente rivendicato l’operazione (“Fuori dagli schemi” o “Frutteto”) compiuta da uno stormo aereo con lo scopo di impedire la costruzione di un reattore nucleare acquisito dalla Corea del Nord, per un programma nucleare clandestino. La Siria ha sempre negato che la struttura fosse destinata ad un reattore nucleare, ma la IAEA il 28 aprile 2010 ha concluso sulla base delle analisi compiute che il sito era appunto destinato ad un reattore nucleare.
Conseguenze radiologiche
Fra tutti questi casi il più grave è stato l’attacco americano al reattore funzionante IRT-5000 del 1991, il solo che abbia implicato la dispersione di materiale radioattivo ed una conseguente contaminazione radiologica della zona. Inizialmente fu escluso ogni rischio di contaminazione radioattiva, e l’Iraq, nonostante l’insistenza della IAEA per un rapporto, per mesi evitò di esprimersi sull’evento. Con una lettera in data 9 aprile 1991, il ministro degli esteri iracheno comunicò alla IAEA che all’inizio degli attacchi della coalizione (16-17 gennaio) si era proceduto allo spostamento di gran parte del materiale nucleare soggetto alle salvaguardie della IAEA in luogo più sicuro. Tuttavia parte dell’uranio arricchito all’80% dell’IRT-5000 e del combustibile del reattore Tammuz-2 (arricchito al 93%) era ancora presente nei due reattori al momento della loro distruzione.
Solo alla fine di aprile 2003 durante l’operazione “Iraqi Freedom” venne documentata una significativa dispersione radioattiva ad Al Tuwaitha. A quel tempo, residenti locali avevano saccheggiato il sito creando una diffusa contaminazione anche nei villaggi vicini.
Dal 2006 è iniziato un programma di smantellamento e bonifica del sito da parte del governo iracheno col determinante sostegno americano e la collaborazione della IAEA e di Francia, Italia, Regno Unito e Ucraina. Nel 2005 un’estesa prospezione ha permesso di predisporre una mappa della contaminazione radioattiva della zona e di ricostruire le funzioni di alcuni siti distrutti.
Nel 2017 misure sono state effettuate presso il reattore distrutto IRT-5000 per fornire una caratterizzazione radiologica completa e per valutare il rischio e la dose per i lavoratori impegnati nella de-commissione dei resti del reattore. La maggior parte dei campioni è stata contaminata con gli isotopi Cs-137, Co-60 ed Eu-152, con una massima concentrazione di attività (19,97 GBq) dall’isotopo Co-60. La dose misurata all’interno del corpo del reattore varia da 55 a 1250 mSv/h (ricordiamo che la dose naturale media in Italia è di 3,3 mSv/anno), tuttora (dopo 30 anni!) molto superiore a quella massima prevista per il personale impegnato alla bonifica, per cui si dovrà operare con le speciali procedure previste dalla IAEA.
A quel tempo, il bombardamento di Al Tuwaitha non provocò alcuna protesta o azione diplomatica significativa. La guerra del Golfo avveniva per un mandato del Consiglio di sicurezza dell’ONU a “utilizzare ogni possibile mezzo per costringere l’Iraq a ritirarsi dal Kuwait e per ristabilire la pace e la sicurezza internazionali nell’area”. La generale ostilità internazionale all’Iraq e il diffuso consenso alla distruzione del suo programma nucleare militare resero accettabile l’operazione e non vi fu alcuna segnalazione al Consiglio di sicurezza dell’ONU.
Solo in seguito giuristi internazionali cominciarono ad esaminare se l’operazione non fosse andata oltre i limiti del mandato dell’ONU. Va infine notata la contraddizione dell’operato americano: gli USA avevano sempre difeso l’affidabilità delle salvaguardie dell’AIEA a garanzia del rispetto del NPT. L’attacco alle strutture di Tuwaitha coperte dalla IAEA mostrano invece che la fiducia del governo americano in queste salvaguardie non era poi così grande.
La situazione attuale a Chernobyl
ll sito è stato occupato dalle forze russe dal 24 febbraio fino al 31 marzo scorso. Il sito si trova sulla direttiva di invasione settentrionale verso Kiev e fungeva da utile punto di accampamento per le truppe russe in preparazione all’attacco alla capitale ucraina, e poteva essere un rifugio sicuro dai contrattacchi a causa dell’enorme quantità di materiale radioattivo ancora presente nella Zona di esclusione di Chernobyl. La Russia ha motivato l’occupazione al Direttore generale della IAEA “per impedire atti deliberati di sabotaggio”.
Il personale ucraino ha continuato a gestire le operazioni quotidiane delle varie strutture, ma per quasi quattro settimane non ha potuto ruotare e tornare alle proprie case.
Attualmente la turnazione del personale avviene regolarmente secondo i piani.
Le comunicazioni del sito con l’esterno, in particolare con lo SNRIU e la IAEA, durante l’occupazione sono state interrotte ed informazioni sulla situazione si sono avute in modo occasionale e informale. L’Ucraina ha ora gradualmente ripristinato il normale controllo della sicurezza nucleare e radioattiva. Tuttavia, la situazione generale nella zona rimane difficile a causa dei ponti distrutti e delle attività di sminamento.
Il sistema on line di monitoraggio delle radiazioni tramite il Sistema informativo internazionale IRMIS è stato interrotto dal 24 febbraio. Alcune misure compiute localmente dal personale hanno indicato un aumento del tasso di dose gamma attribuito ai dislocamenti del suolo (in cui sono stati sepolti materiali radioattivi del disastro del 1986) dovuti a manovre di macchinari pesanti ed alla creazione di postazioni militari. Sulla base di questi dati, la AIEA ha valutato che comunque i livelli di radiazione sono rimasti entro il range operativo misurato storicamente e pertanto di nessun pericolo per il pubblico.
Dal 9 al 14 marzo il sito è rimasto completamente privo di fornitura esterna di energia elettrica. I generatori diesel di emergenza entrarono in funzione per alimentare sistemi importanti per la sicurezza delle strutture, in particolare le strutture di stoccaggio. La disconnessione dalla rete non ha avuto un impatto critico, poiché il volume dell’acqua di raffreddamento per il combustibile esausto era sufficiente a mantenere la rimozione del calore senza necessità di pompe, dato che le barre di combustibile sono da oltre 20 anni in raffreddamento ed una parte significativa della loro radioattività è ormai cessata. Tuttavia, non si sono mantenute alcune funzioni importanti, come il monitoraggio delle radiazioni, i sistemi di ventilazione e l’illuminazione normale.
I locali dei laboratori analitici per il monitoraggio delle radiazioni sono stati devastati e strumenti rubati, rotti o altrimenti disabilitati; il centro di informazione e comunicazione associato venne saccheggiato, con la distruzione delle linee per la comunicazione automatica delle misure.
L’Ucraina ha riferito alla IAEA che la zona di esclusione di Chernobyl si sta gradualmente riprendendo dalle azioni militari russe. La AIEA e gli esperti ucraini stanno preparando una missione conoscitiva complementare per valutare la situazione di sicurezza e protezione di tutte le strutture e attività del sito.
La situazione al KIPT
A seguito dell’invasione russa, a Kharkiv il 24 febbraio la struttura subcritica della sorgente di neutroni del KIPT è stata posta in “modalità di spegnimento a lungo termine”.
Il 6 marzo, l’installazione è stata oggetto di pesanti bombardamenti con danni all’edificio principale dell’impianto, alla cabina elettrica ed ai sistemi di condizionamento. In seguito è venuta a mancare alimentazione elettrica a seguito dei danni alle linee di alimentazione della zona. Tuttavia, gli eventi non hanno dato luogo ad alcuna conseguenza radiologica e non vi è stata perdita delle fondamentali funzioni di sicurezza per il confinamento dei materiali radioattivi.
La situazione a Zaporizhzhya
Nel progresso dell’occupazione dei territori orientali dell’Ucraina, il 4 marzo forze russe hanno raggiunto il sito della centrale, e vi hanno imposto il controllo militare. Nelle operazioni militari, il centro di formazione della struttura — situato a poche centinaia di metri dalle unità del reattore — venne colpito da un proiettile generando un incendio localizzato; hanno subito danni anche gli edifici del laboratorio e di una struttura amministrativa, nonché il trasformatore del reattore 6, riparato alcuni giorni dopo. In quel momento l’Unità 1 era spenta per manutenzione, le Unità 2 e 3 erano in spegnimento controllato, l’Unità 4 funzionava al 60% di potenza e le Unità 5 e 6 erano tenute “in riserva” in modalità bassa potenza.
L’Ucraina ha assicurato la IAEA sull’integrità fisica dei sei reattori dell’impianto e dei sistemi di sicurezza; la centrale nucleare ha continuato a essere gestita dal suo personale regolare, i sistemi di monitoraggio delle radiazioni nel sito sono rimasti pienamente funzionanti e non c’è stato alcun rilascio di materiale radioattivo. Le piscine del combustibile esausto hanno funzionato normalmente e anche la struttura di stoccaggio a secco non ha subito alcun danno. Attualmente (26 maggio) le unità 1, 2 e 4 lavorano a piena potenza e le altre 3 sono sconnesse dalla rete.
Una questione preoccupante è stata l’impatto bellico sulle linee elettriche che collegano la centrale nucleare alla rete. Due delle quattro linee elettriche ad alta tensione (750 kV) furono danneggiate nei primi giorni del controllo russo e per un certo periodo l’impianto ha perso anche una terza linea. L’AIEA valuta che l’impianto sia in grado di operare in sicurezza con le linee a disposizione, dato che il sito è dotato di 20 generatori diesel d’emergenza, in grado di fornire la potenza necessaria per il funzionamento sicuro dei reattori in caso di interruzione dell’alimentazione esterna. Tuttavia, la perdita di due linee elettriche riduce la sicurezza in profondità della struttura.
La comunicazione istituzionale tra il sito e il SNRIU è severamente limitata con molte linee di comunicazione non funzionanti o inaffidabili e basata su telefoni cellulari ed e-mail; non sono state possibili ispezioni regolamentari ucraine delle strutture in loco.
Il problema principale riguarda l’operazione della centrale sotto il controllo militare russo: la direzione e il personale ucraino hanno continuato a operare la centrale regolarmente con la prevista turnazione, ma la situazione ha avuto un impatto negativo sul morale e la serenità del personale e il suo senso di sicurezza.
Alcuni giorni dopo l’occupazione militare la centrale è stata visitata da rappresentanti della Corporazione statale russa per l’energia atomica Rosatom e una decina di membri dello staff di Rosatom sono presenti ed esigono rapporti giornalieri relativi all’amministrazione, alle attività di manutenzione e riparazione, alla sicurezza e al controllo degli accessi e alla gestione del combustibile nucleare.
Grossi, dopo un incontro a Istambul il 5 maggio con Alexey Likhachev, direttore del Rosatom, per affrontare il problema del “doppio comando“, ha affermato che “la presenza di esperti russi di alto livello a Zaporizhzhya, la cui funzione non è del tutto chiara… va contro ogni possibile principio di sicurezza… c’è la possibilità di disaccordo, c’è la possibilità di attrito, la possibilità di istruzioni contraddittorie… situazioni che non si devono avere in una struttura così complessa, delicata e sofisticata come una centrale nucleare”.
Grossi il 10 maggio al Parlamento europeo ha manifestato la preoccupazione della IAEA per non poter visitare la centrale per svolgere le regolari attività di salvaguardia previste dal NPT, incluso l’inventario e il monitoraggio dei materiali fissili (circa 40 t di uranio arricchito e 30 t di plutonio). Il 17 maggio Grossi ha informato di star preparando un’ispezione alla centrale: “Il problema è che sia [Russia che Ucraina] hanno concordato su una mia visita, ma chiedono che avvenga sotto le rispettive bandiere… Il formato, le modalità politiche della visita sono ancora più importanti della missione tecnica che devo svolgere“.
Il 29 aprile il Rosatom ha dichiarato di voler assumere il pieno controllo della centrale, e quindi della principale risorsa energetica dell’Ucraina. Il 19 maggio il vice primo ministro russo per le infrastrutture Marat Khusnullin, durante un’ispezione delle zone occupate per la loro integrazione nelle strutture economiche russe, ha dichiarato che l’Ucraina dovrà pagare per l’energia elettrica generata dalla centrale, altrimenti l’energia verrà fornita alla Russia (anche se non esistono ancora connessioni con la rete russa); il governo ucraino ha dichiarato tali pretese inaccettabili, aggravando le tensioni sulla centrale.
Delle altre strutture nucleari ucraine ha subito danni solo il centro di stoccaggio provvisorio dei rifiuti radioattivi di Kiev, senza dispersione radioattiva, mentre tutte le altre centrali elettronucleari funzionano regolarmente.
Reattori nucleari: regole in tempo di guerra
Dalla metà del secolo XIX la comunità internazionale ha iniziato a creare un corpus di norme internazionali per regolare la conduzione dei conflitti armati, al fine di ridurre le sofferenze e i danni delle popolazioni coinvolte; il diritto umanitario così creato cerca di garantire il livello massimale dei diritti umani possibile nel contesto della situazione bellica.
I principi cardinali del diritto umanitario internazionale sono quelli di distinzione e di proporzionalità; in base al primo, chi lancia un attacco deve prendere tutte le possibili precauzioni per assicurarsi che gli obiettivi attaccati non siano né persone né oggetti civili, in modo da risparmiare il più possibile queste ultime due categorie. Una volta poi accertato il carattere militare del bersaglio, il principio di proporzionalità richiede che si dovrà considerare se le morti, i danni a civili o loro oggetti, che ci si aspetta come danno collaterale, risultino eccessivi, e quindi sproporzionati, rispetto al previsto vantaggio militare concreto e diretto.
Oltre alla protezione della popolazione e dei suoi beni, ci sono nel diritto umanitario internazionale specifici gruppi e oggetti che beneficiano di una protezione speciale a causa della loro importanza o del loro potenziale pericolo. Questo vale per i beni culturali, edifici di culto, strutture e personale medico, ma anche appunto per le centrali nucleari.
Iniziatore di quest’ultima protezione è stato il Comitato internazionale della croce rossa (ICRC), che nel 1956 introdusse nella bozza delle “regole per limitare i danni alla popolazione civile in tempo di guerra” un articolo per la protezione speciale di installazioni “contenenti forze pericolose”, inizialmente dighe e sbarramenti idraulici, esteso a includere impianti elettronucleari. Dopo lunghe discussioni, l’8 giugno 1977 la Conferenza diplomatica ad hoc giunse ad approvare per consenso unanime i protocolli addizionali I e II alle Convenzioni di Ginevra del 18 agosto 1949, che includono la protezione di impianti nucleari.
L’articolo 56 del Protocollo I afferma:
1. Le opere o installazioni che racchiudono forze pericolose, cioè le dighe di protezione o di ritenuta e le centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, non saranno oggetto di attacchi, anche se costituiscono obiettivi militari, se tali attacchi possono provocare la liberazione di dette forze e causare, di conseguenza, gravi perdite alla popolazione civile. Gli altri obiettivi militari situati su o in prossimità didette opere o installazioni non saranno oggetto di attacchi, se questi possono provocare la liberazione di forze pericolose e, di conseguenza, causare gravi perdite alla popolazione civile.
2. La protezione speciale contro gli attacchi prevista dal paragrafo 1 cesserà: nei riguardi delle centrali nucleari per la produzione di energia elettrica, soltanto nel caso in cui esse forniscano corrente elettrica per l’appoggio regolare, importante e diretto a operazioni militari, e se tali attacchi sono il solo mezzo pratico per porre fine a detto appoggio.
L’articolo 49 precisa in che senso vada compreso il termine “attacco”:
1. Con l’espressione “attacchi” si intendono gli atti di violenza contro l’avversario, siano tali atti compiuti a scopo di offesa o di difesa. 2. Le disposizioni del presente Protocollo concernenti gli attacchi si applicheranno a tutti gli attacchi, quale che sia il territorio su cui essi si svolgono, incluso il territorio nazionale appartenente ad una Parte in conflitto, ma che si trovi sotto il controllo di una Parte avversaria.
Analoga protezione è garantita dall’articolo 15 del Protocollo II, riguardante conflitti non-internazionali, rilevante quindi nella presente guerra per la partecipazione a fianco della Russia di truppe delle autoproclamate Repubbliche popolari di Donetsk e Luhansk.
Va osservato che la specificazione delle opere con “forze pericolose” esclude dalla protezione importanti installazioni, in particolare i reattori di ricerca e i depositi di materiale esausto, che pure possono contenere notevoli quantità di materiale altamente radioattivo. L’esclusione dei reattori di ricerca è particolarmente grave, dato che essi sono per lo più localizzati all’interno, o in prossimità, dei centri abitati (mentre le centrali elettronucleari sono abitualmente create in posti isolati) e quindi la loro distruzione può avere un impatto immediato sulla popolazione.
Una protezione di tutti gli impianti nucleari fu discussa già alla fine degli anni ’70 nell’ambito dei negoziati sulle armi radiologiche, ma senza risultati. La necessità di un accordo internazionale per vietare attacchi armati contro ogni impianto nucleare è stata ribadita nel 1987 dalla Conferenza Generale della AIEA.
Va osservato che gli impianti nucleari non militari, come tutte le strutture civili, sono comunque protetti dall’articolo 52 del Protocollo I:
1. Protezione generale dei beni di carattere civile. I beni di carattere civile non dovranno essere oggetto di attacchi né di rappresaglie. Sono beni di carattere civile tutti i beni che non sono obiettivi militari ai sensi del paragrafo 2. 2. Gli attacchi dovranno essere strettamente limitati agli obiettivi militari. Per quanto riguarda i beni, gli obiettivi militari sono limitati ai beni che per loro natura, ubicazione, destinazione o impiego contribuiscono effettivamente all’azione militare, e la cui distruzione totale o parziale, conquista o neutralizzazione offre, nel caso concreto, un vantaggio militare preciso.
Il protocollo I ha 174 paesi parte; Iran, Pakistan e gli USA lo hanno firmato ma non ratificato; la Corea Nord, India, Israele, Turchia e alcuni paesi dell’Asia meridionale non l’hanno firmato. Sia l’Ucraina che la Russia ne sono parte; la Russia il 23 ottobre 2019 ha informato la Svizzera, depositaria della Convenzione, di non riconoscere la competenza della commissione internazionale prevista per la verifica e chiarificazione di possibili eventi.
La commissione internazionale di giuristi incaricata nel 1995 dall’ICRC di individuare le norme umanitarie consuetudinarie, ossia quelle divenute vincolanti non grazie all’emanazione formale da parte del legislatore, ma in seguito alla lunga applicazione pratica di principi radicati nel senso comune della giustizia, ha riconosciuto nel 2005 (Regola 42) che Particolare attenzione deve essere prestata se vengono attaccate opere e impianti contenenti forze pericolose, vale a dire dighe di protezione o di ritenuta, e stazioni nucleari per la generazione di energia elettrica e altre installazioni situate in corrispondenza o nelle loro vicinanze, al fine di evitare il rilascio di forze pericolose e conseguenti gravi perdite tra la popolazione civile.
La natura consuetudinaria della Norma ne impone il rispetto universale da ogni paese, indipendentemente dalla partecipazione al Protocollo I. Molti paesi hanno rincorporato la regola 42 nella giurisprudenza nazionale e nei manuali militari; in particolare la Russia nel suo manuale militare del 1990 e nelle “regole per l’applicazione della legislazione internazionale umanitaria” del 2001. Anche alcune delle forze armate americane, in particolare la marina, considerano il rispetto della Norma, anche se soggetto alla prioritaria “necessità militare”.
Il 2 marzo 2022, in una riunione del Consiglio dei governatori della AIEA, il Direttore Generale ha delineato sette pilastri indispensabili per garantire la sicurezza nucleare nella presente situazione in Ucraina:
1. L’integrità fisica degli impianti — che si tratti di reattori,bacini di combustibile o depositi di rifiuti radioattivi — deve essere mantenuta;
2. Tutti isistemi e le apparecchiature di sicurezza e protezione devono essere sempre perfettamente funzionanti;
3. Il personale operativo deve essere in grado di adempiere ai propri doveri di sicurezza e protezione e avere la capacità di prendere decisioni libere da pressioni indebite;
4. Deve esserci un’alimentazione elettrica sicura dalla rete esterna per tutti i siti nucleari;
5.Devono esserci catene logistiche di approvvigionamento e trasporti ininterrotti da e peri siti;
6. Devono esserci efficaci sistemi di monitoraggio delle radiazioni in loco e fuori sede e misure di preparazione e risposta alle emergenze;
7. Devono esserci comunicazioni affidabili con l’autorità di regolamentazione e altri soggetti.
È molto arduo esprimere giudizi sul rispetto delle norme umanitarie in guerra, che vanno lasciati a esperti di diritto internazionale e, se coinvolta, alla Corte penale internazionale, una volta disponibile tutta la documentazione rilevante. Tuttavia il caso specifico appare così delimitato che alcuni fatti sembrano evidenti a un osservatore ingenuo.
Gli attacchi ad Al Tuwaitha, Busher e al-Kubar non si configurano come violazione dell’articolo 56 del Protocollo I essendo stati condotti contro reattori di ricerca o impianti elettronucleari ancora in costruzione; inoltre alcuni dei paesi attaccanti non erano parte del Protocollo. Sono comunque violazioni dell’articolo 52, in quanto strutture civili. Gli USA si erano comunque premuniti, inviando all’inizio della guerra del golfo un rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU in cui si dichiaravano tutti gli impianti nucleari iracheni obiettivi legittimi di attacco.
Venendo alla presente situazione in Ucraina, gli attacchi a Kharkiv e Zaporizhzhya, le interruzioni delle comunicazioni, delle connessioni elettriche e il trattamento del personale a Chernobyl e Zaporizhzhya violano vari dei 7 pilastri di sicurezza decisi dal Consiglio dei governatori della IAEA. Il caso più grave è chiaramente l’attacco armato alla centrale di Zaporizhzhya, che appare un’esplicita violazione del Protocollo I e della Norma 42, oltre alle stesse regole militari della Russia.
Fortunatamente il coinvolgimento delle strutture nucleari non ha prodotto finora vittime o contaminazione radioattiva e quindi appare un danno marginale in una guerra sempre più cruenta, indiscriminata e distruttiva, che presenta gravi violazioni del diritto umanitario e la distruzione di importanti beni culturali, luoghi di culto, ospedali e scuole. Tuttavia le installazioni nucleari racchiudono “forze pericolose” di tale natura che richiedono un’attenzione particolare e continua, specie un una guerra che sembra non dare adito a speranze di una risoluzione entro breve tempo.
ENGLISH
On the morning of February 24th at 6:41 am the Accident and Emergency Center of the International Atomic Energy Agency (IAEA) was informed by the Ukrainian State Inspectorate for Nuclear Regulatory (SNRIU) of the imposition of martial law on the country and an alert for the Chernobyl nuclear site, occupied by Russian troops. The communication took place on the basis of the Convention on the Early Notification of a Nuclear Accident of 26 September 1986.
The essential element of the Convention is the obligation for the state in which a nuclear accident occurs to immediately notify the states that are or could be physically involved, directly or through the IAEA. Since "nuclear accident" means any event that involves, or may involve, the international transboundary release of radioactive materials, the proximity of the site with Belarus and the possibility of military operations involving radioactive emissions have motivated the complaint to the IAEA by the SNRIU. The IAEA informed the various countries through the specific communication system for emergencies and activated the structures responsible for managing nuclear emergencies in order to keep the various Ukrainian nuclear plants under control.
On March 4, Ukraine informed the IAEA that Russian forces had taken control of the Zaporizhzhya nuclear complex, the largest in Europe, comprising 6 reactors with a total power of 5700 MWt. On 6 March, the SNRIU reported to the IAEA of a heavy shelling of the installation of the neutron source of Kharkiv's KIRP, with significant damage.
The IAEA conducted two missions (March 29-31 and April 25-28) to Ukraine led by Director General Rafael Mariano Grossi to examine the situation and set up the assistance program to reduce the risks of serious nuclear accidents. The IAEA produces regular updates on the state of the country's nuclear facilities online and on 10 May issued a report on Nuclearsafety, securityandsafeguardsinUkaine.
Ukrainian nuclear plants
Ukraine has extensive experience in various aspects of civilian nuclear technology; operates 4 nuclear power plants with 15 reactors located in 2 power plants in Volhynia (Khmelnytskyy with 2 reactors and Rivne with 4 reactors) and 2 in southern Ukraine (Central in southern Ukraine near Yuzhnoukrainsk with 3 reactors and Zaporizhzhya in Enerhodar with 6 reactors ) for a total power of over 13 GWe, which in 2020 provided 50% of the national electricity requirement. Two more new reactors are under construction in Khmelnytskyy. All reactors are pressurized water (PWR), which serves as both moderator and coolant, of the Russian-built VVER-V type and use slightly enriched uranium (<4.4%).
It should be noted that these reactors are extremely safer than the RBMK reactors active at the time in Chernobyl; their reinforced concrete buildings are capable of withstanding even high-powered bullets and warheads, which are not specific for anti-bunker penetrations; even the breakdown of the building cannot lead to damage to the reactor core, enclosed in a pressure vessel of stainless steel embedded in concrete.
The greatest danger may come from the self-destruction of the reactor due to the interruption of cooling (as happened in Fukushima), following the destruction of the coolant system or the failure to power the pumps. It should be remembered that at shutdown the reactors retain a residual power, which typically reaches 6% of the operating power (almost 200 MW for 1 GWe plants), to be reduced within a few days to the minimum values of the "cold shutdown" configuration ”, Only if the refrigeration continues regularly.
In Chernobyl, the 4 1GWe graphite-moderated and water-cooled RBMK reactors are being de-commissioned: unit 4 which exploded in 1986 has a safe container since 2017; units 1 (shut down in 1997), 2 (closed after a fire in 1991) and 3 (shut down in 2000) are securing themselves (by 2028), their spent fissile material will be removed from storage pools by 2046 ; the destruction of the facilities is planned for 2064. The site includes two interim spent fuel storage facilities (ISF-1 and ISF-2) and a variety of waste management facilities. A central spent fuel storage facility has been built in Chernobyl that will receive and store spent fuel from the reactors of the Rivne, Khmelnytskyy and southern Ukraine nuclear power plants.
Within the wider Chernobyl Exclusion Zone there are numerous radioactive waste disposal plants and "cemeteries" of the means used to manage the 1986 disaster and made radioactive.
The National Scientific Center of the Kharkiv Institute of Physics and Technology (KIPT) operates a subcritical facility powered by a 100 MeV electron linac to generate intense neutron beams for a variety of medical and technological research and applications. The nuclear material present is always subcritical and the radioactive inventory is limited.
In Dnipro, Kharkiv, Kiev, Odessa and Lviv there are also plants (radon facilities) specialized in the management and temporary storage of radioactive waste from the use of radiation sources in medicine, science and various Ukrainian industries.
Reactors in the crosshairs: historical precedents
Aside from a few terrorist actions, previously nuclear reactors have been deliberate targets of attacks only in Middle Eastern conflicts, mostly justified as actions to prevent the development of military nuclear programs.
The first attack was carried out by Iran on 30 September 1980 against the Iraqi nuclear research center of Al Tuwaitha, 18 km south of Baghdad, where there was, alongside various research and technology laboratories, a Russian fast neutron research reactor. IRT-5000 (Tammuz 14) of 5MWt with 80% enriched fuel, and France was building a 40 MWt light water reactor (Osirak – Tammuz 1) for scientific research and a small ISIS reactor (Tammuz 2) of 500 kWt. All nuclear facilities in Al Tuwaitha were subject to IAEA safeguards, Iraq being a member of the Non-Proliferation Treaty (NPT). The Iranian "burning sword" operation, conducted in the context of the Iraq-Iran war, aimed at the destruction of Osirak before its completion, but produced only limited damage, which was repaired by French technicians.
The two reactors Tammuz 1 and Tammuz 2 were instead damaged beyond repair on June 7, 1981 in the surprise Israeli air attack (Operation "Opera" or "Babylon"), motivated by Israeli policy to prevent the possibility that any Arab country acquires the nuclear weapon. In reality, the Osirak reactor, powered by 18% enriched uranium and subjected to French control in addition to the safeguards of the IAEA, could not have been used for the production of plutonium and therefore only of marginal importance for a military program (which instead Iraq pursued elsewhere in secret). Iraq later acquired a new ISIS reactor for various scientific applications, which it again called Tammuz 2.
The Israeli attack strongly affected the entire international community. Both the Security Council and the UN General Assembly condemned the action unanimously on the basis of Article 2 (4) of the United Nations Charter: All members refrain in their international relations from the threat or use of force against the territorial integrity or political independence of any state, or in any other way incompatible with the purposes of the United Nations. The IAEA also condemned the attack and discussed the possibility of suspending its assistance to Israel’s civilian nuclear activities.
Also in response to the Iranian attack on Al Tuwaitha, Iraq during the war conducted seven air strikes against the two reactors under construction at Iran’s Bushehr nuclear power center from 1984 to 1988, damaging them significantly.
All the attacks on Al Tuwaitha and Bushehr did not produce radioactive contamination, as nuclear fuel was not yet installed in the reactors involved.
The second group of attacks on reactors occurred during the Gulf War (1990–91) by the US and Iraq against functioning targets, and therefore potential sources of radioactive contamination, unlike the previous decade.
As part of the "Package Q" operation on January 19, 1991, American air forces heavily attacked the Al Tuwaitha center, destroying the two operational research reactors IRT-5000 and Tammuz 2 as well as nuclear physics and radiochemical laboratories, manufacturing facilities of fuel, the waste treatment station and storage of nuclear materials. According to General Norman Schwartzkopf, following the action, the country's ability to develop nuclear weapons had suffered "a considerable setback, if not a total setback", while in reality the Al Tuwaitha facilities were for research civilian and covered by IAEA safeguards; the allies failed to locate Iraq's clandestine nuclear weapons facilities during the Gulf War, which remained largely intact.
On February 17, 1991, Iraq launched 6 Scud missiles at the Israeli Negev Nuclear Research Center which includes the Dimona natural uranium and heavy water research reactor, used for the production of plutonium and tritium for Israeli nuclear weapons; the missiles did not reach their target and the attack had no effect; according to Israeli experts, the reactor's reinforced concrete dome would have resisted even if hit by the Scuds; on the other hand, a radioactive emergency could have arisen if the depots of spent nuclear material had been hit, which did not happen.
The last attack, before the war in Ukraine, on a (supposed) nuclear reactor under construction was carried out on 6 September 2007 by Israel with the bombing of the Syrian al-Kubar (or Dair Alzour) plant near Deir ez-Zor, in eastern Syria. Only on March 22, 2018, Israel officially claimed the operation ("Outside the box" or "Orchard") carried out by an aerial flock with the aim of preventing the construction of a nuclear reactor acquired by North Korea, for a clandestine nuclear program . Syria has always denied that the structure was intended for a nuclear reactor, but the IAEA on April 28, 2010 concluded on the basis of the analyzes carried out that the site was indeed intended for a nuclear reactor.
Radiological consequences
Of all these cases, the most serious was the American attack on the functioning IRT-5000 reactor in 1991, the only one involving the dispersion of radioactive material and consequent radiological contamination of the area. Initially any risk of radioactive contamination was ruled out, and Iraq, despite the IAEA's insistence on a report, for months avoided commenting on the event. In a letter dated April 9, 1991, the Iraqi foreign minister informed the IAEA that at the beginning of the coalition attacks (January 16-17) much of the nuclear material subject to IAEA safeguards had been moved to a more safe. However, part of the uranium enriched to 80% of the IRT-5000 and of the fuel of the Tammuz-2 reactor (enriched to 93%) was still present in the two reactors at the time of their destruction.
Only at the end of April 2003 during the "Iraqi Freedom" operation was a significant radioactive leakage documented in Al Tuwaitha. At the time, local residents had ransacked the site creating widespread contamination in neighboring villages as well.
In 2006, a program of dismantling and reclamation of the site by the Iraqi government began with decisive American support and the collaboration of the IAEA and France, Italy, the United Kingdom and Ukraine. In 2005, extensive prospecting made it possible to prepare a map of the radioactive contamination of the area and to reconstruct the functions of some destroyed sites.
In 2017 measurements were carried out at the destroyed IRT-5000 reactor to provide a complete radiological characterization and to assess the risk and dose for the workers involved in the de-commissioning of the reactor remains. Most of the samples were contaminated with the isotopes Cs-137, Co-60 and Eu-152, with a maximum concentration of activity (19.97 GBq) from the isotope Co-60. The dose measured inside the reactor body varies from 55 to 1250 mSv / h (remember that the average natural dose in Italy is 3.3 mSv / year), still (after 30 years!) Much higher than the maximum expected for personnel involved in remediation, for which the special procedures provided for by the IAEA must be operated.
At the time, the bombing of Al Tuwaitha did not provoke any significant protest or diplomatic action. The Gulf War took place under a mandate from the UN Security Council to "use every possible means to force Iraq to withdraw from Kuwait and to restore international peace and security in the area". General international hostility to Iraq and widespread consent to the destruction of its military nuclear program made the operation acceptable and there was no reporting to the UN Security Council.
Only later did international jurists begin to examine whether the operation had not gone beyond the limits of the UN mandate. Finally, the contradiction of the American operation should be noted: the US had always defended the reliability of the IAEA safeguards to guarantee compliance with the NPT. The attack on the facilities in Tuwaitha covered by the IAEA show instead that the confidence of the American government in these safeguards was not all that great.
The current situation in Chernobyl
The site was occupied by Russian forces from February 24 until March 31 last. The site is located on the northern invasion directive towards Kiev and served as a useful encampment point for Russian troops in preparation for the attack on the Ukrainian capital, and could have been a safe haven from counterattacks due to the huge amount of radioactive material still present. in the Chernobyl Exclusion Zone. Russia has motivated the occupation to the Director General of the IAEA "to prevent deliberate acts of sabotage".
Ukrainian personnel continued to manage the day-to-day operations of the various facilities, but for nearly four weeks they were unable to rotate and return to their homes.
Currently, staff shifts regularly take place according to plan.
The site's communications with the outside world, in particular with the SNRIU and the IAEA, were interrupted during the occupation and information on the situation was received on an occasional and informal basis. Ukraine has now gradually restored normal control of nuclear and radioactive safety. However, the general situation in the area remains difficult due to the destroyed bridges and demining activities.
The online radiation monitoring system via the IRMIS International Information System was discontinued on 24 February. Some measurements made locally by personnel have indicated an increase in the gamma dose rate attributed to land displacements (in which radioactive materials from the 1986 disaster were buried) due to maneuvering of heavy machinery and the creation of military posts. On the basis of these data, the IAEA has estimated that in any case the radiation levels have remained within the operating range measured historically and therefore of no danger to the public.
From 9 to 14 March the site was completely devoid of external electricity supply. Emergency diesel generators went into operation to power systems important to the safety of the facilities, particularly storage facilities. Disconnection from the grid did not have a critical impact, as the volume of cooling water for spent fuel was sufficient to maintain heat removal without the need for pumps, as fuel rods have been cooling and cooling for over 20 years. a significant part of their radioactivity has now ceased. However, some important functions have not been maintained, such as radiation monitoring, ventilation systems and normal lighting.
The premises of the analytical laboratories for radiation monitoring were devastated and instruments stolen, broken or otherwise disabled; the associated information and communication center was looted, with the destruction of the lines for the automatic communication of measurements.
Ukraine told the IAEA that the Chernobyl Exclusion Zone is gradually recovering from Russian military actions. The IAEA and Ukrainian experts are preparing a complementary fact-finding mission to assess the safety and security situation of all the facilities and activities of the site.
The situation at KIPT
Following the Russian invasion, the subcritical structure of the KIPT neutron source was placed in "long-term shutdown mode" in Kharkiv on 24 February.
On 6 March, the installation was subjected to heavy bombing with damage to the main building of the plant, the electrical substation and the air conditioning systems. Subsequently, the power supply went out due to damage to the power lines in the area. However, the events did not give rise to any radiological consequences and there was no loss of the fundamental safety functions for the confinement of radioactive materials.
The situation in Zaporizhzhya
In the progress of the occupation of the eastern territories of Ukraine, on March 4 Russian forces reached the site of the plant, and imposed military control there. In military operations, the facility's training center - located a few hundred meters from the reactor units - was hit by a bullet, generating a localized fire; The buildings of the laboratory and an administrative facility were also damaged, as well as the transformer of reactor 6, which was repaired a few days later. At that moment Unit 1 was shut down for maintenance, Units 2 and 3 were in controlled shutdown, Unit 4 was operating at 60% power and Units 5 and 6 were kept "in reserve" in low power mode.
Ukraine has assured the IAEA on the physical integrity of the plant's six reactors and safety systems; the nuclear power plant continued to be operated by its regular staff, the radiation monitoring systems at the site remained fully functional and there was no release of radioactive material. The spent fuel pools functioned normally and the dry storage facility also suffered no damage. Currently (May 26) units 1, 2 and 4 are working at full power and the other 3 are disconnected from the grid.
A worrying issue was the war impact on the power lines that connect the nuclear power plant to the grid. Two of the four high voltage (750 kV) power lines were damaged in the early days of Russian control and for a time the plant also lost a third line. The IAEA assesses that the plant is able to operate safely with the lines available, given that the site is equipped with 20 emergency diesel generators, capable of providing the necessary power for the safe operation of the reactors in the event of external power failure. However, the loss of two power lines reduces the safety of the structure in depth.
Institutional communication between the site and the SNRIU is severely limited with many broken or unreliable communication lines based on cell phones and email; Ukrainian regulatory inspections of on-site facilities were not possible.
The main problem concerns the operation of the plant under Russian military control: the Ukrainian management and personnel continued to operate the plant regularly with the planned shifts, but the situation had a negative impact on the morale and serenity of the staff and the his sense of security.
A few days after the military occupation, the power plant was visited by representatives of the Russian State Atomic Energy Corporation Rosatom and a dozen Rosatom staff members are present and demand daily reports on administration, maintenance and repair activities. , security and access control and nuclear fuel management.
Grossi, after a meeting in Istanbul on May 5 with Alexey Likhachev, director of Rosatom, to address the problem of "double command", stated that "the presence of high-level Russian experts in Zaporizhzhya, whose function is not entirely clear ... it goes against every possible principle of safety ... there is the possibility of disagreement, there is the possibility of friction, the possibility of contradicting instructions ... situations that must not occur in a structure as complex, delicate and sophisticated as a central nuclear".
Grossi on 10 May in the European Parliament expressed the concern of the IAEA for not being able to visit the plant to carry out the regular safeguard activities provided for by the NPT, including the inventory and monitoring of fissile materials (about 40 t of enriched uranium and 30 t of plutonium). On May 17, Grossi informed that he was preparing an inspection of the plant: “The problem is that both [Russia and Ukraine] have agreed on my visit, but they ask that it be done under their respective flags… The format, the political modalities of the visit they are even more important than the technical mission I have to carry out “.
On April 29, Rosatom declared its intention to take full control of the power plant, and therefore of Ukraine's main energy resource. On May 19, Russian Deputy Prime Minister for Infrastructure Marat Khusnullin, during an inspection of the occupied areas for their integration into Russian economic structures, stated that Ukraine will have to pay for the electricity generated by the plant, otherwise the energy will be supplied to Russia (even if there are no connections with the Russian grid yet); the Ukrainian government has declared these claims unacceptable, aggravating tensions over the power plant.
Of the other Ukrainian nuclear facilities, only the interim storage center for radioactive waste in Kiev suffered damage, without radioactive dispersion, while all the other nuclear power plants are functioning normally.
Nuclear Reactors: Wartime Rules
From the mid-nineteenth century the international community began to create a body of international norms to regulate the conduct of armed conflicts, in order to reduce the suffering and damage of the populations involved; the humanitarian law thus created seeks to guarantee the maximum level of human rights possible in the context of the war situation.
The cardinal principles of international humanitarian law are those of distinction and proportionality; according to the first, whoever launches an attack must take all possible precautions to ensure that the targets attacked are neither people nor civilian objects, in order to spare the latter two categories as much as possible. Once the military character of the target has been ascertained, the principle of proportionality requires that it is necessary to consider whether the deaths, damage to civilians or their objects, which are expected as collateral damage, are excessive, and therefore disproportionate, compared to the expected advantage. concrete and direct military.
In addition to the protection of the population and its property, there are specific groups and objects in international humanitarian law that benefit from special protection because of their importance or potential danger. This applies to cultural heritage, religious buildings, structures and medical personnel, but also precisely to nuclear power plants.
The initiator of this latter protection was the International Committee of the Red Cross (ICRC), which in 1956 introduced in the draft of the "rules to limit damage to the civilian population in wartime" an article for the special protection of installations "containing forces dangerous ", initially dams and hydraulic barriers, extended to include nuclear power plants. After lengthy discussions, on June 8, 1977 the ad hoc diplomatic conference came to approve by unanimous consensus the Additional Protocols I and II to the Geneva Conventions of August 18, 1949, which include the protection of nuclear facilities.
Article 56 of Protocol I states:
1. Works or installations that contain dangerous forces, that is, protection or restraint dams and nuclear power plants, will not be subject to attacks, even if they are military targets, if such attacks could result in the release of these forces and consequently cause serious losses to the civilian population. Other military targets located on or in the vicinity of these works or installations will not be subject to attacks if these can result in the release of dangerous forces and, consequently, cause serious losses to the civilian population.
2. The special protection against attacks provided for in paragraph 1 shall cease: in respect of nuclear power stations for the production of electricity, only if they supply electricity for regular, important and direct support for military operations, and if such attacks are the only practical means of ending such support.
Article 49 specifies in what sense the term "attack" should be understood:
1. The expression "attacks" means acts of violence against the adversary, whether these acts are committed for offensive or defensive purposes. 2. The provisions of this Protocol relating to attacks shall apply to all attacks, regardless of the territory in which they take place, including the national territory belonging to a Party to the conflict, but which is under the control of an opposing Party. .
Similar protection is guaranteed by Article 15 of Protocol II, concerning non-international conflicts, therefore relevant in the present war for the participation on the side of Russia of troops of the self-proclaimed People's Republics of Donetsk and Luhansk.
It should be noted that the specification of works with "dangerous forces" excludes from the protection important installations, in particular research reactors and deposits of exhausted material, which may also contain considerable quantities of highly radioactive material. The exclusion of research reactors is particularly serious, given that they are mostly located inside, or near, inhabited centers (while nuclear power plants are usually created in isolated places) and therefore their destruction can have a immediate impact on the population.
A protection of all nuclear facilities was discussed as early as the end of the 1970s in the context of negotiations on radiological weapons, but to no avail. The need for an international agreement to ban armed attacks on any nuclear facility was reiterated in 1987 by the IAEA General Conference.
It should be noted that non-military nuclear plants, like all civilian structures, are in any case protected by Article 52 of Protocol I:
1. General protection of civilian assets. Civilian assets must not be subject to attacks or reprisals. Goods of a civilian character are all goods which are not military objectives within the meaning of paragraph 2. 2. Attacks shall be strictly limited to military objectives. With regard to assets, military objectives are limited to assets which by their nature, location, destination or use actually contribute to the military action, and whose total or partial destruction, conquest or neutralization offers, in the specific case, a military advantage. accurate.
Protocol I has 174 party countries; Iran, Pakistan and the US have signed but not ratified it; North Korea, India, Israel, Turkey and some South Asian countries have not signed it. Both Ukraine and Russia are part of it; Russia on 23 October 2019 informed Switzerland, depositary of the Convention, that it did not recognize the competence of the international commission envisaged for the verification and clarification of possible events.
The international commission of jurists commissioned in 1995 by the ICRC to identify customary humanitarian norms, i.e. those that have become binding not thanks to the formal enactment by the legislator, but following the long practical application of principles rooted in the common sense of justice, has recognized in 2005 (Rule 42) that Particular attention must be paid if works and installations containing dangerous forces are attacked, i.e. protection or restraint dams, and nuclear power generation stations and other installations located at or near their vicinity, in order to avoid the release of dangerous forces and consequent serious losses among the civilian population.
The customary nature of the Norm requires universal respect for it by every country, regardless of participation in Protocol I. Many countries have reincorporated Rule 42 into national jurisprudence and military manuals; in particular Russia in its military manual of 1990 and in the "rules for the application of international humanitarian legislation" of 2001. Even some of the American armed forces, in particular the navy, consider compliance with the standard, even if subject to priority " military necessity ".
On March 2, 2022, at a meeting of the IAEA Board of Governors, the Director-General outlined seven essential pillars to ensure nuclear safety in the present situation in Ukraine:
1. The physical integrity of the plants - whether they are reactors, fuel basins or radioactive waste deposits - must be maintained;
2. All safety and protection systems and equipment must always be in perfect working order;
3. Operational personnel must be able to fulfill their safety and security duties and have the ability to make decisions free from undue pressure;
4. There must be a safe power supply from the external network for all nuclear sites;
5. There must be uninterrupted supply and transport logistics chains to and from sites;
6. There must be effective on-site and off-site radiation monitoring systems and emergency preparedness and response measures;
7. There must be reliable communications with the regulatory authority and other entities.
It is very difficult to express judgments on compliance with humanitarian norms in war, which must be left to experts in international law and, if involved, to the International Criminal Court, once all relevant documentation is available. However, the specific case appears so limited that some facts seem obvious to a naive observer.
The attacks on Al Tuwaitha, Busher and al-Kubar do not constitute a violation of Article 56 of Protocol I having been carried out against research reactors or nuclear power plants still under construction; furthermore, some of the attacking countries were not party to the Protocol. However, they are violations of Article 52, as they are civil structures. The US had taken precautions, however, by sending a report to the UN Security Council at the start of the Gulf War stating that all Iraqi nuclear plants were legitimate targets of attack.
Coming to the present situation in Ukraine, the attacks in Kharkiv and Zaporizhzhya, the interruptions in communications, electrical connections and the treatment of personnel in Chernobyl and Zaporizhzhya violate several of the 7 security pillars decided by the IAEA Board of Governors. The most serious case is clearly the armed attack on the Zaporizhzhya plant, which appears to be an explicit violation of Protocol I and Rule 42, as well as Russia's own military rules.
Fortunately, the involvement of nuclear facilities has not so far produced victims or radioactive contamination and therefore marginal damage appears in an increasingly bloody, indiscriminate and destructive war, which presents serious violations of humanitarian law and the destruction of important cultural assets, places of worship, hospitals and schools. However, nuclear installations contain "dangerous forces" of this nature that require particular and continuous attention, especially in a war that does not seem to give rise to hopes of a resolution within a short time.
Da:
https://www.galileonet.it/sicurezza-nucleare-ucraina/?utm_source=mailpoet&utm_medium=email&utm_campaign=30+maggio+Zaporiza
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