La remissione dell'HIV con allo-SCT persiste nel paziente eterozigote CCR5Δ32 / HIV Remission with Allo-SCT Endures in Heterozygous CCR5Δ32 Patient

 La remissione dell'HIV con allo-SCT persiste nel paziente eterozigote CCR5Δ32 / HIV Remission with Allo-SCT Endures in Heterozygous CCR5Δ32 Patient


Segnalato dal Dott. Giuseppe Cotellessa / Reported by Dr. Giuseppe Cotellessa


I ricercatori della Charité Universitätsmedizin di Berlino hanno riportato il primo caso documentato di remissione prolungata dell'HIV senza trattamento dopo trapianto allogenico di cellule staminali (allo-SCT) in un ricevente privo di resistenza completa all'HIV. Lo studio mette in discussione le ipotesi consolidate sulla soppressione dell'HIV e rinnova l'interesse per strategie incentrate sull'eliminazione del reservoir e sulla clearance immunitaria. 

Da “het” a “het”

Per molti anni, la mutazione CCR5Δ32, che blocca un corecettore chiave dell'HIV sulle cellule immunitarie, è stata considerata cruciale per qualsiasi cura ottenuta tramite trapianto allo-SCT. Il caso iniziale del "paziente di Berlino", che ha ricevuto cellule del donatore omozigoti per CCR5Δ32, ha plasmato le aspettative del settore e ha reso molte delle sue cellule immunitarie funzionalmente resistenti all'infezione da HIV.

Tuttavia, in questo nuovo rapporto, gli autori principali Christian Gaebler, MD, e Samad Kor, MD, descrivono un uomo di 60 anni a cui è stata diagnosticata l'HIV nel 2009 ed una leucemia mieloide acuta (LMA) nell'aprile 2015, e che ha ricevuto un allo-SCT HLA compatibile da un donatore non imparentato sei mesi dopo, nell'ottobre 2015. Fondamentalmente, sia il donatore che il ricevente erano eterozigoti per CCR5Δ32 e, quindi, competenti per CCR5, il che è stato precedentemente considerato sufficiente per l'ingresso dell'HIV attraverso il recettore di superficie.

Tre anni dopo il trapianto, il paziente ha interrotto la terapia antiretrovirale (ART). Sorprendentemente, nei sei anni successivi, i test clinici standard non hanno rilevato alcun RNA dell'HIV nel suo sangue. Ulteriori indagini, tra cui analisi delle riserve nel sangue e nel tessuto intestinale, non hanno rivelato alcun virus replicativo. I ricercatori hanno anche osservato un calo nell'assenza di anticorpi specifici per l'HIV e nelle risposte delle cellule T, coerente con la mancata produzione di antigeni virali in corso. 

Al momento del trapianto, il paziente mostrava un'attività di citotossicità cellulare anticorpo-dipendente (ADCC) insolitamente elevata, un meccanismo immunitario in cui gli anticorpi segnalano le cellule infette affinché vengano distrutte da altre cellule immunitarie. Gli autori suggeriscono che questa ADCC, probabilmente potenziata dall'intenso reset immunitario del trapianto, potrebbe aver contribuito ad eliminare il residuo reservoir di HIV. 

Riscrivere la remissione dell'HIV

Questo caso riscrive i presupposti fondamentali su ciò che è necessario per la remissione dell'HIV, implicando fortemente che la resistenza genetica completa non è strettamente necessaria e che ciò che potrebbe essere ancora più importante è la riduzione o l'eliminazione del serbatoio latente di cellule infette.

Questa intuizione ha profonde implicazioni. Se la clearance del reservoir, piuttosto che la resistenza genetica, rappresenta l'ostacolo critico alla remissione duratura, allora le strategie future potrebbero concentrarsi maggiormente su interventi volti a esaurire l'HIV latente, piuttosto che affidarsi alla genetica di donatori rari. Gli autori sostengono che questo approccio apre percorsi più fattibili ed ampiamente accessibili verso cure funzionali.

Naturalmente, questo articolo rimane un singolo caso clinico e gli autori stessi avvertono che permangono molte incertezze. La remissione prolungata del paziente è impressionante, ma potrebbero esserci fattori unici, forse idiosincratici, in gioco: le specificità del suo condizionamento al trapianto, la sua risposta immunitaria o persino fattori genetici od immunologici non misurati. L'"elevato ADCC" prima del trapianto potrebbe non essere replicabile in altri individui. 

Inoltre, sebbene finora non sia stato trovato alcun virus in grado di replicarsi, i test attuali potrebbero non rilevare ogni singola cellula infetta, in particolare quelle nascoste in tessuti o siti anatomici non campionati. Saranno necessari follow-up a lungo termine ed ulteriori studi più ampi per capire se questa remissione rappresenti una vera e propria "cura" od una soppressione prolungata ma alla fine reversibile.

Un traguardo cauto ma pieno di speranza

Questo caso potrebbe riorientare la ricerca sull'HIV. In primo luogo, gli scienziati potrebbero impegnarsi maggiormente in trattamenti che riducano il reservoir del virus, utilizzando metodi come l'editing genetico, il potenziamento del sistema immunitario (ad esempio, terapie ADCC o con cellule T/NK ingegnerizzate), strategie "shock-and-kill" per riattivare il virus od il trapianto da donatori anche privi di alleli di resistenza rari.

In secondo luogo, e forse in modo più ampiamente applicabile, questo studio offre la speranza che la remissione funzionale possa essere raggiungibile in più individui di quanto precedentemente immaginato. Poiché i donatori omozigoti CCR5Δ32 sono estremamente rari, le cure che dipendono da loro hanno avuto una fattibilità limitata nel mondo reale. Un percorso che enfatizzi invece la clearance del reservoir potrebbe essere più ampiamente applicabile.

Infine, il caso potrebbe indurre a riesaminare i precedenti studi sulla cura dell'AIDS: sono stati trascurati casi di remissione o di parziale guarigione nei pazienti sottoposti a trapianto le cui cellule del donatore presentavano un CCR5 "normale"? Una sorveglianza immunologica e molecolare più completa in questi pazienti potrebbe rivelare ulteriori successi.

Per le persone affette da HIV, i ricercatori ed i medici, questo caso fornisce una prova convincente del fatto che una "cura" potrebbe non richiedere una genetica rara. Potrebbe invece emergere da un'intelligente orchestrazione di un ripristino immunitario, della pulizia delle riserve e di una sorveglianza attenta e prolungata. Avvicina significativamente il sogno di una cura funzionale ampiamente realizzabile, un tempo lontano e ipotetico, alla realtà.

ENGLISH

Charité Universitätsmedizin Berlin researchers reported the first documented instance of a sustained, treatment-free HIV remission after allogeneic stem-cell transplantation (allo-SCT) in a recipient who lacked complete resistance to HIV. The study challenges long-held assumptions about HIV suppression and renews interest in strategies that focus on reservoir elimination and immune clearance. 

From “het” to “het”

For many years, the CCR5Δ32 mutation, which blocks a key HIV co-receptor on immune cells, has been considered crucial for any cure achieved through allo-SCT. The initial case of the “Berlin patient,” who received donor cells homozygous for CCR5Δ32, shaped the field’s expectations and rendered many of his immune cells functionally resistant to HIV infection.

However, in this new report, lead authors Christian Gaebler, MD, and Samad Kor, MD, describe a 60-year-old male who was diagnosed with HIV in 2009 and acute myeloid leukemia (AML) in April 2015, and who received an HLA-matched allo-SCT from an unrelated donor six months later, in October 2015. Crucially, both donor and recipient were heterozygous for CCR5Δ32 and, thus, CCR5-competent, which has been previously considered sufficient for HIV entry via the surface receptor.

Three years after transplantation, the patient discontinued his antiretroviral therapy (ART). Remarkably, over the ensuing six years, standard clinical assays have detected no HIV RNA in his blood. Further investigations, including reservoir analyses in blood and intestinal tissue, failed to reveal any replication-competent virus. The researchers also observed a decline in the absence of HIV-specific antibodies and T-cell responses, consistent with the lack of ongoing viral antigen production. 

At the time of transplantation, the patient exhibited unusually high antibody-dependent cellular cytotoxicity (ADCC) activity—an immune mechanism in which antibodies flag infected cells for destruction by other immune cells. The authors suggest that this ADCC, possibly boosted by the transplant’s intensive immune reset, may have helped purge the remaining HIV reservoir. 

Rewriting HIV remission

This case rewrites fundamental assumptions about what is required for HIV remission, strongly implying that complete genetic resistance is not strictly necessary, and what may matter even more is the reduction or elimination of the latent reservoir of infected cells.

That insight has deep implications. If reservoir clearance rather than genetic resistance is the critical barrier to lasting remission, then future strategies could focus more heavily on interventions designed to deplete latent HIV rather than rely on rare donor genetics. The authors argue that this approach opens more feasible and widely accessible paths toward functional cures.

Of course, this paper remains a single case report, and the authors themselves caution that many uncertainties remain. The patient’s sustained remission is impressive, but there could be unique, perhaps idiosyncratic, factors at play: the specifics of his transplant conditioning, his immune response, or even unmeasured genetic or immunological factors. The “high ADCC” before transplant may not be replicable in other individuals. 

Moreover, while no replication-competent virus has been found so far, current assays may not detect every last infected cell, particularly those lurking in tissues or anatomical sites not sampled. Long-term follow-up and further, broader studies will be needed to understand whether this remission represents a genuine “cure” or a prolonged but eventually reversible suppression.

A cautious but hopeful milestone

This case could refocus HIV research. First, scientists might put more effort into treatments that reduce the HIV reservoir, using methods like gene editing, immune system boosting (e.g., ADCC or engineered T/NK cell therapies), “shock-and-kill” strategies to reactivate the virus, or transplanting from donors even if they lack rare resistance alleles.

Second, and perhaps more broadly applicable, this study offers hope that functional remission might be achievable in more individuals than previously imagined. Because homozygous CCR5Δ32 donors are exceedingly rare, cures dependent on them have held limited real-world feasibility. A path that emphasizes reservoir clearance instead could scale more widely.

Finally, the case may prompt reexamination of previous AIDS-cure studies: have cases of remission, or partial clearance, in transplant recipients whose donor cells had “normal” CCR5 been overlooked? More comprehensive immunological and molecular surveillance in such patients might reveal additional successes.

For individuals living with HIV, researchers, and clinicians, this case provides compelling evidence that a “cure” might not necessitate rare genetics. Instead, it might emerge from clever orchestration of immune reset, reservoir purging, and vigilant, prolonged surveillance. It puts the dream of a widely feasible functional cure, once far-off and speculative, one meaningful step closer to reality.

Da:

https://www.insideprecisionmedicine.com/topics/precision-medicine/hiv-remission-with-allo-sct-endures-in-heterozygous-ccr5%CE%B432-patient/?_hsenc=p2ANqtz---6av8Au-F6mtYxQiyj6nHs1QEtvjzn1WHcfcuvr3lZOfCAIAygjwbIp9voswU5LjVpk-HVs_ddbUeVWkGO0VM4yKurZWGBBlbq91X3EQKDqI7Pt0&_hsmi=392991841



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