Salute cuore-cervello: una strada a doppio senso / Heart-Brain Health: A Two-Way Street

 Salute cuore-cervello: una strada a doppio sensoHeart-Brain Health: A Two-Way Street


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa


La salute del sistema cardiovascolare è legata alla salute del cervello e viceversa.

Per secoli, il folklore di ogni angolo del globo ha sostenuto che lo stato psicologico di una persona può influenzare la sua salute fisica, a volte in modo improvviso e fatale. I racconti apocrifi di morte per paura o crepacuore abbondano, dal racconto biblico di Anania e Saffira entrambi senza vita dopo essere stati accusati di aver mentito allo Spirito Santo, al Lord Montecchi di Romeo e Giulietta che racconta come il dolore di sua moglie per l'esilio di mio figlio le abbia fermato il respiro."

Il primo scienziato moderno ad esplorare questo fenomeno fu Walter Bradford Cannon, classe 1900, che era presidente del Dipartimento di Fisiologia dell'HMS. Coniò il termine “lotta o fuga” nel 1915 e nel 1942 pubblicò un articolo su American Anthropologist in cui presentava resoconti della cosiddetta morte voodoo raccontata da esploratori in Sud America, Africa, Australia, Nuova Zelanda e Caraibi a partire dal 1500. Cannon ha esaminato diversi casi in cui un individuo apparentemente sano e vivace ha iniziato a languire dopo essere stato accusato di misfatti da un potente leader tribale ed è morto entro uno o quattro giorni. Ha anche notato un incidente in cui uno sciamano si è avvicinato al letto di un giovane di nome Rob e ha detto, oops, era stato tutto un errore. “Il sollievo”, scrive Cannon, “è stato quasi istantaneo. Quella sera Rob era di nuovo al lavoro, di nuovo abbastanza felice ed in pieno possesso della sua forza fisica.

Cannon propose, iconoclasticamente, che questi incidenti non fossero opera della magia oscura come si supponeva, ma fossero invece il risultato del “complesso simpatico-surrenale” che restringeva i vasi sanguigni in risposta ad uno “stress emotivo scioccante”. Ha sottolineato che verso "l'ultimo sussulto della vittima" si potrebbero trovare bassa pressione sanguigna, polso rapido e debole e pelle umida, tutti associati all'insufficienza cardiaca.

Collegato alla salute ed alla malattia

Non c'è più alcun dubbio che Cannon avesse ragione: i nostri pensieri e le nostre emozioni possono influenzare la salute del nostro cuore, e ciò che accade al cuore, allo stesso modo, può influenzare la salute del cervello. Una solida ricerca ora collega il disturbo da stress post-traumatico, l’ansia, la depressione, il morbo di Parkinson, il disturbo bipolare e la schizofrenia all’aumento del rischio di malattie cardiovascolari (CVD) e gli studi associano la CVD a disturbi cognitivi, danni alla sostanza bianca, malattie cerebrovascolari e demenza. Secondo l'Associazione Alzheimer, gli studi post-mortem mostrano che ben otto pazienti su dieci affetti da Alzheimer hanno anche problemi cardiaci.

Queste comorbidità non rappresentano solo una patologia interessante da districare. L’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce le malattie cardiache la prima causa di morte in tutto il mondo e la depressione “il maggior contributore alla disabilità globale”. Nei soli Stati Uniti, le malattie croniche costano 37mila miliardi di dollari l’anno, ovvero quasi il 20% del PIL nazionale, in spese dirette e perdita di produttività. "Sia la salute mentale che le malattie cardiache rappresentano una quota importante di questo", afferma Jill Goldstein, professoressa di psichiatria e medicina dell'HMS e fondatrice e direttrice esecutiva dell'Innovation Center on Sex Differences in Medicine presso il Massachusetts General Hospital. “E quando si verificano contemporaneamente, il costo aumenta ulteriormente. Questi disturbi sono anche importanti fattori di rischio per il morbo di Alzheimer e per l'invecchiamento del cervello", aggiungendo: "Quindi, se non li prendiamo di mira tempestivamente per prevenire ciò che sta accadendo alla nostra popolazione che invecchia, potrebbero danneggiare la nostra economia".

Sai che sei nervoso quando ti vengono le farfalle nello stomaco, ma è il cervello a creare le farfalle o sono già lì e poi le percepisci?

Ottanta anni dopo che Cannon ipotizzò per la prima volta l’esistenza di una connessione cervello-cuore, la scienza rimane agli inizi, in gran parte perché lo scetticismo è rimasto per decenni. Nel 1985 sul New England Journal of Medicine, l’allora direttrice Marcia Angell, ora membro corrispondente della facoltà del Dipartimento di Salute Globale e Medicina Sociale presso l’Istituto Blavatnik dell’HMS, scrisse un editoriale notando che la ricerca non aveva mostrato un legame tra psicologia e fisiologia, anche se riconosceva che “la maggior parte degli americani” credeva in una di queste. "Fondamentalmente ha detto: non sarebbe fantastico se fosse vero, ma non è così", afferma Laura Kubzansky, professoressa di scienze comportamentali presso la Harvard TH Chan School of Public Health che ha studiato il collegamento. “Puoi trovare argomenti come questo negli anni 2000. Parte del motivo è che storicamente è stato difficile ottenere finanziamenti per la ricerca, il che significava che gli studi non erano molto buoni. Le risorse sono ancora insufficienti rispetto a molti argomenti."

Termini come cardioneurologia, neurocardiologia e psicocardiologia sono sorti tutti negli anni '60 per descrivere aspetti di questo campo interdisciplinare emergente, ma anche oggi, nessun importante organismo medico - né i Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie, il National Institutes of Health, o l'American Institute of Health Heart Association: elenca i problemi psicologici come un fattore di rischio per le malattie cardiovascolari. Tuttavia, la marea potrebbe lentamente cambiare; tutte e tre le organizzazioni affrontano almeno lo stress ed altri disturbi di salute mentale sui loro siti web, e nel 2021 l'AHA ha rilasciato una dichiarazione scientifica, firmata da Kubzansky ed altri tredici, affermando che il proprio stato mentale può svolgere un ruolo nella salute del cuore.

“Affinché qualcosa venga elevato allo status di fattore di rischio”, afferma Kubzansky, “devono esserci molte prove. Negli ultimi due decenni la qualità delle prove è diventata sempre più rigorosa e convincente, ed è sempre più difficile respingerle”.

Il collegamento tende anche ad essere trascurato dai medici, in parte, dice Goldstein, perché la medicina è cresciuta isolata da sistemi di organi e malattie separate. “Sebbene i medici siano specializzati, considerati tutti i progressi tecnologici in alcuni campi”, osserva, “è anche importante considerare i punti in comune tra i sistemi di organi”.

Comprendere i percorsi causali condivisi è un primo passo importante. "Il nervo vago è probabilmente il canale più studiato attraverso il quale il cuore e la mente comunicano", afferma Kubzansky.

L'autostrada del nervo vago

Tra i nervi più lunghi del corpo umano, il vago controlla le funzioni autonome come la respirazione, la frequenza cardiaca e la pressione sanguigna, nonché i riflessi come la tosse ed i comportamenti di sopravvivenza come mangiare e bere.

"Il nervo vago è un'autostrada informativa bidirezionale", afferma il neuroscienziato molecolare Stephen Liberles, professore di biologia cellulare presso l'Istituto Blavatnik dell'HMS e ricercatore dell'Howard Hughes Medical Institute. 

Ha neuroni sensoriali che portano informazioni dal corpo al cervello e neuroni motori che vanno nella direzione opposta. Liberles spiega che sebbene sappiamo che “una serie vertiginosa” di neuroni innervano essenzialmente tutti gli organi principali del corpo, per molti neuroni non è chiaro cosa avvii la comunicazione tra corpo e cervello. “Sai che sei nervoso quando ti vengono le farfalle nello stomaco”, dice, “ma è il cervello a creare le farfalle o sono già lì e poi le percepisci? Non abbiamo idea di quali neuroni nel circuito si attivino o di come inviano segnali più in profondità nel cervello”.

Liberles studia le popolazioni neurali nei nervi vaghi dei topi “con un controllo squisito” introducendo geni per proteine ​​sensibili alla luce. "Possiamo misurare con precisione il ruolo di particolari neuroni nella fisiologia e nel comportamento", afferma, "attivandoli o eliminandoli e quindi osservando la risposta". Quando si attiva un neurone specifico, l'animale si stressa? Mangia di più? La sua frequenza cardiaca aumenta?

Il problema, ovviamente, è che gli scienziati non sempre sanno con certezza cosa pensa o sente un topo, e non possono fare esperimenti simili sulle persone a causa delle questioni etiche legate alla manipolazione del genoma umano. Ma il percorso elettrico non è l’unico collegamento. I sistemi immunitario, metabolico, vascolare e ormonale mediano le interazioni tra cuore e cervello, e recentemente c’è stata anche un’esplosione di articoli sui tratti genetici condivisi dalle malattie cardiometaboliche, dalla depressione e dalle malattie cardiovascolari.

L'influenza dello stress

"Sappiamo che esistono differenze sessuali nello sviluppo del cervello e del corpo, compreso il cuore, a partire dallo sviluppo fetale", afferma Goldstein. Sebbene lo sviluppo fetale non sia deterministico, ci sono effetti durante questo periodo che possono preparare il terreno per la salute nell’arco della vita, anche se gli effetti possono variare a causa delle esperienze di vita e delle esposizioni”.

Gli studi hanno dimostrato che anche uomini e donne hanno reazioni diverse allo stress, che colpiscono il cervello e il cuore. Nelle donne, lo stress può aumentare lo squilibrio lipidico e l’aggregazione piastrinica e diminuire la regolazione del glucosio e il flusso di sangue al cuore, mentre gli uomini tendono ad avvertire maggiori picchi di pressione sanguigna, frequenza cardiaca ed ormone adrenocorticotropo, che controlla la produzione di cortisolo.

Ciò è particolarmente preoccupante perché l’84% dei residenti negli Stati Uniti che hanno risposto a un sondaggio del 2022 condotto dall’organizzazione di ricerca ValuePenguin ha riferito di sentirsi stressato “ogni settimana”, e nello stesso anno, l’American Psychological Association ha scoperto che un terzo degli esausti intervistati considerava il proprio stress "travolgente."

Antonia Seligowski, professoressa assistente di psicologia dell'HMS e direttrice del laboratorio sugli effetti neurocardiaci dello stress e dei traumi del Massachusetts General Hospital, afferma: "la ricerca è chiara che lo stress cronico e debilitante ha maggiori probabilità di provocare malattie cardiache". Il disturbo da stress post-traumatico, ad esempio, è associato a un aumento del 27% degli eventi CVD e della mortalità specifica per il cuore, secondo una meta-analisi riportata nel 2021 su JAMA Cardiology . “Quando sperimentiamo lo stress”, spiega Seligowski, “il nostro sistema nervoso simpatico innesca una risposta immunitaria che rilascia citochine nel sangue, che nel tempo infiammano le arterie e promuovono la placca che produce l’aterosclerosi, la principale causa delle malattie cardiache”.

Una foto di chi è a rischio

Lo stress può anche essere una delle ragioni delle disuguaglianze sanitarie tra le varie popolazioni degli Stati Uniti. Sebbene i tassi di mortalità per malattie cardiovascolari siano diminuiti in modo significativo negli ultimi cinquant’anni – da 1.034 a 327 su 100.000 persone – numerosi studi hanno dimostrato che le persone di colore hanno un rischio maggiore di problemi cardiaci e esiti peggiori una volta che si verificano. "Molte persone si chiedono perché", dice Kubzansky. “Lo stress può essere una delle ragioni, ma c’è un paradosso: i neri, ad esempio, possono sembrare avere maggiori problemi di salute fisica, ma sembrano avere tassi di problemi di salute mentale simili o inferiori rispetto ai bianchi, anche tenendo conto di altri fattori sociali. come il reddito o l’istruzione. Quindi sono sicuramente necessari più dati per comprendere meglio il ruolo dello stress nelle disparità sanitarie”.

Gli effetti dello stress differiscono anche in base al sesso. Le statistiche del Centro nazionale per il disturbo da stress post-traumatico mostrano che il doppio delle donne rispetto agli uomini soffrirà di questo disturbo ad un certo punto della loro vita. In parte, dice Seligowski, ciò è dovuto al fatto che “le donne sperimentano più aggressioni interpersonali, che portano a disturbi da stress post-traumatico più spesso rispetto ad altri tipi di esperienze, come ad esempio un incidente stradale”. Anche le donne sono più propense a segnalare sintomi ed a cercare cure, il che può contribuire ad un tasso di diagnosi più elevato.

La ricerca è chiara sul fatto che lo stress cronico e debilitante ha maggiori probabilità di provocare malattie cardiache.

Quasi tutti i casi di cardiomiopatia takotsubo, un indebolimento del ventricolo sinistro che pompa il sangue in individui sani che soffrono di stress improvviso, si verificano nelle donne; infatti, la ricerca indica che fino al 5% delle donne sospettate di avere un attacco di cuore in realtà hanno questo disturbo. Conosciuta anche come sindrome del cuore spezzato, takotsubo prende il nome dalla somiglianza del ventricolo sinistro rigonfio con un tipo di trappola per polpi utilizzata in Giappone, dove la malattia fu descritta per la prima volta nel 1990.

"C'è una maggiore propensione a sviluppare takotsubo se è presente un'ansia da stress preesistente o un'ansia sottostante", afferma Seligowski, che sta lavorando con un gruppo di ricerca che ha riscontrato una maggiore attività nell'amigdala, una regione del cervello coinvolta nell'elaborazione emotiva, nei pazienti con takotsubo. Il disturbo fu inizialmente implicato nella morte dell'attore Debbie Reynolds il giorno dopo che sua figlia, Carrie Fisher, morì per arresto cardiaco, sebbene il certificato di morte ufficiale di Reynolds attribuisca un ictus. La giuria è ancora incerta su Lady Montague.

La disposizione può essere fondamentale

Proprio come le farfalle nello stomaco, l'effetto dello stress è bidirezionale. "Un'area di ricerca emergente di cui sappiamo molto meno è il modo in cui gli eventi cardiaci possono provocare disturbi da stress post-traumatico", afferma Seligowski. Ma le emozioni negative sono solo una parte dell’equazione. Nel 2001, Kubzansky è stato coautore di uno dei primi studi epidemiologici in cui riportava che l’ottimismo è associato ad un ridotto rischio di sviluppare eventi cardiovascolari, tra cui angina, infarto miocardico e morte, aggiungendo questi a un lungo elenco di altri esiti clinici che sembrano essere migliorati da una prospettiva ottimistica, compreso il declino cognitivo, le malattie respiratorie, le infezioni e persino alcuni tumori.

E Kubzansky ed i suoi colleghi hanno scoperto che l’effetto di avere una visione positiva può essere ancora più forte dell’effetto negativo del pensiero pessimistico, in parte perché può aiutare a mitigare la risposta allo stress. “Gli individui ottimisti”, sottolinea lo studio, “... potrebbero sperimentare meno fattori di stress, o potrebbero avere più risorse con cui affrontare lo stress”.

Da un punto di vista clinico, perché è importante? “Passiamo molto tempo nel campo della medicina e della sanità pubblica esaminando i fattori di rischio ed i deficit”, afferma Kubzansky, “ma non altrettanto tempo guardando le risorse. Non possiamo mitigare o rimuovere tutti i fattori ambientali che possono contribuire alla malattia, ma se riusciamo ad identificare un punto di forza da aggiungere al mix, potrebbe migliorare la salute generale e ridurre il carico della malattia invece di cercare costantemente di rimettere insieme i pezzi dopo. una malattia si è già sviluppata od è stata messa in moto”. Un punto chiave per i pazienti è che l’ottimismo è ereditabile per il 25-35%, afferma Kubzansky. "Ciò significa che c'è molto spazio per modificarlo."

Fattori educativi e socioeconomici sono stati collegati ad un maggiore ottimismo; anche se questi non possono essere facilmente modificati, gli studi hanno dimostrato che un’attività fisica regolare, la consapevolezza ed una vita sociale attiva possono aiutare a coltivare una visione ottimistica – e sono nel potere di cambiamento di un individuo.

“Si tratta di correlazioni”, sottolinea Kubzansky, “quindi è difficile dire con certezza se siano precursori dell’ottimismo od i suoi risultati”. Una maggiore connessione sociale, ad esempio, potrebbe promuovere l’ottimismo perché risolvere i problemi è più facile quando non sei solo, sostiene. O forse è semplicemente più divertente avere intorno gli ottimisti, quindi sviluppano una rete sociale più ampia. “In ogni caso”, osserva Kubzansky, “vale la pena lottare per le qualità correlate all’ottimismo”.

La ricerca dei primi segnali di allarme

Mentre gli interventi effettuati più avanti nella vita sono utili per prevenire le malattie cardiovascolari, secondo Goldstein la prospettiva sull’arco della vita è assolutamente fondamentale. "Esistono finestre naturalistiche di opportunità per studiare le differenze sessuali, in particolare lo sviluppo fetale e la pubertà e, nelle donne, la gravidanza e la menopausa", afferma. "Durante queste finestre, le differenze sessuali emergono poiché il corpo ed il cervello sono ciascuno differenzialmente inondati o impoveriti di ormoni gonadici."

Goldstein spiega che queste finestre naturalistiche possono essere utilizzate per comprendere le origini precoci delle malattie che potrebbero manifestarsi più avanti nella vita. “Ad esempio”, dice, “sappiamo che esistono origini evolutive di disturbi del cervello, come la depressione, e del cuore, come la CVD. E sappiamo che alcune di queste origini precoci, persino fatali, sono condivise tra il cervello ed il cuore”.

Comprendere le radici condivise, afferma Goldstein, "permette di prendere di mira un disturbo, come la depressione, che esordisce prima della malattia cardiovascolare, al fine di aiutare potenzialmente a prevenire l'altro", aggiungendo che la malattia cardiovascolare in genere si verifica più tardi della depressione.

Studiando gli antecedenti del feto e della prima infanzia ed il modo in cui i principali disturbi si verificano in periodi diversi nel corso della vita, sostiene Goldstein, “possiamo concentrare le nostre terapie in anticipo ed identificare le prime resilienze per attenuare la disabilità o prevenire malattie future”.

Che, ovviamente, è l’obiettivo finale.

"Cardiologi e neurologi di solito non vedono le persone finché non sono malate o quasi malate", dice Kubzansky. “Ma ciò potrebbe iniziare a cambiare se i medici guardassero alla salute come una costellazione e ricordassero che mente e corpo non sono separati. Se ignori ciò che accade dal punto di vista della salute mentale o ignori la salute del cuore dei pazienti con disturbi cerebrali, perderai molte opportunità per migliorare i risultati”.

ENGLISH

The health of the cardiovascular system is linked to the health of the brain — and vice versa,

For centuries, folklore from every corner of the globe has held that a person’s psychological state can affect their physical health, sometimes suddenly and fatally. Apocryphal tales of death from fright or heartbreak abound, from the biblical account of Ananias and Sapphira both keeling over lifeless after being accused of lying to the Holy Spirit to Romeo and Juliet’s Lord Montague recounting how his wife’s “grief of my son’s exile hath stopp’d her breath.”

The first modern scientist to explore this phenomenon was Walter Bradford Cannon, Class of 1900, who was chair of the Department of Physiology at HMS. He coined the term “fight or flight” in 1915 and in 1942 published a paper in American Anthropologist presenting reports of so-called voodoo death recounted by explorers in South America, Africa, Australia, New Zealand, and the Caribbean since the 1500s. Cannon reviewed several cases in which an apparently healthy, vibrant individual began to languish after being accused of misdeeds by a powerful tribal leader and died within one to four days. He also noted one incident in which a shaman came to the bedside of a young man named Rob and said, oops, it had all been a mistake. “The relief,” Cannon writes, “was almost instantaneous. That evening Rob was back at work, quite happy again, and in full possession of his physical strength.”

Cannon proposed, iconoclastically, that these incidents were not the work of dark magic as was supposed, but instead resulted from the “sympathetico-adrenal complex” constricting the blood vessels in response to “shocking emotional stress.” He pointed out that toward “the victim’s last gasp” one might find low blood pressure, rapid and thready pulse, and clammy skin — all associated with heart failure.

Linked in heath and illness

There’s no longer any doubt that Cannon was right: Our thoughts and emotions can affect our heart health, and what happens to the heart, likewise, can influence the health of the brain. Solid research now links PTSD, anxiety, depression, Parkinson’s disease, bipolar disorder, and schizophrenia to increased risk of cardiovascular disease (CVD), and studies associate CVD with impaired cognition, white-matter damage, cerebrovascular disease, and dementia. According to the Alzheimer’s Association, postmortem studies show that as many as eight in ten patients with Alzheimer’s also have heart problems.

These comorbidities don’t just make for an interesting pathology to untangle. The World Health Organization calls heart disease the number-one cause of death worldwide and depression the “single largest contributor to global disability.” In the United States alone, chronic diseases cost $37 trillion a year, or almost 20 percent of the nation’s GDP, in direct expenses and lost productivity. “Both mental health and heart disease make up a large share of that,” says Jill Goldstein, an HMS professor of psychiatry and medicine and founder and executive director of the Innovation Center on Sex Differences in Medicine at Massachusetts General Hospital. “And when they co-occur, the cost increases even further. These disorders are also major risk factors for Alzheimer’s disease and the aging brain,” adding, “So if we do not target them early to prevent what’s coming down the road for our aging population, they could tank our economy.”

You know you’re nervous when you get butterflies in your stomach, but is the brain making the butterflies or are they already there and then you perceive them?

Eighty years after Cannon first posited the existence of a brain-heart connection, the science remains in its infancy, largely because skepticism lingered for decades. In 1985 in the New England Journal of Medicine, then editor Marcia Angell, now a corresponding member of the faculty of the Department of Global Health and Social Medicine in the Blavatnik Institute at HMS, wrote an editorial noting that research had not shown a link between psychology and physiology though she acknowledged that “most Americans” believed in one. “She basically said, Wouldn’t it be great if this were true, but it’s not,” says Laura Kubzansky, a behavioral sciences professor at the Harvard T.H. Chan School of Public Health who has studied the link. “You can find arguments like this into the 2000s. Part of the reason is that historically it was hard to get research funded, which meant the studies weren’t very good. It’s still under-resourced compared with many topics.”

Terms like cardioneurology, neurocardiology, and psychocardiology all arose in the 1960s to describe aspects of this emerging interdisciplinary field, yet even today, no major medical body — not the U.S. Centers for Disease Control and Prevention, the National Institutes of Health, or the American Heart Association — lists psychological troubles as a risk factor for cardiovascular disease. The tide may be slowly turning, though; all three organizations at least address stress and other mental health disorders on their websites, and in 2021 the AHA issued a scientific statement, signed by Kubzansky and thirteen others, affirming that one’s mental state can play a role in heart health.

“For something to be elevated to the status of risk factor,” Kubzansky says, “there has to be a lot of evidence. In the past two decades the quality of evidence has become increasingly rigorous and convincing, and it’s getting harder to dismiss.”

The link also tends to get short shrift from clinicians, in part, says Goldstein, because medicine has grown up siloed by organ systems and separate diseases. “Although physicians specialize, given all the technological advances in certain fields,” she notes, “it is also important to look at commonalities among organ systems.”

Understanding shared causal pathways is an important first step. “The vagus nerve is probably the most-researched channel through which the heart and mind talk,” says Kubzansky.

The vagus nerve highway

Among the longest nerves in the human body, the vagus controls autonomic functions like breathing, heart rate, and blood pressure, as well as reflexes like coughing and survival behaviors like eating and drinking.

“The vagus nerve is a bidirectional information highway,” says molecular neuroscientist Stephen Liberles, a professor of cell biology in the Blavatnik Institute at HMS and a Howard Hughes Medical Institute Investigator. “

It has sensory neurons that take information from the body to the brain and motor neurons that go in the opposite direction.” Liberles explains that though we know “a dizzying array” of neurons innervate essentially every major organ in the body, for many neurons it’s unclear what initiates the communication between body and brain. “You know you’re nervous when you get butterflies in your stomach,” he says, “but is the brain making the butterflies or are they already there and then you perceive them? We have no idea what neurons in the circuit are firing or how they send signals deeper into the brain.”

Liberles studies neural populations in the vagus nerves of mice “with exquisite control” by introducing genes for light- sensitive proteins. “We can precisely measure the roles of particular neurons in physiology and behavior,” he says, “by activating or eliminating them and then observing the response.” When you trigger a specific neuron, does the animal become stressed? Does it eat more? Does its heart rate increase?

The catch, of course, is that scientists don’t always know for sure what a mouse is thinking or feeling, and they can’t do similar experiments on people because of the ethical issues around manipulating human genomes. But the electrical pathway isn’t the only connection. The immune, metabolic, vascular, and hormonal systems mediate interactions between the heart and brain, and there also has been a recent explosion of articles on the genetic traits shared by cardiometabolic diseases, depression, and CVD.

The influence of stress

“We know there are sex differences in the development of the brain and body, including the heart, beginning in fetal development,” says Goldstein. While fetal development is not deterministic, there are effects during this period that can set the stage for health across the life span, even though the effects can vary due to life experiences and exposures.”

Studies have shown that men and women have different stress reactions, too, which affect the brain and heart. In women, stress can increase lipid imbalance and platelet aggregation and decrease glucose regulation and the flow of blood to the heart, whereas men tend to experience greater spikes in blood pressure, heart rate, and adrenocorticotropic hormone, which controls the production of cortisol.

This is particularly concerning because 84 percent of U.S. residents who responded to a 2022 survey by the research organization ValuePenguin reported feeling stressed “weekly,” and in that same year, the American Psychological Association found that a third of its frazzled survey respondents considered their stress “overwhelming.”

Antonia Seligowski, an HMS assistant professor of psychology and director of Massachusetts General Hospital’s Neurocardiac Effects of Stress and Trauma Lab, says, “the research is clear that chronic, debilitating stress is more likely to bring about a heart condition.” PTSD, for example, is associated with a 27 percent increase in CVD events and cardiac-specific mortality, according to a meta-analysis reported in 2021 in JAMA Cardiology. “When we experience stress,” Seligowski explains, “our sympathetic nervous system triggers an immune response that releases cytokines in the blood, which inflame the arteries over time and promote the plaque that produces atherosclerosis, the main underlying cause of heart disease.”

A picture of those at risk

Stress may also be one reason for health inequities among various populations in the United States. While death rates from CVD have declined significantly in the past fifty years — from 1,034 to 327 per 100,000 people — numerous studies have shown that people of color have increased risk of heart problems and poorer outcomes once they do occur. “A lot of people are looking at why,” Kubzansky says. “Stress may be one reason, but there’s a paradox: Black people, for example, may seem to have more physical health difficulties, but they appear to have similar or lower rates of mental health problems than white people, even accounting for other social factors like income or education. So more data is definitely needed to better understand the role of stress in health disparities.”

Stress effects also differ by sex. Statistics from the National Center for PTSD show that twice as many women as men will have the disorder at some point in their lives. In part, says Seligowski, that’s because “women experience more interpersonal assault, which leads to PTSD more often than other types of experiences, like a car accident, for example.” Women are more inclined to report symptoms and seek treatment, too, which may contribute to their higher diagnosis rate.

The research is clear that chronic, debilitating stress is more likely to bring about a heart condition.

Nearly all cases of takotsubo cardiomyopathy, a weakening of the blood-pumping left ventricle in healthy individuals experiencing sudden stress, occur in women; in fact, research indicates that up to 5 percent of women suspected of having a heart attack actually have this disorder instead. Also known as broken heart syndrome, takotsubo was named after the ballooning left ventricle’s resemblance to a type of octopus trap used in Japan, where the malady was first described in 1990.

“There’s a greater propensity to develop takotsubo if there’s preexisting stress anxiety or underlying anxiety,” says Seligowski, who is working with a research group that found greater activity in the amygdala, a brain region involved in emotional processing, in patients with takotsubo. The disorder was initially implicated in the death of the actor Debbie Reynolds one day after her daughter, Carrie Fisher, died from cardiac arrest, though Reynolds’s official death certificate blames stroke. The jury is still out on Lady Montague.

Disposition may be key

Just like those butterflies in the stomach, the stress effect runs both ways.“An emerging area of research that we know much less about is how cardiac events can result in PTSD,” says Seligowski. But negative emotions are only part of the equation. In 2001, Kubzansky co-authored one of the first epidemiologic studies reporting that optimism is associated with a lowered risk of developing cardiovascular events, including angina, myocardial infarction, and death, adding these to a long list of other clinical outcomes that appear to be improved by an optimistic outlook, including cognitive decline, respiratory illnesses, infections, and even some cancers.

And Kubzansky and her colleagues learned the effect of having a positive outlook can be even stronger than the negative effect of pessimistic thinking, in part because it may help mitigate the stress response. “Optimistic individuals,” the study points out, “... may experience fewer stressors, or they may have more resources with which to deal with stress.”

From a clinical standpoint, why does this matter? “We spend a lot of time in medicine and public health looking at risk factors and deficits,” Kubzansky says, “but not nearly as much time looking at assets and resources. We can’t mitigate or remove all the environmental factors that can contribute to disease, but if we can identify a strength to add to the mix, it might improve overall health and reduce the disease burden rather than constantly trying to pick up the pieces after a disease has already developed or been set in motion.” A key point for patients is that optimism is 25 to 35 percent heritable, Kubzansky says. “That means there’s a lot of room to modify it.”

Educational and socioeconomic factors have been linked with higher optimism; while these may not be easily altered, studies have shown that regular physical activity, mindfulness, and an active social life can all help cultivate an optimistic outlook — and are within an individual’s power to change.

“These are correlations,” Kubzansky points out, “so it’s hard to say for sure whether they’re precursors to optimism or the results of it.” Greater social connectedness, for example, could promote optimism because problem-solving is easier when you’re not alone, she contends. Or maybe optimists are just more fun to be around, so they develop a larger social network. “Either way,” Kubzansky notes, “the qualities that correlate with optimism are worth striving for in themselves.”

The search for early warning signs

While interventions made later in life are helpful for preventing CVD, a life span perspective is absolutely critical, according to Goldstein. “There are naturalistic windows of opportunity for studying sex differences, specifically fetal development and puberty, and, in women, pregnancy and menopause,” she says. “During these windows, sex differences emerge as the body and brain are each differentially flooded with or depleted of gonadal hormones.”

Goldstein explains that these naturalistic windows can be used to understand the early origins of diseases that may occur later in life. “For example,” she says, “we know that there are developmental origins of disorders of the brain, like depression, and of the heart, like CVD. And we know that some of these early, even fatal, origins are shared between the brain and the heart.”

Understanding the shared roots, Goldstein says, “allows you to target one disorder, like depression, that onsets earlier than CVD in order to potentially help prevent the other,” adding that CVD typically occurs later than depression.

By studying fetal and early childhood antecedents and how major disorders occur at different periods across the life span, Goldstein maintains, “we can focus our therapeutics earlier and identify early resiliencies to either attenuate disability or prevent future disease.”

Which, of course, is the ultimate goal.

“Cardiologists and neurologists usually don’t see people until they’re either sick or almost sick,” Kubzansky says. “But that could start to change if clinicians look at health as a constellation and remember that mind and body are not separate. If you ignore what’s going on from a mental health perspective or ignore the heart health of patients with brain disorders, you’re going to miss a lot of opportunities to improve outcomes.”

Da:

https://magazine.hms.harvard.edu/articles/heart-brain-health-two-way-street?utm_source=AcousticMailing&utm_medium=email&utm_campaign=HMM-Fall%202023-November%20(1)%20remainder&utm_content=HarvardMedicinemagazine_Nov23



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